Una giornata al mare

Scritto da , il 2018-12-21, genere etero

UNA GIORNATA AL MARE

Primi giorni di scuola. Arrivano nuovi insegnanti, tra questi una coppia di giovani sposi. Lei è bella ma scostante, guarda sempre dall’alto in basso. Lui è carino, cordiale ma forse un po’ sottomesso alla moglie, forse perché troppo innamorato oppure un po’ debole. Nella sala insegnanti si chiacchiera del più e del meno, ci si scambiano notizie di carattere personale. Così vengo a sapere che la giovane coppia ha parenti in un paese qui vicino, dove hanno anche una casa e che hanno anche un appartamentino sul Tirreno, a una cinquantina di km da qui.
Io ho trentadue anni e credo di essere abbastanza attraente, sono single e orgogliosa di esserlo, ho avuto diverse esperienze sessuali, qualcuna anche trasgressiva. Sono estroversa, allegra e senza tabu, così se c’è una persona che mi aggrada glielo faccio vedere. Lo sposino, Mario, mi era molto simpatico e non mancava occasione per dimostrarglielo. Il che attirò la sua attenzione, tanto che dopo qualche settimana i suoi sguardi non erano più casti: mi osservava la bocca, mi guardava il seno, i fianchi, quasi a misurarmeli. E quando si parlava a distanza ravvicinata, non mancava di sfiorarmi le mani, le braccia… Rispetto alla gelida sua moglie, trovava in me un po’ di calore e di grazia femminile. Io lasciavo fare, perché quel corteggiamento così adolescenziale mi piaceva, mi faceva tornare agli anni del liceo quando i miei coetanei corteggiatori si impappinavano per timore nel rivolgermi la parola.
Un giorno ero nell’aula di informatica alle prese con un computer. Improvvisamente si apre la porta ed entra Mario: “Oh, scusa, pensavo non ci fosse nessuno e non ho bussato”. “Non fa nulla, entra … aiutami a chiudere questo programma, da sola non ci riesco …”. Si mise dietro di me, sentivo il suo respiro; armeggiò un poco e chiuse il programma, ma non si mosse da quella posizione. Anzi, a sorpresa mi baciò sul collo. “Ma che fai? Sei matto?”. “Scusami, mi è venuto spontaneamente di baciarti … “. Ero perplessa. Mi alzai e andai alla finestra … Novembre, c’era un po’ di nebbia e piovigginava. Lui mi venne dietro, chiedendomi mille volte scusa. “Non è successo nulla”, gli dissi …. “Ma se lo sapesse tua moglie …”. Diventò rosso. Era proprio un bambinone. Gli andai vicina vicina, gli feci una carezzina sul viso: “Dai, non saprà nulla, non glielo dirò …”. Ed improvvisamente lo baciai sulla bocca. Rimase bloccato per qualche secondo, poi mi abbracciò e rispose al mio bacio … Diventai più ardita: spinsi con la lingua e gli entrai in bocca. Si sciolse come neve al sole. Poi mi staccai: “Basta, qui è pericoloso …”. Ci staccammo, ma la sua mano si soffermò un po’ sul mio seno prima di lasciarmi del tutto. “Hai un bel seno, te lo guardo sempre …” . “Grazie … e tu come sei?”. E improvvisamente gli misi una mano in mezzo alle gambe. Era duro. “Anche tu non sei male” … Diventò rosso. “Dai, andiamo via, prima che venga qualcuno”. “Che fai domenica”? mi chiese. “Che devo fare, sto a casa, mi riposo”. “Verresti con me tutto il giorno? Devo andare nella casa al mare, a sistemare alcune cose; ci vado solo. Mi piacerebbe che tu mi facessi compagnia”. Era una pazzia, ma a me piacciono le cose pazze.
“Sì”, gli dissi, “ci vengo; mi vieni a prendere tu? O ti aspetto in qualche posto?”. “Ti vengo a prendere io… partiremo presto, massimo alle sette … E senti, dobbiamo portarci qualcosa da mangiare”: “Ci penso io” gli dico. Ci salutammo come due colleghi …
Era venerdì, due giorni di attesa… e di ripensamenti. Più volte presi in mano il telefono per dirgli che non ci sarei andata; ma non lo feci, perché temevo che mi rispondesse la moglie. Il sabato avevo le prime due ore ed anche lui entrò alla prima ora. Solo sguardi neutrali. Quando uscii, nell’atrio incontrai la moglie che entrava a quell’ora. Appena un rapido saluto e uno sguardo fuggevole, sempre dall’alto in basso, con grande alterigia, come fosse stata la regina Vittoria. Risposi educatamente, la guardai in tralice: seno piccolo come tutte le settentrionali e bacino e sedere grossi, ampi. “Cara Regina Vittoria” pensai tra me e me, ”domenica farò in modo di incoronarti, con un bel cornino che io stessa contribuirò a piantarti”.
Domenica mattina alle 6.45 ero pronta; avevo una borsa in cui avevo messo del pane, delle polpette che avevo cucinato la sera prima, della frutta, una bottiglia d’acqua e una di vino. Puntualissimo arrivò alle 6.59. Durante il viaggio si parlò delle nostre esperienze umane e sentimentali. Non sto qui a raccontarle perché per riportarle occorrerebbe più del tempo occorso in macchina a dirle.
L’appartamento era in una villetta a schiera costruita dentro la pineta. Non c’era nessuno, non c’era nemmeno il sole sotto quelle chiome dei pini. Tre vani più il bagno e tanta umidità. Fortunatamente c’era il condizionatore climatico, così dopo circa mezz’ora le stanze si erano intiepidite. Lui mi chiese di lasciarlo libero per un’oretta, per sistemare le cose per cui era venuto: certamente sapeva che quel carabiniere della moglie avrebbe controllato se lui avesse fatto quei lavoretti. Mentre lui armeggiava fra dentro e fuori l’appartamento, io girellai per la casa a curiosare. Indiscreta forse, ma dovevo passare il tempo. Ogni tanto lui entrava, mi si avvicinava e mi baciava. Verso le dieci, rientra, passa dal bagno, si risciacqua, mi si avvicina e mi fa: “Signora, sono tutto suo adesso”. Lo baciai sulla bocca, mi strinse forte a sé. Sentivo le sue mani scorrermi lungo la schiena, mentre la sua lingua esplorava la chiostra dei miei denti. Volli controllare se tutto era a posto, così lo palpai sulla patta dei pantaloni. Sì, tutto era a posto, ci saremmo divertiti parecchio.
Sempre tenendomi stretta, mi guidò verso la camera da letto, aprì l’anta dell’armadio dove c’era lo specchio e mi mise in modo tale che io potessi guardare quello che lo specchio rifletteva, e cioè il mio dorso, il mio culo e le sue mani che mi percorrevano tutto il corpo e parte del suo capo.
Non mi lasciava: mi abbrancava con le sue forti braccia e mi succhiava la lingua e si faceva succhiare la sua; poi le sue mani cominciarono a tirarmi in su la gonna: a poco a poco nello specchio vidi la parte posteriore delle mie cosce, poi le mie mutandine di pizzo nero e le sue mani che mi palpavano. E poi fece scendere giù lo slip ed allora nello specchio apparvero i miei bianchi glutei e le sue mani che li strizzavano e li accarezzavano. A quel punto mi feci un po’ largo tra me e lui e cominciai a sbottonargli i pantaloni. Glielo tirai fuori, bello superbo, duro, arrogante. Glielo massaggiai e lo costrinsi a smetterla di baciarmi in bocca. Lo spinsi verso il letto e lo feci sdraiare, poi mi impossessai del suo membro e me lo portai in bocca.
Una donna che fa un pompino ad un uomo è paragonabile ad un dittatore: l’uomo è inerme in quei momenti, abbandonatosi a quel sommo piacere, lascia che la donna gli faccia quel che lei vuole, gli può chiedere qualunque cosa. E’ forse quello il momento in cui le grandi spie si lasciano sfuggire di bocca i più grandi segreti, per un pompino fatto bene si può vincere o perdere una guerra. Chissà quanti ne ha dovuti succhiare la Mata Hari. Erano questi i pensieri che mi passavano per la mente mentre tenevo Mario dentro la mia bocca e gli massaggiavo le gonadi e gli titillavo il buco anale.
Improvvisamente sentii il suo membro pulsare nella mia bocca .. ecco ci siamo … feci appena in tempo a liberare la bocca da quel dolce intruso che il suo schizzo, potente e lungo, mi irrorò la faccia bagnandomela tutta. Rimasi un attimo perplessa, poi mi leccai lo sperma che si era depositato attorno alle labbra e … scoppiai in una risata sonora. Ma sì, era molto buffo il viso di lui, così contrito, così vergognoso, così infantile ….”Dai, ridi”, gli dissi. Mosse appena le labbra sforzandosi di sorridere. Allora lo baciai in bocca, profondamente.
Era rammaricato, forse si sentiva un po' umiliato per non essere riuscito a contenersi. Era venuto proprio come un fanciullo alla sua prima esperienza. Lo consolai: “Vedrai, più tardi ci riproveremo. Usciamo un po', fammi vedere questo villaggio marittimo”.
Ci rivestimmo e facemmo un giro per i dintorni. Tutti uguali i villaggi marittimi, la speculazione non ha fantasia, tranne quella di fare soldi. Rientrammo per il pranzo. Lui apparecchiò, io tirai fuori dalla borsa-frigo quello che avevo preparato: pane, polpette, frutta, vino.
Cominciammo a mangiare. Lui era ancora imbronciato per l'accaduto di prima. Se si fosse convinto che non ce l'avrebbe fatta, era meglio tornarsene a casa. Così presi l'iniziativa: mi sedetti sulle sue ginocchia. “Ti do fastidio se mi siedo qui?”- “Ma no, dai ...” Addentai una polpetta, ne tagliai metà con i denti e con la bocca la porsi a lui. Titubò un po', poi aprì la bocca ed io vi depositai la mezza polpetta. Gli sorrisi, mi sorrise. Riprendeva coraggio. Gli presi la sinistra e me la portai sul seno. Il suo palmo si strinse sulla tetta con dolce violenza; con la destra prese una polpetta dal piatto, io aprii la bocca e lui capì a volo. Masticai la carne che lui mi aveva offerto. Intanto sotto le mie cosce avevo sentito muoversi qualcosa: era la sua verga che rinveniva. “C'è qualcosa che mi dà fastidio”, dissi alzandomi. “Cosa?” fa lui. “Ora te lo faccio vedere”. Gli sbottonai i pantaloni e tirai fuori il fallo bello turgido e arrogante. “Ecco cosa c'era che mi dava fastidio”. Ridemmo tutti e due. “Ora cercheremo un rimedio” e nel dir così mi sfilai le mutandine e poi mi sedetti sopra alla verga che sparì nella mia vagina. “Ora va meglio” dissi. E presi una polpetta, l'addentai e la masticai. “Buone queste polpette al pisello!” Rise e subito inarcò la schiena per farmelo sentire fino in fondo. Poi prese una polpetta, fece uscire la verga dalla mia vagina e vi infilò il pezzo di carne. Poi lo portò alla bocca e disse:”Buone queste polpette ficate!”. Tra una polpetta e l'altra era un bel po' che si trovava dentro di me … Non volevo farlo stancare. Mi alzai e andai a farmi un bidet. “Tu non ti lavi?” gli chiesi. Si alzò, lo accompagnai al bagno, si fermò davanti alla tazza. “Pipì” disse. Lo guardai, era la prima volta che vedevo un uomo orinare. Bello: il getto faceva un piccolo arco e poi cadeva col rumore di una cascatella dentro la tazza. “Vieni, che ti lavo” gli dissi. Glielo presi in mano e lo tirai verso il lavandino; aprii il rubinetto, bagnai la saponetta e poi gliela strofinai sul pene; lo sciacquai ben bene: “Ecco, ora è pronto per un'altra battaglia, l'ultima della giornata”.
Ci recammo in camera, io mi tolsi i pochi indumenti che ancora mi coprivano, gli sfilai maglietta slip e pantaloni. Era bello nudo, molto bello … Ebbi la tentazione di baciarlo sul torace, lo feci, fermando le mie labbra sui suoi capezzoli, mentre gli accarezzavo il pene. Gli divenne di acciaio. Era quello che volevo.
Mi sdraiai sul letto, ma sulla sponda, con i piedi che toccavano terra, aprii le gambe e lo invitai ad avvicinarsi. Avanzò accarezzandosi il pene. Sembrava un ariete, con la cappella superba. Quando mi fu vicino alzai le gambe e gliele misi sulle spalle. Adesso ero tutta aperta. Mi sfiorò col pene il sesso, poi ve lo appoggiò sopra, spinse lentamente e lo ficcò tutto dentro.. Che bello sentirsi riempire! Sentivo il suo membro alloggiarsi nella mia vagina muovendosi lentamente ma con decisione. Poi quando fu ben lubrificato dalle mie secrezioni cominciò a muoversi più speditamente, avanti e indietro, avanti e indietro. Il calore che si sprigionava dalla mia vagina frizionata da quel potente stantuffo si irradiava per tutto il corpo, salendo prima al ventre, poi al petto, poi al viso, fino al mio cervello che comandò ai miei organi sessuali di avere un lungo orgasmo. Volevo urlare, forse lo facevo, ma non me ne rendevo conto. Non avevo ancora ripreso fiato che cominciò di nuovo quel movimento a stantuffo. Poi si curvò in avanti, mi prese i glutei nel palmo delle sue mani, me li strinse e mi tirò a sé. Sentii il contraccolpo nel profondo della vagina, nel diaframma che i ginecologi chiamano con un termine ridicolo “muso di tinca”. Poi ricominciò quel ritmo, prima lento poi sempre più sostenuto, le sue mani tiravano il mio corpo contro i suoi inguini, sentivo il ciaf ciaf dei nostri corpi quando si urtavano. Sentivo che stava arrivando il secondo orgasmo, anche lui lo sentì, inarcò la schiena e tenne il suo pene rigidamente dentro di me, dandomi tutto l'agio. Un tremore mi scosse il corpo, strinsi le cosce, mi tappai la bocca con le mani per attutire l'urlo che mi saliva dai precordi e stava per uscire dalla bocca.
Mi dette tutto il tempo necessario perché mi finisse il tremore, perché il mio cuore tornasse dalla 300 pulsazioni alle normali 65, perché il mio petto squassato dall'orgasmo tornasse calmo, con i seni appiattiti sopra il torace.
Aspettò solo dieci secondi, Poi sfilò il pene dalla mia vagina, mi sistemò meglio le gambe sulle spalle, sollevandomi un poco, prese la mira e mi cercò il buchetto posteriore. Sono alquanto stretta e spesso sento male. Ma quella volta, sarà stata la posizione, sarà stata la lunga lubrificazione, sentii il pene scivolarmi dentro piano piano. Che sensazione di pienezza, di godimento totale! Dopo un po' cominciò a muoversi, piano, poi più veloce, alla fine anche lui urlò. Sentii il fiotto caldo che mi riempiva, e poi che fuoriusciva insieme al pene …. Fece appena in tempo a liberarsi della mia stretta che si accasciò sul letto accanto a me.
Il lunedì a scuola. Entravo la prima ora ed anche la signora tumistufi entrava la prima ora. L'aspettavo sulla porta della sala insegnanti. Appena mi arrivò a tiro, sfoderai un sorriso a tutta bocca, largo, gioioso: “Buongiorno cara!”, le dissi. Abbassò appena la testa per un cenno di saluto … meno male che la porta era alta, altrimenti vi si sarebbe impigliata ...

Questo racconto di è stato letto 1 8 4 8 volte

Segnala abuso in questo racconto erotico

commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.