Semplicemente Giulia

di
genere
pulp

La luce leggermente azzurrognola dei fari illumina la rampa di grigio cemento che scende nel ventre molle del grande parcheggio sotterraneo. Giulia l’ha percorsa decine, centinaia di volte, e questa sera non è diversa da tutte le altre.
Le diciotto sono passate da un pezzo ed è per questo che il piano riservato agli abbonati è già praticamente vuoto. Passando attraverso pilastri di grezzo cemento si dirige verso un parcheggio posto nell’angolo creato dal muro perimetrale e da quello del vano scale, un piccolo vantaggio dell’andare al lavoro quando gli altri hanno già finito.
Si china sul sedile del passeggero, raccoglie la borsa e la giacca leggera e apre la portiera. Quando la richiude un tonfo sordo rimbomba sui muri duri e spogli mentre l’aria fresca le accarezza la pelle. Giulia non si è mai vista particolarmente carina: né troppo alta né troppo bassa, né troppo magra né grassa, non una bellezza da tre occhiate ma almeno un paio nessuno gliele negava. Quando si osserva allo specchio ride pensando che, se non fosse per qualche tatuaggio ardito e per un paio di piercing, lei stessa si definirebbe “graziosamente ordinaria”.
La luce arancione delle quattro frecce illumina i muri grigiastri mentre un beep si riflette sugli stessi. Ripassa mentalmente la lista delle cose da prendere e si ricorda di non aver staccato lo smartphone dal caricabatterie. Altro beep, altre luci arancioni e il suono della portiera che si apre un’altra volta. Giulia si china all’interno ed è per quello che non vede l’ombra che si muove veloce dietro di lei.
Solo quando sta per chiudere la portiera percepisce qualcosa ma, prima che possa anche solo rendersene conto, viene sbattuta di peso contro la sua stessa auto. Il suo cervello fatica a capire cosa sta succedendo e, quindi, a capire come reagire. Tutto troppo improvviso, troppo veloce, troppo imprevedibile, come il braccio che le cinge braccia e torso e la mano che le tappa la bocca.
Passato lo shock iniziale non le ci vuole molto a comprendere che la persona alle sue spalle è molto alta ed altrettanto robusta e quando la alza di peso Giulia sa anche che è molto forte. L’istinto le urla “combatti o scappa” ma in quel momento entrambe le possibilità sembrano ipotesi poco plausibili. Certo, prova a scalciare, a colpire usando il tallone, ma la maggior parte dei colpi va a vuoto e sortisce meno effetto dei suoi mugugni e lamenti soffocati. Lui la sta spostando di peso senza alcuno sforzo e lei non può fare altro che sperare di avere un’occasione, un mezzo secondo per riprendere il controllo, non per combattere ma per scappare.
Quando viene spinta contro il cofano della propria auto è quasi sicura di poter rotolare di lato e poi scattare per un metro verso lo stretto passaggio fra l’auto e il muro, sufficiente per lei ma non certo per il suo aggressore. Sente il cuore nel petto che pompa a mille, i muscoli tesi in attesa di quell’istante e il tempo che sembra rallentare ma un secondo diventa due, due diventano cinque e la pressione che la tiene incollata al metallo verniciato della sua auto non accenna a diminuire.

Lui la immobilizza contro l’auto usando il solo peso del corpo mentre con la mano sinistra le copre la bocca e le tira con forza la testa all’indietro. Si prende un secondo per compiacersi di come, almeno per il momento, tutto sia andato come aveva immaginato, come aveva pianificato: niente gente in giro, niente urla, niente suoni, nulla. Tutto tranquillo, tutto secondo i piani.
Con la mano libera scende lungo il fianco di lei, supera l’orlo della gonna di cotone nero e, appena sente il contatto con la pelle nuda, si spinge sotto il tessuto e inizia la risalita. La sua mano si muove veloce finché la punta delle dita percepisce quello che stava cercando, il tessuto più morbido e delicato della biancheria.

Giulia sente, sente tutto, sente quel tocco troppo ruvido per essere una carezza, sente il calore di una pelle non sua e dita che si inarcano e afferrano un lembo di stoffa. È questione di una frazione di secondo: si sente tirata indietro per la vita ma non può arretrare perché lui la tiene bloccata, quindi un suono distintivo, quello della stoffa che si lacera in un piccolo punto per poi spaccarsi completamente.

Gli ci vuole più forza di quella che aveva immaginato ma la sua mano riemerge da sotto il tessuto nero della gonna tenendo quello che fino a due secondi prima erano le mutandine di lei, adesso ridotte ad un lembo informe di raso bianco.

Giulia lo sa. Quell’uomo non è lì per la sua borsa, il suo telefono o la sua auto, quell’uomo è lì per lei e così, istintivamente, quando la mano di lui allenta la presa sulla bocca, lei la apre per gridare con tutto il fiato che può. O meglio, ci prova soltanto perché prima che possa emettere mezzo suono la sua bocca viene riempita da quello stesso tessuto che poco prima celava il suo sesso e proprio perché il suo cervello si sta focalizzando su questa informazione non si accorge che le sue mani, tirate dietro la schiena, vengono cinte da una spessa fascetta di plastica.

Visto che non deve più preoccuparsi di eventuali urla, solleva le braccia di Giulia e, sfruttando la leva offerta dalle articolazioni delle spalle, la inchioda ancora di più contro il cofano mentre un fievole mugolio di dolore riesce a passare fra le fibre del tessuto. Molto bene, dice a sé stesso senza muovere le labbra mentre la mano libera torna a scorrere sul fianco di lei. Poi sulla coscia e, afferrato l’orlo della gonna, lo afferra, lo alza e lo blocca sotto la fascia della vita.
Osserva i glutei di Giulia che si protendono verso di lui, morbide curve di un bianco pallido che non può fare a meno di accarezzare. Le sue dita scorrono sulla pelle calda, prima verso il basso e poi verso l’alto. Una, due volte, prima che un singolo dito si infili in quella incantevole ed invitante vallata.

Giulia non sa su cosa concentrarsi. Sul dolore che sente provenire dalle spalle o sul dito invasore che sta esplorando il solco fra i suoi glutei? Una cosa la distrae dall’altra ma, appena le sue grandi labbra percepiscono un contatto alieno, la reazione è immediata e istintiva e le sue cosce si serrano con tutta la forza che può.
Un secondo dopo un suono argentino e vivo riverbera in quello spazio vuoto.
Passa un altro secondo e una sensazione di caldo si irradia dal suo gluteo destro.
Scocca il terzo secondo e le sue spalle iniziano ad implorare pietà.
Combatti o scappa…. O fai quel cazzo che devi per sopravvivere, questo le deve passare per la testa mentre le sue cosce si rilassano e si allontanano aprendo così la strada che conduce al suo sesso.

Vedendo la reazione di Giulia allenta la presa e le permette di abbassare le braccia di qualche centimetro, quanto basta perché il dolore si attenui ma non tanto da farlo sparire del tutto. Adesso che la strada è sgombra, la sua mano può insinuarsi fra le calde cosce di lei e le sue dita possono raggiungere agevolmente quella pelle delicata, umida e bollente.
Si sofferma qualche secondo a disegnare i contorni delle grandi labbra, poi si spinge in avanti e con deliberata calma insinua la punta di un dito sotto il cappuccio clitorideo e inizia a giocarci. Movimenti e regolari, calmi e misurati, il cui scopo è talmente evidente da non necessitare spiegazione…

Ad ogni azione corrisponde una reazione. Il dito di lui stimola il clitoride. Le cosce di Giulia si allargano impercettibilmente. La forza con cui lui tiene alzate le braccia di Giulia diminuisce. Per lunghissimi istanti questo circolo sembra ripetersi all’infinito, almeno finché il dito di lui si ferma e inizia ad arretrare.
Quando giunge sulle piccole labbra basta una leggera pressione perché si schiudano e gli diano ampio e libero accesso e non c’è stupore nello scoprire che si tratta di un luogo morbido, caldo ed estremamente umido.

Giulia lo sente, il suo corpo lo sente, sente quell’estraneo che la invade, che la esplora, che ne saggia le pareti. Sente quel dito accarezzare la sua tenera carne e provocare dolci brividi che, risalendo la spina dorsale, le arrivano al cervelletto come tante piccole scosse. Potrebbe mentire a sé stessa e dire che è una reazione normale, involontaria, ma starebbe mentendo perché ciò che sente, ciò che prova, sono brividi di piacere. Ed involontaria eccitazione.
Quasi le dispiace quando l’intruso se ne esce lentamente e le sue piccole labbra si richiudono ma non è tanto sciocca da pensare che questa sia la fine e un rumore familiare ne è la conferma.

L’uomo apre la zip e con qualche difficoltà estrae quello che a tutti gli effetti può degnamente essere chiamato “cazzo”. Si era immaginato quella scena, quel momento, così tante volte che, adesso che lo sta vivendo, gli sembra che il suo membro sia sul punto di esplodere. Mai era stato così eccitato, mai la sua asta era stata tanto gonfia e rigida quasi da fargli male. Anzi, senza quasi.
Afferra la base giusto quanto serve per dirigerla verso quella carne tenera e succosa, luccicante di umori. Quando ai appoggia sulle piccole labbra la resistenza è praticamente nulla.
Una frazione di secondo ed è dentro di lei e scivola, vittorioso, fino in fondo.

Una frazione di secondo e la certezza si trasforma in realtà. Lui l’ha penetrata. Lui l’ha presa. Le sue piccole labbra si sono arrese senza opporre alcuna resistenza, senza protestare. Tradita dalla propria fica che si è aperta come se avesse voluto ricevere l’aggressore in pompa magna spianandogli la strada fino alla parte più interna di sé.
Tradita. Penetrata. E, per quanto lo vorrebbe negare, vergognosamente eccitata.

Una volta abbattute le difese non c’è ragione per avere pietà. Con movimenti via via più lunghi e veloci l’uomo inizia ad affondare dentro di lei fino a sbattere contro la cervice provocandole piccole fitte di piacevole dolore e incontrollabili sussulti.

Piacere e dolore si mischiano così come il desiderio e la vergogna. Giulia non sa come risolvere questa dicotomia, come farla funzionare, ma lì, abusata sul cofano della sua auto, impossibilitata a reagire o gridare, inizia a farsi domande che non possono avere risposta.
Mezza denudata, immobilizzata e scopata con foga più che con rabbia, sente che il piacere sta lentamente prendendo il sopravvento su tutto il resto. Percepisce quelle onde farsi via via più grandi sino a nascondere tutto il resto, a farle dimenticare dov’è. Così chiude gli occhi come per obbligare il suo cervello a concentrarsi su tutto il resto.
Ma il suo cervello non coglie solo le sensazioni che provengono dal suo basso ventre ormai gonfio di eccitazione, madido di umori, perché un suono diverso si palesa poco a poco. Non è il rumore dell’auto che oscilla sotto i movimenti dell’uomo ma un vocìo, un chiacchiericcio, che sembra avvicinarsi.
Giulia pensa che sia la sua immaginazione finché non sente un altro rumore, quello di una porta che si apre, allora apre gli occhi e scorge una lama di luce che si allarga. Pochi istanti e due donne oltre la trentina varcano la soglia, il rumore dei loro passi adesso si sente distintamente. Ancora non le può vedere perché sono nascoste oltre l’angolo ma potrebbero sentirla se gridasse con quanto fiato ha nei polmoni.
Quel pensiero viene spento dal corpo dell’uomo che si appoggia di peso alla sua schiena senza uscire da lei. Per lunghissimi attimi rimane immobile ma, appena le due donne sono ad una ventina di passi, ecco che ricomincia a muoversi.
Avanti e indietro, avanti e indietro, senza soluzione di continuità. E poi ricomincia a penetrarla, a scoparla, con quella foga che aveva prima mentre le ignare figure continuano a chiacchierare. Se solo si girassero, pensa Giulia, non potrebbero non vederla. Se solo si girassero e la fissassero negl’occhi… se solo si…
E poi arriva e spazza via tutto, spazza via i “se”, spazza sia i pensieri, spazza via tutto. È l’onda impetuosa di un piacere sporco e, proprio per quello, ancora più intenso. È grande, travolgente e lunghissima e lei finisce sott’acqua, trattiene il fiato, serra le labbra. Anche se pochi secondi fa avrebbe voluto gridare, ora non vuole emettere un suono, non vuole che quell’onda sparisca o che qualcuno la fermi.

Anche lui lo sente. I muscoli vaginali iniziano a stritolargli il cazzo, gli si avvinghiano come a non volerlo lasciar andare. Non che lui ne abbia alcuna intenzione e, anzi, si muove con ancora più intensità. Affonda dentro di lei come se volesse trafiggerla da parte e parte senza darle un minimo di respiro. La sola idea che lei stia godendo, che lei stia venendo, a pochi metri da due sconosciute che chiacchierano, gli dà una scossa tale da aumentare il ritmo oltre quanto sarebbe prudente.
La prudenza, si dice, non è mai troppa ma in quel momento non gliene importa nulla. Nel momento in cui, finalmente, vede compiersi il suo desiderio, l’unica cosa che vuole fare è aggiungere l’ultimo tassello e marcarla come cosa sua, segno indelebile invisibile all’esterno che lei si porterà dietro per sempre.

Dentro di Giulia le onde non sono cessate. Non sono più grosse come la prima ma continuano ad arrivare e, proprio mentre si sta godendo questa continuità, si accorge che qualcosa è cambiato. L’uomo dietro e dentro di lei sta accelerando. Le sue mani forti le cingono i fianchi e ritmicamente la tirano a lui e la spingono via. No, non ha dubbi Giulia, e quando arrivano quegl’ultimi istanti lo percepisce subito. Un affondo, poi un altro e poi un altro ancora, fino a raggiungere l’antro più profondo di lei e bloccarsi. Istanti, e sente che, nonostante l’uomo sia immobile, il cazzo dentro di lei inizia a muoversi in preda a prolungati spasmi.
Non è sicura se davvero senta i fiotti di sperma che la stanno riempiendo o se, invece, sia solo la sua immaginazione. Ma non le importa perché quel pensiero unito al piacere fisico le ha nascosto l’ultima, lunghissima onda, che la travolge.

Me lo sono immaginato, chiede o forse dice a sé stessa mentre, seduta sul freddo pavimento e con la schiena appoggiata alla portiera, fa lunghi respiri.
Magari vorrebbe che la risposta fosse un deciso sì ma le righe rosse sui suoi polsi sembrano suggerire il contrario e anche le sue spalle ancora indolenzite parrebbero della stessa opinione. E poi, ci sono le sue mutandine strappate a pochi centimetri dal suo piede.
E se questo non bastasse, non solo il basso ventre è ancora gonfio e pulsante ma è sporco di umori troppo abbondanti, densi e biancastri perché siano suoi.

E allora non può fare altro che rimanere lì per chissà quanto a meditare sull’assurdità di quella situazione, a chiedersi se sia stato un sogno, un incubo o un’allucinazione. Secondi che diventano minuti prima che Giulia trovi la forza di alzarsi, darsi una controllata, sistemarsi alla bell’e meglio, raccogliere le sue cose e incamminarsi verso la porta, poi su per le scale e, infine, tuffarsi nell’aria fresca della sera. È veramente successo, chiede alla brezza senza ottenere risposta.

Se non fosse per quell’inquietudine che la rende malferma sulle gambe si potrebbe dire che il turno al bar sta scorrendo via come al solito fra habitué già alticci, voci fin troppo alte e bottiglie che si svuotano più velocemente di quanto lei riesca a sostituirle.
Un altro venerdì sera come tanti, se non fosse per… ma prima che riesca a finire la frase ecco che una voce la richiama alla realtà.
“Giulia, mi dici quanto ti devo?”
“Quattro spritz, giusto?”. È una domanda retorica che le esce in automatico.
Giulia fa un rapido calcolo mentale mentre alza lo sguardo verso gli occhi verdi dell’uomo davanti a lei che annuisce in segno di approvazione.
“Allora sono novanta euro.”
Nonostante la sovrasti di un buon venti centimetri e una stazza che è il doppio di quella di Giulia, l’uomo ha uno di quei visi che sono semplicemente incapaci di espressioni meno che rassicuranti. E se in quel momento lascia trapelare perplessità, lo fa in modo assolutamente leggero.
Lui piega leggermente la testa mentre Giulia fa un passo avanti e avvicina le labbra all’orecchio di lui.
“Quaranta euro per gli spritz… cinquanta per le mie mutandine” e in quel momento un rivolo di eccitazione e piacere le scorre fra le cosce.
di
scritto il
2025-03-06
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