Sesso Proibito con la Sorellastra - capitolo 1

di
genere
incesti

Non era sempre stata una presenza costante, Gabriella. Da quando ero andato a vivere con mia madre e il suo compagno, quattro anni prima, lei era più una figura sfuggente che un elemento fisso della nostra nuova famiglia. Dormiva raramente a casa, preferendo passare quasi tutto il suo tempo dal fidanzato, e la sua presenza si limitava a qualche sporadica visita durante le feste o in altre occasioni particolari. Anche allora, non si faceva mai notare troppo. Una cena, un saluto veloce, e poi spariva nella sua stanza o tornava subito da lui.

Io avevo vent’anni, ricciolino e piuttosto alto, e vivevo ormai in questa nuova routine da tempo. Condividevo la casa con mia madre, il suo compagno, e quella che tutti chiamavano mia “sorellastra”. Un legame di sangue non c’era; Gabriella era semplicemente la figlia del compagno di mia madre, ma per il mondo eravamo fratello e sorella. Una situazione che, fin dall’inizio, avevo accettato senza particolari drammi, anche perché lei non era mai stata davvero parte della mia quotidianità.

La casa in cui vivevamo era grande, sviluppata su un solo piano. Avevamo due bagni, uno grande e uno più piccolo di servizio, e un salone spazioso dove passavamo le rare serate insieme. La stanza di Gabriella era proprio di fronte alla mia, un dettaglio che fino a poco tempo prima non aveva significato molto. Lei lavorava in una yogurteria, un lavoretto leggero ma perfetto per qualcuno come lei, disordinata, pigra e con quell’aria un po’ distratta. Io invece studiavo, alternando le lezioni alle ore chiuso in camera, perso tra libri e qualche partita online.

Gabriella, però, aveva sempre attirato la mia attenzione, anche in quei momenti fugaci in cui incrociavamo i nostri percorsi. Era impossibile non notarla. Bassina, con una carnagione chiarissima che la faceva sembrare ancora più morbida e delicata, aveva un corpo sodo e formoso che attirava sguardi senza il minimo sforzo. Il suo viso dolce, incorniciato da lunghi capelli castano scuro ondulati, era reso più interessante dal naso piccolo e leggermente all’insù, dalle guance morbide e dagli occhi castano chiaro, sempre nascosti dietro spessi occhiali da vista. Ma erano le sue labbra a colpirmi di più: carnose, morbide, sempre leggermente socchiuse in un’espressione naturale che sembrava un invito, anche quando non lo era.

Fisicamente, Gabriella stava bene, anche se era un po’ morbida. Forse era proprio questo il suo fascino: un seno abbondante che appariva morbido e pieno, cosce grosse e sode che reggevano un fondoschiena grande e perfetto, il tipo di curve che difficilmente si dimenticano. Si muoveva con una naturalezza che contrastava con il suo carattere schietto, quasi rozzo, e con quell’accento napoletano che rendeva ogni sua frase più diretta, più vivace.

Ultimamente, però, qualcosa era cambiato. Gabriella era tornata a frequentare la casa più spesso, spiegando vagamente che aveva bisogno di staccarsi un po’ dal fidanzato. Non avevamo mai avuto un rapporto stretto, io e lei. Le nostre conversazioni si limitavano a qualche parola scambiata in cucina o nel salone, quando ci incrociavamo per caso. Eppure, ogni volta che la vedevo, ogni volta che passava davanti a me con i suoi occhiali spessi e il suo sguardo distratto, sentivo crescere dentro di me un’attrazione che non volevo ammettere neanche a me stesso.

Era qualcosa di sbagliato, o almeno avrei dovuto pensarlo. Eppure, nella mia testa, Gabriella non era mai stata una “sorella”. Era sempre stata una donna, e il fatto che fosse così lontana dal mio mondo, così sfuggente, la rendeva ancora più irresistibile.

E quando cominciò a passare più tempo in casa, non potevo fare a meno di chiedermi: quanto sarebbe stato difficile mantenere le distanze?

Era una mattina come tante altre, o almeno così sembrava. La casa era silenziosa, come al solito. I nostri genitori erano usciti presto per andare al lavoro, lasciandoci soli in casa. Gabriella era tornata la sera prima, e come al solito, era passata quasi inosservata. Non sapevo nemmeno se fosse in casa fino a quando, uscendo dalla mia stanza, non sentii un rumore metallico provenire dalla sua camera.

Mi affacciai sul corridoio, ancora assonnato, e vidi che la porta della sua stanza era socchiusa. Mi avvicinai e la trovai lì, inginocchiata sul tappeto, con un mucchio di pezzi di legno e viti sparsi intorno a lei. Stava cercando di montare uno scaffale, un’impresa che sembrava già sul punto di fallire.

Indossava una maglia aderente bianca, con uno scollo a V che abbracciava il suo seno abbondante, e dei pantaloni di pelle nera così attillati che sembravano fatti apposta per esaltare le sue curve. Ai piedi aveva delle sneakers consumate, e i suoi capelli castano scuro erano legati in una coda alta, lasciando scoperto il viso incorniciato dagli immancabili occhiali. Nonostante il disordine intorno a lei e la sua espressione concentrata, era incredibilmente sensuale.

«Che stai facendo?» chiesi, appoggiandomi alla porta.

Gabriella alzò lo sguardo verso di me, spingendo indietro con un dito gli occhiali che scivolavano lungo il naso. «E che si vede? Sto cercando di montare ’sta roba. L’ho comprata ieri, ma mica capisco niente delle istruzioni.»
«Non è che stai facendo un gran lavoro, a quanto pare,» risposi con un sorriso ironico.

Lei sbuffò, ridendo sotto voce. «E allora vieni a darmi una mano, genio. Vediamo se sei buono almeno a questo.»

Mi avvicinai, abbassandomi accanto a lei. Le istruzioni erano sparpagliate sul pavimento, e lei le aveva già accartocciate in preda alla frustrazione. «Hai almeno controllato di avere tutte le viti?» le chiesi.
Gabriella mi guardò con un’espressione che era un misto tra irritazione e divertimento. «E che ne so? Mo’ vuoi pure che le conto?»

Risi, scuotendo la testa, e iniziai a mettere un po’ d’ordine tra i pezzi. Lavorammo fianco a fianco per circa mezz’ora, lei seduta sul tappeto con le gambe incrociate, io accovacciato vicino. Ogni tanto, il mio braccio sfiorava il suo, e lei faceva qualche commento scherzoso sul mio modo di lavorare.

«Ah, vedi che sei bravo? E io che pensavo fossi buono solo a stare chiuso in camera a fare il nerd.»
«E tu invece sei brava solo a fare casino,» risposi, mentre stringevo una vite con il cacciavite.

Quando finalmente riuscimmo a montare lo scaffale, lei si alzò, lisciandosi i pantaloni con le mani. Lo spostò contro il muro, poi iniziò a sistemarci sopra libri, scatole e qualche soprammobile. Io rimasi seduto lì, osservandola mentre si muoveva. Il modo in cui si piegava leggermente in avanti per raggiungere i ripiani alti attirava inevitabilmente il mio sguardo.

Il tessuto aderente dei suoi pantaloni di pelle metteva in evidenza il suo fondoschiena, perfettamente rotondo e sodo, e per un attimo non riuscii a staccare gli occhi. Lei se ne accorse, naturalmente. Non c’era modo che non lo facesse.

Si girò lentamente verso di me, con un sorriso divertito che le incurvò le labbra carnose. «Che c’è? Ti piace il panorama?»
Il sangue mi salì alla testa, e tentai di distogliere lo sguardo, ma era inutile. Balbettai qualcosa di incomprensibile, cercando una scusa, ma lei non mi lasciò scappare.

«Ho un bel culo, eh?» disse, schietta come sempre, con quell’accento napoletano che rendeva tutto più diretto.
Non sapevo come rispondere. Lei incrociò le braccia sotto il seno, aspettando. Alla fine, presi coraggio e la guardai negli occhi. «Sì, è vero. Però sarebbe meglio vederlo meglio.»

Gabriella rise, una risata bassa e maliziosa, poi senza dire una parola si girò di nuovo verso lo scaffale. Lentamente, con un gesto che sembrava quasi casuale, abbassò leggermente i pantaloni, rivelando un paio di mutandine di pizzo viola che esaltavano ancora di più le sue curve.

Il cuore mi batté forte, e per un attimo pensai di essermi immaginato tutto. Ma no, era reale. Lei si voltò a guardarmi sopra la spalla, il sorriso ancora più provocante. «E ora? Va meglio?»

Non sapevo cosa dire. Le parole mi rimasero bloccate in gola, e il mio cervello sembrava essersi fermato. Il momento era carico di tensione, e io ero lì, incapace di decidere cosa fare.

Gabriella si voltò completamente verso di me, appoggiandosi con una mano al bordo dello scaffale appena montato. Il suo sorriso era un misto di sfida e divertimento, un’espressione che non avevo mai visto su di lei prima. Incrociò le braccia, sollevando leggermente il seno sotto la maglia aderente, e inclinò la testa di lato.

«E allora?» chiese, fissandomi con i suoi occhi grandi e castano chiaro. «Che ti sei bloccato? Non ti è piaciuto il regalo?»

Il mio respiro si fece irregolare, e sentii le guance diventare bollenti. Cercai di recuperare un minimo di lucidità, ma non era facile con lei che mi guardava in quel modo. «Gabriella, smettila… non è…» balbettai, cercando di trovare le parole giuste.

Lei si avvicinò di un passo, gli occhiali che scivolavano di nuovo sul naso. Li spinse su con un dito, poi si chinò leggermente verso di me, lasciando che il suo profumo dolce e familiare mi avvolgesse. «Non è cosa, Ale?» domandò con voce bassa, quasi un sussurro. «Non è giusto? Non è normale? Non è quello che vuoi?»

Scossi la testa, cercando di allontanarmi, ma ero già seduto sul pavimento, con la schiena contro il letto. Lei si chinò davanti a me, i gomiti appoggiati sulle ginocchia e il sorriso ancora stampato sul viso.

«Dai, non fare il timido,» continuò. «Ho visto come mi guardavi. Non è la prima volta, vero?»
«Gabriella, sei… sei fidanzata,» risposi, finalmente trovando un appiglio. «Non possiamo fare queste cose. E poi… siamo praticamente una famiglia.»

Lei rise, una risata bassa e ironica, mentre scuoteva la testa. «Praticamente una famiglia, eh? Guarda che non abbiamo mica lo stesso sangue. E poi, fidanzata?» Fece spallucce, alzandosi lentamente. «Non è che lui si sta comportando proprio da fidanzato ultimamente. E comunque, non mi sembra che a te interessi così tanto di lui, no?»

Io rimasi zitto, incapace di rispondere. Lei si girò di nuovo verso lo scaffale, appoggiandosi con entrambe le mani e inclinando il bacino in modo che il fondoschiena fosse ancora più in evidenza.

«Lo sai,» disse, con un tono quasi casuale, «sono mesi che non mi diverto davvero. Non ti sembra un peccato?» Poi si voltò appena, guardandomi sopra la spalla. «E tu? Quando è stata l’ultima volta che ti sei divertito un po’? O sei troppo impegnato con i tuoi videogiochi per pensarci?»

Mi irrigidii, il viso che bruciava. «Non è questo il punto, Gabriella. Non possiamo…»

Lei si avvicinò di nuovo, questa volta piegandosi verso di me con un movimento fluido. Si inginocchiò sul tappeto, proprio davanti a me, così vicina che sentii il calore del suo corpo. Prese la mia mano, e prima che potessi tirarla via, la portò al suo fianco, facendola scivolare leggermente contro il tessuto liscio dei suoi pantaloni di pelle.

«E chi dice che non possiamo?» sussurrò, il tono malizioso. «Guarda che non ti mangio mica, Ale. A meno che non vuoi che lo faccia.»

Trassi un respiro profondo, cercando di mantenere il controllo. Tirai indietro la mano, scuotendo la testa. «Basta, Gabriella. Ti rendi conto di quello che stai facendo? Non possiamo farlo. È sbagliato.»

Lei si sedette sui talloni, appoggiandosi con le mani sulle cosce, e mi fissò con un’espressione seria, anche se il sorriso giocoso non era sparito del tutto. «Sbagliato per chi? Per mamma e papà che non ci sono mai? O per il tuo senso di colpa da bravo ragazzo?» Scosse la testa. «Ale, lo so che mi vuoi. E non devi neanche sentirti in colpa per questo. Perché, indovina un po’? Anche io ti voglio.»

Quelle parole mi colpirono come un pugno. Non potevo credere che le stesse dicendo, eppure il suo sguardo non lasciava spazio a dubbi.

«Gabriella… io…»
Lei si sporse di nuovo, appoggiando una mano sul mio petto. «Shh. Non devi dire niente,» mormorò. «Basta che smetti di pensare. Solo per una volta.»

La sua mano scese lentamente lungo il mio torace, fino a fermarsi sul bordo della mia maglietta. La sua vicinanza era insopportabile, e sentivo il mio autocontrollo vacillare. Eppure, dentro di me, c’era ancora qualcosa che mi tratteneva.

«Non posso,» dissi, la voce debole. «Sei… sei mia sorellastra. E c’è lui… il tuo fidanzato.»
Lei alzò gli occhi al cielo, quasi esasperata. «Ah, Ale, sei proprio un bravo ragazzo, eh? Ma forse è proprio per questo che mi piaci.» Si fermò un attimo, scrutandomi. Poi sorrise, questa volta con più dolcezza. «Ma va bene. Se vuoi fermarti qui, ci fermiamo. Però, dimmi una cosa.»

Esitai. «Cosa?»

Gabriella si avvicinò ancora di più, finché le sue labbra furono a pochi centimetri dalle mie. «Se non fossi io… se non fossi la tua sorellastra… lo faresti?»

Non risposi. Non potevo. Lei lo sapeva, e quel silenzio le bastò.

Gabriella rimase inginocchiata davanti a me, osservandomi con quel sorriso che sembrava un mix di divertimento e sfida. La sua mano, ancora appoggiata sul mio petto, fece un movimento appena percettibile, come se aspettasse qualcosa. Io, invece, rimasi immobile, il cuore che mi batteva forte contro il petto.

«Allora, Ale,» mormorò, la sua voce bassa e vellutata, «che fai? Te ne vai, o resti?»

Era un bivio, e lo sapevamo entrambi. Mi mordicchiai il labbro, indeciso, ma il mio corpo aveva già preso una decisione prima che la mia mente potesse opporsi. Lentamente, quasi tremando, sollevai una mano e la posai sul suo fianco. Il tessuto liscio dei pantaloni di pelle era caldo sotto le dita.

Lei sorrise, compiaciuta, e si avvicinò ancora di più, facendomi sentire il suo respiro contro la pelle. «Ecco, bravo,» sussurrò. «Vedi che non è così difficile?»

Mi spostai appena, lasciando che la mano scivolasse più in basso, fino a sfiorare il suo fondoschiena. Il contatto mi fece trattenere il fiato, e il calore del suo corpo era quasi troppo da sopportare.

Gabriella ridacchiò, ma il suo tono era pieno di desiderio. «Vai pure, Ale. Toccalo. Tanto lo so che lo vuoi fare da una vita.»

Esitai, le dita appena appoggiate, ma lei si mosse contro di me, spingendosi contro il mio tocco. «Forza,» mi incoraggiò, abbassandosi fino a sussurrarmi all’orecchio. «Non farti pregare.»

Con un respiro tremolante, strinsi leggermente, afferrando con più decisione le curve del suo fondoschiena. Era morbido e pieno sotto le mie mani, e il gesto fece scattare qualcosa in lei. Gabriella si mosse più vicino, salendo a cavalcioni sulle mie gambe, mentre il suo sorriso si trasformava in un’espressione più seria, più affamata.

Le sue mani salirono lungo il mio collo, le dita infilate nei miei capelli ricci. «Ecco, vedi?» mormorò, le sue labbra appena a un soffio dalle mie. «Non c’è niente di male. È solo… divertimento, no?»

Non risposi. Le mie mani si muovevano lentamente su di lei, come se stessi esplorando qualcosa di proibito, mentre il suo corpo si premeva contro il mio. Gabriella abbassò lo sguardo sulle mie labbra, poi sollevò gli occhi per incontrare i miei.

«Ma guarda te,» disse improvvisamente, con una risatina, «sei tutto rigido. Stai tremando, Ale.»

Mi schiarii la gola, cercando di rispondere, ma prima che potessi dire qualcosa, lei si abbassò verso di me e mi baciò. Le sue labbra erano morbide, decise, e il sapore leggermente dolce di un rossetto fruttato mi fece girare la testa. Il mio corpo reagì immediatamente, e senza neanche rendermene conto, le mie mani si strinsero più forte su di lei.

Il bacio si approfondì rapidamente. Lei non aveva esitazioni, le sue labbra e la sua lingua che guidavano il ritmo, mentre io cercavo di seguirla, imbarazzato e incerto. Quando si staccò leggermente, sorrise di nuovo, ma questa volta con un’espressione curiosa.

«Oh, aspetta un attimo…» mormorò, fissandomi. Si passò una mano tra i capelli, come per prendersi un momento per riflettere. «Ale… sei mica…?»

Non capii subito dove volesse arrivare, ma il mio silenzio sembrò confermare i suoi sospetti. Gabriella spalancò gli occhi, poi scoppiò a ridere, una risata calda e contagiosa che la fece piegare leggermente in avanti.

«Oddio, non ci posso credere!» disse, ridendo ancora. «Sei un verginello!»

La mia faccia si infuocò. Provai a protestare, ma lei mi bloccò subito. «No, aspetta. Non dire niente. È… beh, è adorabile. E spiega parecchie cose, sai?»

«Gabriella, io…» cominciai, ma lei scosse la testa, mettendomi un dito sulle labbra.

«Shh, Ale. Non c’è niente di cui vergognarsi. Anzi,» disse con un sorriso malizioso, «forse è ancora meglio così. Vuoi sapere perché?»

La guardai, incapace di rispondere, e lei si abbassò di nuovo verso di me, le sue labbra che sfioravano il mio orecchio.

«Perché così posso insegnarti tutto io.»

Gabriella, con un sorriso malizioso ed eccitante, prese le mie mani e le spostò nuovamente sul suo fondoschiena ancora avvolto dagli slip viola e dai pantaloni di pelle abbassati. Il contatto era timido, incerto, e lei lo percepì subito. Mi guardò con un sorriso divertito, ma i suoi occhi bruciavano di desiderio.

«Ale… non stare lì come un ragazzino impaurito, pensavo avessimo superato questa cosa» mi sussurrò con voce roca, le sue labbra sfioravano il mio orecchio. «Stringimi. Tocca davvero.»

Esitai per un istante, poi le dita iniziarono a muoversi, esplorando la morbidezza e la forma perfetta delle sue curve un’altra volta. Gabriella gemette piano, il suono spezzato che mi fece rabbrividire. «Così… bravo, ma puoi fare di meglio. Fai vedere che hai le mani, su.»

Con un sorriso provocante, lasciò scivolare del tutto i pantaloni lungo le gambe, rimanendo in piedi davanti a me con quella sicurezza che mi faceva impazzire. Gli slip di pizzo viola si adattavano perfettamente al suo corpo, lasciando intravedere la pelle chiara e morbida. Gabriella si mosse lentamente, avvicinandosi ancora di più a me, il suo corpo che sfiorava il mio.

«Che c’è, Ale? Ti piaccio così?» chiese, la voce bassa e roca, mentre si mordicchiava leggermente il labbro.

Non riuscivo nemmeno a rispondere. La fissavo, incapace di distogliere lo sguardo. Lei rise piano, un suono basso e sensuale, e portò le mani al bordo della maglia che indossava. «Se ti piaccio così… vediamo se ti piaccio ancora di più dopo questo.»

Con un gesto fluido, sfilò la maglia sopra la testa, rivelando il reggiseno che si sollevava leggermente, spostato dalla fretta e dall’impeto del momento. Il seno, abbondante e morbido, era quasi completamente esposto, la pelle chiara che sembrava invitarmi a toccarla, a baciarla. Gabriella mi guardò negli occhi, poi si avvicinò ancora di più, il suo corpo che si premeva contro il mio.

«Che aspetti? Ti devo dire tutto io?» mormorò, prendendo la mia mano e posandola sul suo fianco. Poi, con un gesto deciso, spinse leggermente il mio viso verso di lei, facendo in modo che le mie labbra sfiorassero la pelle calda del suo petto.

«Bacia qui,» sussurrò, indicando il punto delicato appena sopra il bordo del reggiseno. «E poi… più giù. Voglio sentire la tua bocca su di me.»

La mia bocca seguì il percorso che mi indicava, esplorando con delicatezza e timore, ma Gabriella non mi lasciò esitare. «Più deciso, Ale… sì, così…» Il suo tono si fece più intenso, le sue mani che si muovevano sulla mia testa, guidandomi con una dolcezza decisa.

Quando finalmente il reggiseno scivolò via del tutto, lasciandola completamente esposta, non ci fu più spazio per esitazioni. Le mie labbra si posarono sul suo seno, baciandolo, leccandolo, mentre lei gemette piano, il suono spezzato che mi faceva tremare.

«Sì, Ale… così,» sussurrò, la voce spezzata dal piacere. «Non fermarti… Dio, era da troppo che non mi sentivo così.»

I gemiti di Gabriella riempivano la stanza, rozzi, disinibiti, come se non le importasse nulla di trattenersi. Quei suoni erano una fiamma viva che alimentava il calore tra di noi. Il suo corpo si muoveva contro il mio, e i miei baci si facevano più intensi, affondando sul suo seno mentre la saliva lasciava una scia lucida e sensuale sulla sua pelle chiara.

Le mie labbra si chiudevano intorno ai suoi capezzoli, succhiandoli con fame, mentre la mia lingua li solleticava con movimenti decisi. Gabriella si lasciò sfuggire un gemito forte, gettando indietro la testa con un movimento che faceva ondeggiare i suoi lunghi capelli.

«Dio, Ale… così… continua, non ti fermare,» disse, la voce roca e spezzata. Le sue mani mi accarezzavano i capelli, tirandoli leggermente mentre il suo corpo tremava sotto il tocco della mia bocca.

Mi sentivo come se fossi in un vortice, perso nei suoi gemiti e nel calore della sua pelle. Poi, all’improvviso, Gabriella si raddrizzò leggermente, il petto ancora alzato per il respiro pesante, e mi guardò con un sorriso malizioso, mordendosi il labbro.

«Adesso basta… voglio vedere cosa nascondi lì sotto,» disse con quel tono un po’ rozzo ma incredibilmente sensuale che le veniva naturale. Le sue mani scesero rapidamente verso i miei pantaloni, che sfilò con una foga quasi impaziente.

«Fammi dare un’occhiata, Ale,» aggiunse ridendo piano, la sua risata bassa e carica di eccitazione.

Prima che potessi dire qualcosa, i miei pantaloni erano sul pavimento insieme alle mutande, e il suo sguardo si abbassò lentamente sulla mia nudità. I suoi occhi si spalancarono leggermente, e un sorriso compiaciuto curvò le sue labbra carnose.

«Ue’, ma guarda un po’… mica male, verginello,» mormorò, il suo accento napoletano che rendeva ogni parola incredibilmente sfacciata e sensuale.

La sua mano calda mi avvolse con sicurezza, stringendo leggermente mentre mi osservava con uno sguardo che mi faceva sentire completamente suo. «Bella roba, Ale… e mo’ vediamo un po’ come te la cavi con questo, eh?»

Iniziò a muovere la mano lentamente, con movimenti lenti ma decisi, esplorando ogni centimetro. Il calore della sua pelle contro di me era una sensazione travolgente, e il suo sorriso era puro magnetismo.

«Ti piace, eh?» sussurrò, alzando lo sguardo verso di me mentre continuava a toccarmi. «Sei tutto rosso, Ale… che carino. Ma vedrai che tra un po’ non penserai più a vergognarti.»

Le sue dita erano esperte, il suo tocco deciso ma al tempo stesso dolce, e la combinazione della sua voce roca, del suo sguardo intenso e dei suoi movimenti sicuri mi faceva perdere completamente il controllo.

Gabriella non smetteva di fissarmi con quel suo sorriso malizioso, i suoi occhi castano chiari illuminati dal desiderio. La sua mano continuava a muoversi su di me, lenta ma decisa, il tocco caldo e sicuro che mi faceva tremare. Ogni movimento sembrava accendere un fuoco in me, e sentivo il respiro farsi sempre più affannato.

«Togli anche quella maglietta, Ale… voglio vederti tutto,» mormorò con tono rauco, fermandosi appena con la mano per sollevare il mio sguardo al suo. Non era una richiesta: era un comando sensuale, uno di quelli impossibili da ignorare.

Con un gesto esitante, ma desideroso, afferrai l’orlo della mia maglietta e la tirai via, lasciando il mio petto nudo. Gabriella mi osservò con attenzione, mordendosi il labbro inferiore e lasciando scivolare una mano sul mio torace per esplorarmi.

«Ecco qua… mo’ sì che sembri un uomo,» disse, con quella schiettezza che mi faceva impazzire. La sua mano tornò subito dove l’aveva lasciata, e il piacere che mi dava era così intenso che mi sentivo sul punto di cedere.

Poi, con una naturalezza incredibile, mi spinse verso il letto. Mi lasciò cadere delicatamente sul materasso, seguendomi subito dopo. Si posizionò leggermente sopra di me, il suo corpo che sfiorava il mio, il seno morbido e abbondante che premeva contro la mia pelle. Le sue labbra trovarono subito le mie, il bacio carico di foga e passione, come se avesse bisogno di sentire ogni parte di me.

Mentre continuava a darmi piacere con la mano, il suo bacino si mosse sopra di me. La sua intimità, coperta solo da quei sottili slip di pizzo, si strusciava contro di me in un movimento lento e deliberato, che mi faceva tremare dal desiderio.

«Lo senti, Ale? Eh? Lo senti cosa mi fai?» sussurrò contro le mie labbra, con quel tono sensuale e un po’ rozzo che ormai riconoscevo come suo.

La sua voce era quasi un gemito, mentre continuava a spingere contro di me, i nostri corpi che si muovevano all’unisono. Sentivo la sua pelle calda contro la mia, le sue cosce morbide che mi avvolgevano, il calore del suo corpo che sembrava aumentare ad ogni movimento.

«Non essere timido, verginello… toccami, voglio sentirti addosso,» disse con un sorriso provocante, spostandosi leggermente per afferrare le mie mani e posarle sui suoi fianchi.

Il mio tocco era incerto, ma lei non sembrava preoccuparsene. Anzi, guidava i miei movimenti con dolcezza ma fermezza, il suo corpo che si muoveva sempre più vicino al mio, ogni carezza che accendeva un nuovo livello di intimità tra di noi.

«Così… bravo… adesso lascia fare a me, che ti faccio godere come non hai mai pensato,» mormorò, abbassando la testa per mordicchiarmi il lobo dell’orecchio, mentre il suo bacino continuava a muoversi sopra di me con un ritmo ipnotico.

La mia richiesta uscì quasi come un sussurro, spezzato dall’imbarazzo ma alimentato dall’eccitazione che mi divorava. «Gabriella… puoi… usare la bocca?» Non riuscivo nemmeno a guardarla direttamente, ma sentivo il mio corpo vibrare in attesa della sua reazione.

Lei si fermò per un attimo, osservandomi con un sorriso che era puro fuoco. Ridacchiò piano, un suono basso e sensuale che mi fece tremare. «Oh, Ale, ma guarda che coraggio hai trovato! Il verginello vuole la bocca?» disse con una risata leggera, ma senza alcuna traccia di scherno reale. Era una provocazione, uno stuzzicare il mio desiderio e la mia insicurezza allo stesso tempo.

Poi si spostò, mettendosi a quattro zampe sul letto sopra di me. Il suo corpo si mosse con grazia, le sue curve che sembravano danzare sotto la luce morbida della stanza. I capelli lunghi e ondulati le cadevano davanti al viso, sfiorandomi mentre si avvicinava.

«Vediamo un po’ se riesco a farti dimenticare pure come ti chiami,» disse con il suo tono deciso ma incredibilmente sensuale. Sentii il calore del suo respiro mentre si chinava verso di me, la sua mano che mi sfiorava, calda e sicura, mentre afferrava la mia virilità.

Gabriella lo guardava, quasi studiandolo, e poi alzò gli occhi su di me, con quel sorriso sfacciato. «Mamma mia, Ale, ma questa sorpresa deliziosa è per me?» disse con un tono che mi fece arrossire, ma che aggiunse benzina al fuoco.

Non mi diede nemmeno il tempo di rispondere. Avvicinò le labbra lentamente, il suo fiato caldo che mi faceva tremare dall’eccitazione. Poi le sue labbra si posarono su di me, morbide, umide, e fu come un’esplosione. Il primo movimento era lento, quasi a prendermi le misure, poi aumentò il ritmo, usando la lingua con precisione e decisione.

Sentivo il rumore della sua saliva, il calore della sua bocca che mi avvolgeva completamente, e non riuscivo a trattenere i gemiti. Ogni movimento sembrava tirare un filo di piacere dentro di me, ogni tocco mi portava più vicino al limite.

«Mmh, senti che bravo che sono?» disse, interrompendosi solo per un attimo per guardarmi con uno sguardo pieno di malizia. «Hai mai sentito qualcosa di così bello, Ale?»

Non potevo rispondere, il piacere era troppo intenso. Le mie mani si muovevano istintivamente verso i suoi capelli, affondando nelle sue onde morbide, mentre lei continuava, creando un ritmo che mi faceva perdere ogni senso di controllo.

Gabriella ridacchiò ancora tra un movimento e l’altro, usando la lingua con lentezza per provocarmi e poi aumentando l’intensità fino a farmi stringere il lenzuolo tra le mani. «E pensa che ancora non ho finito… mo’ sì che ti sto rovinando per tutte le altre.»

Il piacere era al limite, e ogni fibra del mio corpo sembrava sul punto di esplodere. La vista di Gabriella china su di me, il suo corpo sensuale che si muoveva con sicurezza e passione, mi stava uccidendo. Il suo respiro caldo, i suoi movimenti decisi, e quel sorriso malizioso che non smetteva di tormentarmi erano troppo. Stavo per cedere completamente al culmine di tutto, quando un suono improvviso ci gelò il sangue.

Clack.

Il rumore familiare della chiave che girava nella serratura della porta d’ingresso ruppe l’incantesimo in un istante. I miei occhi si spalancarono, e il cuore mi balzò in gola. Gabriella si fermò di colpo, sollevando la testa con un’espressione di puro terrore.

«Chi cazzo è?!» sibilò sottovoce, mentre io mi irrigidivo completamente, il corpo ancora vibrante per il piacere interrotto brutalmente.

«Non lo so! La mamma?!» risposi in un sussurro strozzato, preso dal panico.

«Sbrigati!» disse lei con un tono concitato, agitando una mano per indicarmi di muovermi.

Saltai in piedi, nudo come un verme, il mio corpo in preda a un misto di adrenalina e vergogna. Gabriella si lanciò a raccogliere i vestiti sparsi per la stanza, mentre io cercavo di capire dove diavolo andare. Lei, con una prontezza incredibile, mi spinse verso il bagno. «Vai, vai lì dentro e non uscire finché non te lo dico!»

Corsi lungo il corridoio, sentendo il pavimento freddo sotto i piedi e il cuore che mi martellava nel petto. Proprio mentre raggiungevo il bagno, sentii la porta d’ingresso aprirsi completamente e una voce familiare che chiamava:

«Ragazzi? C’è qualcuno a casa?»

Era mia madre. Tornata prima.

Mi chiusi nel bagno, ancora senza fiato, appoggiandomi alla porta come se potessi bloccare il mondo esterno. Il mio corpo era ancora caldo e teso, il desiderio appena interrotto che mi tormentava mentre cercavo di recuperare un minimo di compostezza. Mi guardai intorno, cercando disperatamente qualcosa con cui coprirmi, ma il bagno non offriva nulla di utile.

Dall’altra parte della porta, sentii i passi di mia madre attraversare il corridoio. «Gabriella? Sei tu? Che fai, sei a casa? Pensavo fossi dal tuo fidanzato!»

La voce di Gabriella arrivò subito, calma e disinvolta, anche se sapevo che stava fingendo. «Sì, sono io, Mi sono fermata un po’ qui, volevo staccare un po’ la testa. Tutto bene? Non dovevi essere fuori tutto il giorno?»

«Eh, sì, ma mi sono dimenticata un fascicolo. Devo solo prenderlo e vado via.»

Dal mio rifugio nel bagno, ascoltai ogni parola, trattenendo il respiro. Potevo immaginare Gabriella che, con una velocità incredibile, si infilava qualcosa addosso per sembrare perfettamente a posto. Probabilmente stava indossando la vestaglia che teneva sempre sulla sedia vicino al letto.

I minuti successivi furono un tormento. Sentivo mia madre muoversi per casa, chiacchierare con Gabriella come se nulla fosse. Io rimasi immobile, nudo e appoggiato al lavandino, il viso rosso e il corpo ancora scosso dall’adrenalina.

Finalmente, dopo quelli che sembrarono secoli, sentii la porta d’ingresso richiudersi.

Clack.

Il silenzio tornò, ma io non osai muovermi finché non sentii la voce di Gabriella: «Puoi uscire, Ale. È andata via.»

Aprii la porta lentamente, trovandola nel corridoio, con la vestaglia addosso e i capelli ancora leggermente spettinati. Mi guardava con un sorrisetto divertito e un sopracciglio alzato.

«E mo’? Che facciamo, verginello? Ti sei spaventato, eh?» disse, ridacchiando piano, ma con un tono che lasciava intuire che il discorso non era affatto finito lì.

Non riuscii a rispondere, ancora troppo scosso per dire qualcosa. Ma sapevo che quel momento non era una fine, bensì un inizio. Una tensione nuova riempiva l’aria tra di noi, una promessa non detta che saremmo tornati lì, dove tutto era stato interrotto.
scritto il
2024-12-12
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