Dieci colpi

di
genere
etero

Era appena tornata da Londra. Nemmeno un paio di settimane. Paola si godeva il tepore di un maggio napoletano assolato e limpido come sempre e lo paragonava a tutta la pioggia e l'umidità degli anni londinesi. Stava in piedi in mezzo alla gente su una terrazza di Posillipo, con un bicchiere di bianco in mano, e pensava alla pioggia inglese, agli anni appena trascorsi, alla sua vita sregolata, alla sua vita irregolare. E non c'era occasione migliore per farlo di un grande matrimonio in famiglia.
Era partita quattro anni prima, sul limitare della gioventù, quando aveva capito che non ce l'avrebbe fatta a regolarizzare quella vita come i due sposini che facevano sfoggia di se in mezzo al terrazzo. Era partita perché non era più riuscita a salvare le apparenze, ad avere un uomo da portare nelle occasioni come quella, uno in grado di tenere testa ad ore ed ore di convenzioni e poi essere anche un complice affidabile. Aveva fatto saltare tutte le sue storie. Non era mai risuscita ad essere fedele, ma non era il tradimento che ammazzava le relazioni: era la noia, o peggio, la paura che la noia sopraggiungesse. Era partita perché si sentiva esplodere e aveva bisogno di un posto tanto grande da soddisfare tutta la sua curiosità e allo stesso tempo la voglia di anonimato, l'esigenza di essere un puntino in una marea di gente che si muove e non ti nota fino a quando non entra in contatto con te. Lontano aveva prima ottenuto il riscatto professionale che voleva, aveva lavorato anche lei per una grande multinazionale, proprio come quei due che oggi sembravano tanto perfetti. Lontano aveva iniziato a esplorare le sue voglie senza più limitazioni e aveva capito che passare una settimana intera in un ufficio non era propriamente quello che voleva, così si era tolta l'ennesima rivincita con il passato e aveva vinto una borsa di dottorato: un “lavoro” che le riempiva lo spirito e le lasciava tanto tempo libero.
Sentiva il sole sul collo scoperto e pensava a tutte le volte che aveva finito di scopare alle sei di mattina e poi era andata a fare una passeggiata al parco nella brina londinese. Pensava ai vassoi pieni di coca e alle coppie sposate che non vedevano l'ora di divertirsi, al bruciore lascivo delle cinghiate sulla schiena, ai baci dolci sul collo di una signora che le toccava i capezzoli mentre lei era a cavalcioni su suo marito, e a quella volta che era stata sicura di morire schiacciata in mezzo a due giganti. Guardava il quadretto di festanti imbellettati e si chiedeva chi di loro fosse passato per una cosa del genere. Su due piedi avrebbe detto nessuno, ma aveva imparato a non fidarsi mai troppo delle apparenze. Di sicuro tutta quella gente trasudava piattume e assenza di grazia, mediocrità biografica condita da desideri appagati in maniera fuggevole e dozzinale. Lo sposo per esempio: un ragazzo sulla trentina che sembrava un bambinone compiaciuto mentre i suoi amici facevano allusioni su una fantasmagorica notte di addio al celibato; avrebbe giurato di vederlo, mentre mezzo ubriaco strisciava ai piedi di una spogliarellista sudamericana. La sposa invece, sua cugina, era stata almeno più concreta, e questo lo sapeva per certo grazie ad una comune amica spiona. Si era fatta scopare da due sconosciuti su una spiaggia di Mikonos (anche questo, quanto le sembrava dozzinale). O meglio, la spiona aveva riferito che era impazzita l'ultimo giorno di vacanza (ti pareva), in mezzo ad un aperitivo, in un lido sulla spiaggia (diosanto), dopo solo due Bacardi (mammamia), e aveva iniziato a strusciarsi su due energumeni baciandoli. Le povere cretine avevano provato ad avvicinarla ma lei (ovviamente) le aveva cacciate dicendo che era “il suo ultimo giorno”. Aveva leccato tutto il corpo di uno dei due come un'ossessa (parole della linguaccia invidiosa) mentre l'altro da dietro le toglieva il pezzo di sopra del costume, e poi era scomparsa tra gli scogli lasciando la spiona e le amiche a fantasticare. Chissà se se l'era fatto mettere in culo, pensava Paola, e sopratutto chissà se aveva dedicato a quel ricordo almeno un minuto durante il suo matrimonio: mentre procedeva al suono di Mendelson verso l'altare, sotto braccio a suo padre in lacrime, quando si commuoveva a sua volta recitando la liturgia, o ancora, mentre facevano l'ingresso sul terrazzo per l'aperitivo. Chissà se le erano venuti in faccia, e se pensandoci lei si era passata la mano proprio nel punto dove l'avevano colpita, o se aveva preso a giocare con la fede, novella sposa, sapendosi finalmente, e fieramente, una zoccola spostata. Peccato che non fosse stata invitata a quel viaggio fra amiche, sapeva che non le sarebbe bastata la scena dell'aperitivo, le sarebbe piaciuto vederla gemere carponi con le ginocchia che si scorticavano sugli scogli; magari avrebbe incrociato il suo sguardo godereccio e incredulo, e sarebbero state più cugine ancora.
Adesso Paola si guardava in uno specchio, nell'anticamera del bagno, soddisfatta: uno dei vantaggi di una vita sregolata, e di un po' di cocaina, è che non si ingrassa in nessun modo, neanche a trentacinque anni. Aveva rivisto alcune amiche nei giorni precedenti e si era trovata incredibilmente più in forma di loro, certo, l'assenza di marito e figli pure doveva aiutarla, ma negli anni inglesi aveva conosciuto donne in tutte le condizioni e le aveva trovate sempre molto attraenti e in forma: dev'essere la promiscuità che dona, aveva concluso. Aveva scelto, per l'occorrenza, un tubino di cotone blu che le stava aderente e lasciava le spalle scoperte, sopra ci aveva messo una collana di perle e due pendenti piccoli. Si guardava e le piaceva il suo sedere tondo valorizzato dal vestito che scendeva stretto, riconosceva uno sguardo riposato e una postura fiera che esaltavano le sue tettine piccole ma belle sode. Le piaceva ostentare quella classe dopo anni in cui pantaloni, camicette, giacche e maglioncini erano stati la sua divisa Ovviamente era finita al tavolo dei “non sposati” con due coppie e due coetanei, un uomo e una donna, entrambi divorziati; in un ambiente più evoluto questa cosa sarebbe sembrata di cattivo gusto ma la sua famiglia evidentemente riteneva normale che “i ragazzi” (tutti intorno ai trentacinque) avessero modo di conoscersi. Dopo le curiosità di rito i parenti più indiscreti erano passati alla domanda diretta - E gli uomini? - con tanto di sorriso sornione e complice. Prima di partire avrebbe risposto sarcastica – Stanno tutti bene – ma adesso aveva deciso di cambiare atteggiamento: occhi bassi, sorriso imbarazzato – beh, c'è un amico, ma è solo una vecchia conoscenza - . Dopotutto era tornata perché sentiva che l'esperienza Londinese fosse esaurita, ma era tornata anche perché voleva dare alla nuova Paola, una Paola molto più consapevole di sé, l'opportunità di conoscere i posti e le persone della vecchia Paola, e, perché no, darsi magari l'opportunità che non era riuscita ad avere prima. Era tornata e si era ripulita. Aveva passato una lunga giornata alle terme come a lavarsi gli anni di dosso, aveva smesso di prendere qualsiasi cosa, fumare, quello già non lo faceva più, e ancora non aveva fatto sesso. E poi era vero che c'era qualcuno: era uscita due volte con un suo vecchio compagno dell'università. Dieci anni prima, quando ancora erano studenti, c'era un'affinità genuina che non era mai sbocciata in un appuntamento per via delle reciproche, alternativamente ingombranti, relazioni, e non era mai stata un incontro adulterino perché forse non era quella la sua dimensione. Il tipo le aveva saltuariamente inviato messaggi di circostanza in tutto quel tempo e lei aveva sempre risposto con piacere. L'aveva chiamato la sera stessa delle terme ed erano usciti a bere una birra. Si erano baciati sotto casa di lei come due ragazzini e a questo punto Paola aveva preferito attendere, invece di prendere l'iniziativa come era solita fare. Al secondo appuntamento, senza premeditazione, si era sorpresa a respingere le sue insistenze, sempre sotto casa sua. Erano andati al cinema e poi a cena, si erano divertiti e si stava creando un bel feeling, erano tornati a piedi fermandosi qua e la per scambiarsi dei lunghi baci appassionati di cui si vergognavano due secondi dopo, appena realizzavano, ogni volta, di essere in mezzo alla strada. Sotto il portone lui l'aveva schiacciata contro il portone infilandole tutta la lingua in bocca mentre le stringeva i fianchi tesi come una corda di violino. Lei ricambiava passandogli le mani nei capelli ed emettendo piccoli gemiti appena lui iniziava a baciarle il collo. Poi all'improvviso l'aveva allontanato. Aveva emesso un forte sospiro e poi aveva sorriso. Aveva sentito per tutto il tempo il suo cazzo esplodergli contro i pantaloni e adesso leggeva la stessa foga nei suoi occhi imbarazzati e imploranti. Gli aveva sorriso di nuovo, stavolta con tenerezza, e gli aveva dato un bacio sulla guancia – non bruciamo le tappe, ciao – altro bacio.
Mentre i discorsi del tavolo facevano di sottofondo ai suoi pensieri si domandava le ragioni di quel comportamento. Forse era questo il segreto per vivere bene: dissimulare. Non poteva negare che negarsi non aveva fatto altro che aumentare le premure e il coinvolgimento del suo nuovo ragazzo e il loro scambiarsi messaggi le sembrava dolce e confortante. Ad un certo punto si sentì chiamare. Era uno dei suoi commensali che le aveva rivolto una domanda che nemmeno aveva sentito – com'è allora questa vita a Londra? -.
– La signora è distratta, glielo dico io è bellissima!
Aveva interrotto un cameriere mentre versava il vino. Un bel ragazzo alto, bruno, poco più che ventenne, con un'aria smaliziata e sveglia da scugnizzello – ci sono stato un anno dopo la scuola e ora sono qui da due settimane
– Si è bellissima, ma signora ancora no per favore! Mo se stavano a Londra ci davamo del tu ed era tutto più semplice – aveva risposto Paola civetta
– Vero... La sono tutti più informali e questo ti fa pure crescere in fretta. E comunque signora non per offendere ma per essere gentile
– E sei più gentile se mi chiami Paola
– Signora Paola?
– Uaglio' ma gli altri tavoli non bevono? Mi vado a lamentare con gli sposi eh!

Per il resto della cena il ragazzo continuò a scherzare quando passava al tavolo e Paola stava al gioco. Magari lui aveva anticipato di dieci anni un percorso di crescita come il suo, aveva scoperto le proprie inclinazioni personali ed ora tornava per metterle alla prova. Paola un poco invidiava il tempo che lui aveva davanti, ne invidiava l'entusiasmo, lo slancio giovanilistico e irrisolto, ancora un po' inesperto della vita e per questo intrepido. Aveva notato gli sguardi che lui le lanciava quando era distante dal tavolo. L'aveva sorpreso timido e arrendevole all'inizio ma poco a poco più intraprendente. L'aveva incoraggiato con un primo lungo flirt in modo da stabilire un contatto e poi più niente, in altre quattro o cinque occasioni in cui si sentiva i suo occhi addosso aveva fatto finta di essere presa da altro. Si era alzata all'improvviso dirigendosi verso il bagno e l'aveva fissato a lungo: decisa, voluttuosa, padrona della situazione. Era uscita poco dopo incrociando di nuovo il suo sguardo, stavolta con un sorriso complice e birichino che aveva replicato in tutti i momenti successivi fino alla fine della cena.
Al momento del ballo il ragazzo si era avvicinato con un vassoio mentre Paola guardava il mare
– Paola! Gradisce lo champagne?
– Sei molto attento agli ospiti vero? - Paola prendeva un calice
– In che senso?
– Non perdi di vista nessuno
– Gli ospiti meritano attenzione
– Ma non stavi meglio a Londra alla tua età?
– Qui le ragazze sono più belle. E poi dove lo trovo un posto così? Dove lo trovo un albergo con delle camere panoramiche come queste
Paola sorrideva e coglieva la sfida. Le piaceva la sfrontatezza timida di quel ragazzino e le mancava tanto la spigliatezza dei napoletani contro le inibizioni dei loro coetanei inglesi.
Continuarono a guardarsi e scambiarsi battutine per un po'. Ringalluzzita dal flirt Paola diventò più gioviale e riallacciò rapporti con molte persone che non sentiva da tempo. Si sentiva raggiante e sapeva di splendere. Lo leggeva nei messaggi simpatici che il suo nuovo ragazzo le mandava con discrezione, lo vedeva negli occhi dei suoi interlocutori e nello sguardo curioso, timido e famelico del giovane cameriere. Aveva fatto lo stesso gioco da stronza che non era altro e dopo qualche flirt lo aveva ignorato per una buona oretta mentre l'alcol iniziava a fare effetto sugli invitati più beoni. L'aveva ritrovato spalle al muro, in piedi, professionale, con il solito vassoio in mano. L'aveva raggiunto e aveva preso un calice senza dire niente. L'aveva bevuto tutto fissandolo. Lentamente, uno sguardo languido e infinito, inequivocabile, di quelli in cui scopriva tutta se stessa, di quelli che aveva scoperto di saper fare così bene. Si era buttata un'ultima goccia sul suo tubino.
– me le fai vedere queste stanze?

Non gli aveva più tolto gli occhi di dosso: nel corridoio appena si erano allontanati, in ascensore, con lui che guardava scorrere i piani, appena entrati nella stanza, mentre il ragazzino, adesso meno baldanzoso, indicava il panorama. Paola continuava a guardarlo e aveva gli occhi che brillavano dal desiderio – adesso che facciamo? - gli chiedeva, spostando lo sguardo da gli occhi di lui, lentamente, lungo tutto il corpo fino a concentrarsi sul pacco, prossimo all'esplosione.
– che facciamo adesso? Scendiamo a prendere lo smacchiatore?
– Ah si? - rispondeva lei sorridendogli – Chissà che cosa pensavo
Il ragazzo le prese la mano e la guardò serio ma ancora esitante, Paola iniziò ad accarezzargli la guancia, poi il petto, con la mano libera, stavolta accompagnando il gesto con un sorriso complice e dolce, incoraggiante. Lui si avvicinava e lei non distoglieva lo sguardo, non cambiava espressione. Finalmente trovò il coraggio di baciarla. Prima piano, come in avanscoperta e poi con una foga sconvolgente. In un attimo l'aveva presa per i capelli e mentre ancora le infilava tutta la sua lingua in gola l'aveva buttata sul letto. - Ue, ue, ue! Tu così mi sconvolgi! E io poi come esco da qua? - adesso sedevano sul letto uno di fianco all'altro. - Ma poi piano piano che altrimenti non ci divertiamo – Paola si alzò, gli prese le mani per invitarlo a fare altrettanto. Notò il pacco rimpicciolito nei pantaloni e iniziò a massaggiarlo - Ti sta passando la fantasia? Aspè' – mentre continuava a massaggiarlo iniziava a leccarli il collo e l'orecchio, sentiva la barba della sera pungere sulla punta della lingua e il sudore salato mischiato al profumo. Quando si rese conto che il giovane amante era pronto gli sbottonò la patta e passò la lingua sul glande, gli prese solo la cappella, per un attimo, fra le labbra mentre gli abbassava i pantaloni. Poi si appoggiò col sedere sul comò di fronte al letto, si tolse lentamente le mutande da sotto al vestito, lo prese per il cazzo e finalmente si girò, appoggiandosi con le mani sul mobile.

Il ragazzo avrebbe subito iniziato con tutta la foga che aveva in corpo ma lei non era di quell'idea - Fai piano. Vieni qua - l'aveva aiutato ad entrare e lo sentiva spingere – Mettilo tutto dentro. - si sentiva invadere da un cazzo, per quanto timido, dopo due settimane di astinenza. - adesso mettiti un dito in bocca e poi toccami la fessa passando il braccio da sopra. Così, fai un cerchio – Guidava le sue mani mentre iniziava a bagnarsi. Poi tolse le proprie mani mentre sentiva che finalmente il suo giovane amante acquisiva piano piano il vigore promesso. Si alzò il vestito fin sopra il sedere. Vide il ragazzo che glielo guardava assatanato mentre ancora si muoveva piano dentro di lei. Sorrise – Che aspetti, dammi uno schiaffo. - sorrise di nuovo intenerita dalla gentilezza di quello schiaffetto – Questo è il meglio che sai fare? Fa l'omm'! - sorrise ancora pregustando il terzo schiaffo: sapeva che sarebbe stato quello giusto – Più forte! - sentì il bruciore sonoro dello schiaffo mentre sbatteva con la guancia sul comò – Ah! Mo si! - emise un gemito soddisfatto, finalmente sorridendo compiaciuta. Poi portò le mani verso il culo di lui, affondò le unghie nella carne giovane all'inizio delle sue chiappe. - Adesso segui il mio tempo. Esci piano piano ma lascia la punta dentro – sentiva il cazzo uscire fino ad essere quasi tutto fuori. Alla fine infilzava le unghie più a fondo – Quando lo dico io tutto dentro. Più forte che puoi. Ora! - Si sentì squarciare da un bastone duro ed enorme. - Aahhh! - un urlo più acuto di quanto credeva prima di esplodere in una risata soddisfatta. Le mai che si staccano dalle chiappe di lui insanguinate e cadono penzoloni, prima di decidersi a fare da appoggio sul mobile. Gli occhi finalmente allo specchio incrociano gli occhi vittoriosi e increduli dell'amante. Finalmente entrambi sorridevano complici – Adesso così. Sempre così -

Seconda botta. Troppo presto. Dettata dalla foga. Ma bella forte come la prima

Paola chiuse gli occhi e un sorriso beato iniziava a colorarle il viso. Era stato bello, anni prima, mollare tutto e partire. Lasciare un lavoro piatto e senza prospettive che si addiceva tanto al ruolo che volevano disegnarle addosso. Avere il coraggio di dire che quella del disegno non era lei. Aveva smesso con i tergiversamenti di quei fidanzamenti che non entusiasmavano mai ma promettevano sempre di durare. Aveva deciso di dire addio ai sensi di colpa e di inadeguatezza, come quelli che le scoppiavano nel cuore quando sentiva la noia sopraffarla, o quando incontrava uno dei suoi ragazzi dopo un tradimento estemporaneo. Ricordava il magone del giorno prima della partenza e l’incredibile senso di leggerezza quando dopo una settimana aveva preso possesso della propria vita spalancando le finestre della sua nuova casa. E allora sorrideva mentre sentiva lui scivolare piano piano fuori

Terzo colpo. Il ragazzo ci aveva preso gusto. Aveva estratto il pisello un po' di fretta per poi indugiare fra le labbra e colpire di nuovo bello deciso.

La prima volta era successo con il suo capo ai tempi del lavoro nella multinazionale. Era in Inghilterra da un paio di mesi e la vita filava liscia come avrebbe voluto. Si sentiva un po’ una stupida a provare quell’attrazione così scontata verso un uomo che si era dimostrato sempre e solo professionale e disponibile, attento ma distaccato. Era di una decina di anni più grande di lei e aveva moglie e figli esposti, come da copione, nelle foto sulla scrivania, ma guardava dritto negli occhi e sembrava sempre sul punto di saltarle addosso o di sfidarla in qualche modo. In passato si era sempre tuffata nelle storie in maniera istintiva con rocamboleschi avvolgimenti nei posti più diversi, ma il solo pensiero di farlo con lui le faceva tremare le gambe. Quando un pomeriggio, nel cortile, si sentì chiedere dove abitasse si rese conto subito che si trattava della prima volta che lui le chiedeva qualcosa che non riguardasse il lavoro. – Io invece vivo qui. – le passò un post-it con l’indirizzo e il codice per entrare – Perché non vieni oggi? – il resto della giornata era passato come se niente fosse mentre Paola non riusciva a togliersi quello scambio di battute dalla testa. Non si sarebbe mai aspettata una conversazione come quella eppure le sembrava una cosa così logica da dire, quasi naturale, senza stare li a formalizzarsi troppo. Sarebbe voluta andare nel suo ufficio a chiedere spiegazioni ma le sembrava un comportamento da stupida, così si era decisa ad ignorare la cosa e tornare a casa come sempre. All’uscita aveva salutato tutti come sempre. Si era incamminata a piedi fino alla stazione della sua linea come sempre. Davanti all’insegna aveva alzato gli occhi verso l’ingresso, aveva preso fiato sbuffando, e si era girata per chiamare un taxi. Al tassista che chiedeva istruzioni aveva allungato il biglietto. Era una villetta in una zona centrale, e non se l’era sentita di entrare facendo direttamente il codice. Aveva bussato. La porta si era aperta subito e il sole che entrava dalla vetrata sul giardino illuminava la sagoma di Tom ancora in piedi al citofono con indosso un accappatoio – Se avessi fatto il codice sarei potuto rimanere nella vasca -. Diceva mentre si spostava alle sue spalle per toglierle l’impermeabile – Vuoi qualcosa da bere? È stato facile arriva qui? – le si poneva davanti di nuovo, guardandola, come sempre, negli occhi. La toccò con la mano sul torace, sulla parte scoperta dai due bottoni finali della camicia, prima delicatamente, poi solo premendo col palmo del pollice con forza, e scendendo lentamente giù. Paola era curiosa e immobile, sarebbe stata pronta a fare qualsiasi cosa in quel momento. Il dito scendeva, ridiventava mano sulla pancia, e poi ancora dito all’altezza della cintura, sul pube, in mezzo alle gambe; adesso la stimolava strusciano il dorso del pollice al di sopra del tessuto del pantaloni proprio in prossimità della figa, che Paola sapeva calda e bagnatissima. Finalmente Tom girò la mano e iniziò a toccarla con tutta la sa passione: sembrava che potesse strappare il pantalone e infilarsi tutto dentro di lei a partire da quella mano. Paola aveva già voglia di venire e si malediceva per questo. Si malediceva per quella dannata mise da impiegata che aveva adottato come una divisa. Si malediceva perché sapeva che da curioso, il suo sguardo era diventato implorante. E si malediceva perché sapeva che aveva adesso quell’espressione ebete, con la bocca aperta e la mandibola tremolante, che diceva puoi fare di me quello che vuoi. Gli saltò addosso prima di scoppiare di piacere perché voleva baciarlo a tutti i costi, gli tolse l’accappatoio in un secondo e subito glielo prese in bocca, tutto, come una benedizione, iniziando a pompare come una forsennata staccandosi solo quando non riusciva più a respirare. A quel punto fu lui a prenderla per le braccia mentre lei si spogliava furiosa, e a sbatterla sul divano; a penetrarla, non appena ebbe aperto le gambe per offrirglisi in pasto; a farla venire come una bambina in una manciata di secondi.
Paola si alzò senza dire una parola, come non aveva detto una parola da quando era entrata, vergognandosi un po’ per quell’orgasmo istantaneo, raccolse le sue cose a testa bassa e corse in bagno a rivestirsi velocissima. Quando uscì, lui stava bevendo un bicchiere sulla poltrona. Ciao.


Quarto colpo. Finalmente. Era uscito con una lentezza spasmodica. Era rientrato giusto un po'. Poi sembrava stesse uscendo proprio tutto. E invece l'aveva buttato dentro per intero. Con forza. Era durissimo.

Con Tom iniziarono a vedersi più o meno una volta ogni dieci giorni. A lavoro mantenevano il rapporto di sempre e lui all'improvviso se ne veniva con messaggi sussurrati fra una cosa e l'altra, messaggi che sembravano un invito ma che lei non si sarebbe mai sognata di rifiutare. Al contrario di quello che aveva pensato tornando a casa dopo la prima volta, quando si era detta decisa che da allora in poi sarebbe stata lei a condurre il gioco, Paola fu per tutto quel tempo una partner di risposta. La verità era che come in quel primo incontro lui le aveva aperto le porte di quella seduzione animale, fatta di sguardi, sensazioni, e nessuna parola esplicita, così in tutti gli altri appuntamenti Tom le aveva fatto sperimentare qualcosa che per lei era una novità assoluta, facendola scendere di volta in volta più in profondità negli abissi del proprio piacere e della propria personalità erotica. Era stato Tom il primo a scoparla nel culo, il primo a legarla, il primo a frustarla e a farsi frustare, ma solo quando ritenne che lei fosse pronta per assumere il comando.
Alla fine decise di abbandonare quel lavoro che non l'aveva mai rappresentata. Lo disse alle risorse umane e poi passò per il suo ufficio – Bene. Sono contento che tu scelga la tua strada. - fu l'unica risposta, distaccata e professionale come al solito. Sapeva che difficilmente l'avrebbe rivisto, e non si sbagliava. Subito dopo venne il dottorato. Trentuno anni. Aveva imparato ad amare la donna che era diventata, la propria solitudine. Pensava a Tom con sincera gratitudine perché senza di lui non si sarebbe mai scoperta, o forse sarebbe semplicemente toccato ad un'altra persona. Aveva imparato a inseguire quella donna, fidarsi del suo istinto e della sua sicurezza, soddisfarne curiosità e voglie. Alla fine lo aveva pure incontrato, di nuovo, con sua moglie, in un posto per scambisti – e così tu sei l'amica di mio marito di qualche anno fa – erano stati insieme. Quella sera e anche altre. Tutte le mattine, immancabile, aveva imparato che le piaceva iniziare la giornata con una passeggiata al parco.

Quinto colpo. Estasi. Il ragazzo era finalmente padrone della situazione e colpiva a dovere

Che troietta, sua cugina. Che mancanza di grazia. E allo stesso tempo che coraggio, che saper stare al mondo. Abbandonarsi così al panico dei legami e del tempo che passa, e concedersi una fuga. Chissà che cosa aveva combinato dietro quegli scogli. Chissà se aveva poi avuto il coraggio di andare fino in fondo o se aveva fatto solo la stupida. Chissà fino a dove si era spinta. Si era accucciata fra i due cazzi o si era fatta schiacciare come lei. Chissà se pensava di rifarlo o se aveva archiviato la cosa come una goliardia. Si era scoperta in quel momento? Forse aveva solo realizzato una fantasia che cullava da tempo. La eccitava comunque, sapere di questa evasione e averla vista commuoversi poco prima. In fondo, quel saper stare al mondo, le sembrava che rendesse il mondo più facile

Sesto colpo

Marco si era allontanato dal portone di casa a gambe larghe, tanto che era eccitato l'ultima volta. Era stata davvero una stronza. Eppure la inteneriva quella voglia tracotante e repressa, per rispetto di un'idea di amore o di futuro che sapeva di dolce. Si chiedeva quale potesse essere il modo più bello di concedersi, ed era sicura di essere molto più esperta di lui. Avrebbe potuto fare un amore classico e intimo, magari dopo una cena a casa. Oppure avrebbe potuto sorprenderlo in un momento inaspettato, ai limiti dell'inopportuno. O ancora. Poteva farsi trovare a pecora, sul letto, magari con le mani legate. Moriva dalla curiosità di leggere la sorpresa nei suoi occhi e gustarne la reazione. Intanto si godeva tutte quelle carinerie che straripavano di desiderio.

Settimo colpo

Ottavo colpo. Il pisello inizia a vibrare e il ragazzo gemeva.

Paola alzò finalmente lo sguardo: il ragazzo aveva chiuso gli occhi, stava per esplodere.

Nono colpo. Più rapido. Sentì, l'esplosione del suo amante tutta dentro e rise giocosa stringendogli la mano

Decimo colpo. Spasmi. Gioia. Rilassamento. Un rivolo di nettare le scendeva dall'interno coscia fino al piede e lei ne seguiva con la mente il percorso, godendosi ogni centimetro. Sorridendo ancora. Beata. Silenziosa.

Si alzò soddisfatta, divertita, con la schiena indolenzita. Notò i segni sulle natiche dell'amante, li accarezzò con compiacimento. Vi appoggiò le labbra in un bacio tenero. Guardò la sua faccia da adolescente: una faccia sconvolta che paragonava inevitabilmente a quella del cameriere spavaldo di solo mezz'ora prima.

Si abbassò il vestito e se lo stirò addosso passandoci due o tre volte le mani sopra. Raccolse le mutande dal pavimento, se le girò tra le dita e decise di metterle in borsa.
Fece un cenno di saluto con la mano e uscì dalla stanza.

Al tavolo stavano servendo i dolci. Assaggiò un cucchiaio di macedonia e sentì gli aromi zuccherosi della frutta che le stimolavano le papille gustative. Bevve due bicchieri d'acqua e poi si riempì un ultimo calice.

Lì sotto la sua passera ancora in fiamme godeva della frescura dell'aria aperta.
Era proprio una bella serata.

PER CONTATTI E SCAMBIO RACCONTI desionico@libero.it
scritto il
2025-05-11
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