Clara (ombre nella nebbia)

di
genere
bondage

Clara varcò la soglia di casa, la chiave che tremava nella sua mano. Era venerdì sera, l’aria densa di un silenzio che non le apparteneva più. Da settimane viveva con il terrore cucito sottopelle, dopo i 4 giorni di sequestro subíto con le sue amiche da quello sconosciuto dopo la festa di carnevale.
La villetta isolata, un tempo rifugio, ora era una prigione di ombre. Aveva il timore che quel uomo potesse capire dove abitava.
Esausta dopo il lavoro, lasciò cadere la borsa appena rientrata in casa, ma il cuore le si fermò: l’odore di cuoio e sudore impregnava l’aria.
Non ebbe il tempo di voltarsi. Un’ombra emerse dal buio, rapida e inesorabile, e una mano guantata le soffocò il grido. “Bentornata,” sibilò quella voce, tagliente come una lama, la stessa che infestava i suoi incubi.
Era lui….
Quell’ uomo che l’aveva tenuta legata per 4 giorni con le altre.
Clara scalciò, ma lui la immobilizzò contro il muro, torcendole le braccia dietro la schiena. Una corda ruvida le morse i polsi, stringendo fino a farle bruciare la pelle. Un pezzo di stoffa le fu infilato in bocca, sigillato da nastro adesivo che le premeva le labbra, soffocando ogni suono. “Questo weekend è nostro,” sussurrò l’uomo mentre velocemente cominciava ad avvolgerla con metri di corda in ogni parte del corpo, e quelle parole le gelarono il sangue, cominciò a lottare disperatamente ma l’uomo seduto sopra la sua schiena era troppo forte per lei.
Venerdì notte: la sedia, La trascinò in cucina, facendola sedere su una sedia di legno. Le corde si avvolsero intorno alle sue braccia, tirando i gomiti fino a farli toccare, il dolore che le strappava gemiti soffocati. Altre corde le immobilizzarono le cosce alla seduta, mordendo la carne, mentre le caviglie furono legate strette alle gambe della sedia passando anche sotto i tacchi per non permettergli di sfilarsi le scarpe.
Molti giri di corda sul petto sopra e sotto il seno bloccando le braccia, una corda lunga si collegava dai polsi alle caviglie impedendo qualunque movimento. Ogni nodo era un’opera d’arte crudele, preciso, inesorabile. Lui si sedette di fronte a lei, l’ombra del volto nascosta nella penombra, e la osservò. Il silenzio era un coltello, rotto solo dal suo respiro lento e dai lamenti strozzati di Clara. Passò ore così, immobile, come un predatore che assapora la caccia. “Perfetta,” mormorò, e quelle parole le si conficcarono nella mente.
Sabato mattina: il pavimento, All’alba, la slegò solo per cambiare la sua prigione. La fece sdraiare sul pavimento freddo del soggiorno, il bavaglio ancora al suo posto. Le braccia furono legate di nuovo dietro la schiena, ma questa volta le corde si avvolsero anche intorno al busto, stringendo il petto in una morsa che le rubava il fiato. Le cosce e le caviglie furono unite da un intreccio di nodi che le impediva ogni movimento. Clara tremava, il dolore un fuoco costante, ma la paura era peggio. Lui si accovacciò accanto a lei, sfiorando con dita guantate le corde, controllando ogni nodo. “Ti piace la varietà, vero?” disse, un accenno di divertimento nella voce. Poi si sedette sul divano, a guardarla, mentre il sole filtrava dalle tende, indifferente al suo terrore.
Sabato sera: hogtied, Quando il crepuscolo tinse la casa di ombre, lui tornò al lavoro. La slegò quel tanto che bastava per riposizionarla, spingendola a terra a pancia in giù. Le braccia furono tirate indietro, i gomiti uniti fino a toccare in una morsa dolorosa, i polsi legati alle caviglie in un hogtie brutale che le inarcava la schiena. Le corde intorno ai gomiti e alle cosce completavano la sua immobilità, ogni movimento un’agonia. Il bavaglio, ormai fradicio di saliva che riusciva a fuoriuscire nonostante il nastro, le impediva di gridare. Lui si sedette accanto a lei, così vicino che Clara sentiva il calore del suo corpo. “Questo è il mio preferito,” sussurrò, e passò la notte lì, a contemplarla, il respiro lento come un metronomo.
Domenica: la sospensione, La domenica mattina, l’uomo decise di alzare la posta. La trascinò in camera da letto, dove aveva preparato un gancio fissato al soffitto. La slegò solo per legarla di nuovo, le braccia dietro la schiena, i gomiti uniti, il busto avvolto da corde che si intrecciavano come una ragnatela. Le cosce e le caviglie furono legate strette, e poi, con una forza disumana, la sollevò, appendendola al gancio per le corde dei polsi. Un grido disumano nonostante il bavaglio squarciò il silenzio della casa.
Clara dondolava, il dolore lancinante alle braccia e alle spalle che sopportavano tutto il peso del suo corpo era incredibile, il bavaglio che soffocava i suoi singhiozzi. Lui si sedette sul letto, guardandola come un artista ammira la sua scultura. “Un capolavoro,” disse, e restò lì, a osservarla per ore, mentre il tempo si dissolveva in un incubo senza fine.
Clara stremata dal dolore cominciò a piangere, le sue lacrime colavano sul pavimento insieme alla saliva che copiosa colava dal bavaglio.
Lo implorava con gli occhi di toglierla da quella posizione crudele e disumana, ma lui non sembrava interessarsene.
Anzi, prese un altra corda e la fece passare al centro della legatura delle caviglie per poi tirarla in su e fissandola anch'essa alla corda che tirava i polsi al soffitto.
Ogni tanto, controllava le corde, stringendo un nodo, aggiustando una posizione. Non parlava molto, ma il suo silenzio era più pesante delle parole. Clara, intrappolata nel suo corpo e nella sua mente, pregava che finisse, le sue braccia chiuse in quella morsa infernale che bloccava la circolazione divennero presto insensibili, in tutta la sua vita non aveva mai provato un dolore così intenso e prolungato.
Il silenzio era spezzato solo dai singhiozzi del suo pianto, ormai era allo stremo delle forze e
Sperava che qualcuno la sentisse piangere per farla uscire da quell’incubo. Ma la casa restava muta, e l’uomo continuava il suo rituale, cambiando le posizioni come se stesse giocando con una bambola.
Quando la domenica sera arrivò, la riportò sul pavimento, legandola un’ultima volta in una posizione fetale, le ginocchia contro il petto, le braccia e le gambe intrecciate in un groviglio di corde, i gomiti uniti dietro e i polsi con una lunga corda che le passava tra le parti intime si collegava alle caviglie.
Le sue braccia dopo la sospensione erano diventate completamente insensibili per la mancanza di circolazione sanguigna.
“Ci vediamo presto,” disse, chinandosi su di lei. Poi, come un’ombra, svanì nella notte, lasciandola lì, imbavagliata, legata, il corpo e l’anima spezzati.
Clara restò sola, il silenzio della casa più assordante del terrore era spezzato solo dal suo pianto che ora trovandosi sola aveva trovato sfogo.
Passó la notte cosi, legata sul pavimento freddo finché stremata si addormentò.
Il lunedì non si presentò al lavoro e barbara preoccupata perché non rispondeva al telefono decise di andare a casa sua.
Barbara arrivando trovò la porta aperta.
Quando finalmente entro la trovò legata per terra stremata le corde strette sul suo corpo completamente inerme erano l’unica prova di quel weekend infernale. Ma mentre la liberava, mentre chiamava la polizia, Clara sapeva che non sarebbe mai stata davvero libera. Lui aveva promesso di tornare, e quella promessa era un nodo che non si sarebbe mai sciolto.




scritto il
2025-05-24
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