Esploratori
di
Ada
genere
prime esperienze
Un dito nel culo è la perfetta sintesi dell’umana propensione alla scoperta.
Impavidi avventurieri, sin dagli albori della civiltà, si spinsero ad esplorare anfratti, cavità, cunicoli, antri oscuri la cui tetraggine inesorabilmente li attraeva ed atterriva. Ebbene, così è per il culo.
Infilare un dito in un culo, infatti, equivale a spingersi oltre i confini di ciò che è noto, pubblico e manifesto, per addentrarsi alla scoperta di un mistero.
«Te lo metto un dito dietro, amò? Dai, vedrai che ti piace!»
«Come puoi essere così sfacciato, Francesco? Veramente vorresti infilarmi un dito proprio lì?» risponde lei, pudica, un po’ intimorita, eppure incuriosita dall’audacia di lui, che non mancava mai di scuotere violentemente la sua timidezza.
«Sì, amore mio bellissimo. Fattelo mettere. Fattelo mettere… Cazzo, guarda che culo che c’hai! Non ce ne vogliamo prendere cura un pochino?» risponde lui, che già s’immagina mentre la incula.
Sospira, pondera per un istante, combattuta fra le proprie benpensanti ritrosie ed un intimo, ribelle desiderio di emancipazione e libertà: «Va bene. Però, piano! Fai piano. E se ti dico di smettere, tu smetti subito. Ci siamo capiti?»
«Sì amò, piano piano te lo metto il dito nel culo. Piano piano…» sussurra, afferrando un botticino d’olio d’oliva che tiene strategicamente celato in fondo al mobiletto lì accanto.
«Ma l’hai già fatto? Hai già messo un dito nel sedere a qualcuna, Francesco?»
«Chi, io? Nooo, quando mai! Solo a te voglio mettere un dito nel culo, amò!»
«E perché?»
«Perché a te ti scoperei da mattina a sera e voglio farti godere di più. Adesso, però, non parlare. Tengo la mano bella calda e unta di olio. Senti? Senti come te lo stuzzico, questo culo? Oh… Madonna, già si apre! Cazzo Marì, quanto sei bona!»
Non avevano mai fatto l’amore davvero, Mariarosa e Francesco, ma si erano più volte avventurati in giochi sensuali.
Prima un bacio, che per Mariarosa era stato il primo e per Francesco l’ultimo che avrebbe davvero desiderato.
Poi, le carezze, che da dolci e gentili si erano fatte avide e piene di desiderio.
Un giorno, al calar del sole, Francesco l’aveva convinta a lasciarsi accarezzare le mutandine e Mariarosa si era finalmente affacciata sul baratro della propria sensualità, torturandosi le labbra mentre lui la sfiorava, mentre il respiro arrochito di lui le lambiva l’orecchio, succhiandone il lobo con cupidigia, probabilmente immaginando fosse il sesso di lei, anziché il suo dolce orecchio, quello che stava umettando smanioso.
Il dito di Francesco, a distanza di qualche settimana dal loro primo incontro, scivolava sullo sfintere di Mariarosa con sorprendente agilità, spingendosi a poco a poco in profondità, proprio come un avventuroso esploratore, armato di torcia ed incrollabile tenacia.
«Ahia, Francesco! Piano, ti ho detto!»
«Sì sì amò, scusa. Piano, faccio piano… Ma, dimmi, ti piace? Perché a me assai sta piacendo, di metterti un dito nel culo.»
«Ancora non lo so. Diciamo, però, che mi aspettavo fosse peggio.» Rispose lei, formale ed imbarazzata. Trovarsi così, con il fondoschiena esibito ed oggetto delle peculiari attenzioni di Francesco la turbava, eppure la vergogna non riusciva a scalzare il desiderio, che puntualmente prendeva il sopravvento.
«Brava… Brava che sei, io lo sapevo! Sei bella, intelligente e brava, Marì… e pure un poco zoccola.»
«Zoccola? Io?! Ma come accidenti ti permetti, Francesco? Smettila, smettila subito e lasciami andare!»
Fu a quel punto che Francesco, ormai alla deriva per via dell’inaspettata ed emozionante spedizione che stava dirigendo, si lasciò travolgere dall’impazienza e ficcò tutto il dito in culo a Mariarosa. Così. Tutto. In barba alle raccomandazioni di lei ed all’imperativo che gli aveva appena rivolto.
Un dito nel culo. Tutto dentro.
C’è da dire che Francesco, pur avendo peccato di gola lasciandosi trascinare dall’ingordigia di inculare finalmente quella che considerava la sua fidanzatina, gestì poi con perizia il momento a seguire.
«Ahia! Ma sei impazzito? Tutto dentro me l’hai messo? Mi fa male, Francesco! Levalo! Levalo subito!» si agitò Mariarosa, tentando di divincolarsi dalla presa di Francesco, che l’aveva fatta distendere supina e le reggeva le gambe, poggiate sulla sua spalla, affondando nelle cosce di lei le dita della mano che non era impegnata nell’esplorazione.
Dopo pochi istanti, però, Mariarosa fu sorpresa da una nuova, inattesa sensazione che si propagava in lei: quel dito che l’aveva violata e tanto la disturbava da principio, sembrava ora non essere più così sgradito ed il sentore agrodolce d’un nuovo piacere si faceva spazio, spingendola a compiere impercettibili movimenti. Stava ancheggiando, si accorse!
Muoveva il bacino come quando sentiva l’urgenza di solleticarsi poco poco il clitoride, strizzandolo appena fra le labbra della sua insaziabile fica.
Ondeggiava, oscillando attorno al dito di Francesco, che ora spingeva piano, assecondando la timida danza di lei.
Le parve, pensò Mariarosa, di sentirsi come trasfigurata, compiendo quell’atto, come se avesse avuto accesso ad una oscura rivelazione, che ora le veniva palesata.
E si sentì zoccola, proprio come diceva Francesco, ma la cosa non le dispiacque.
Lei, l’irreprensibile figlia del senatore, stava facendosi mettere un dito nel culo dallo chauffeur del padre.
Così, lo guardò, domandandosi come fosse finita con le natiche così oscenamente esposte alle voglie di lui.
Era bello, Francesco. Profondi occhi neri, ricci scuri e ribelli che gli incorniciavano il viso ed ora gli si appiccicavano sulla fronte sudata. Un sorriso sagace, che conquistava. E la sua statura, degna di un Ercole, che lo faceva svettare ovunque lui si trovasse.
Fu proprio per via della sua altezza, infatti, che lo notò per la prima volta, in lontananza, nello sconfinato giardino della villa di campagna, proprio accanto alle scuderie, mentre si stava intrattenendo con i garzoni che erano di ritorno dai campi limitrofi.
Furono le mani di lui, però, ad ammaliarla.
Erano come radici, quelle dell’antichissima quercia che, ormai da generazioni, vegliava sulla tenuta di famiglia.
Grandi, virili, solide, eppure così agili e vivaci. La ruvidezza del palmo, che raccontava di lavoro, fatica ed esperienza guadagnata con dedizione, contrastava con le vene in rilievo sul dorso, una trama pulsante di vita che fremeva poco al di sotto della sua pelle abbronzata.
Pensare alle sue mani la ricondusse a quell’istante.
L’indice di Francesco continuava a farsi largo in lei, massaggiandola, esplorandola instancabile.
Lui la guardava, estatico.
Era vero che cercava il piacere di lei. Era vero che il suo desiderio era farla godere di più.
E così, Mariarosa si abbandonò, lasciandosi condurre da lui, impavido avventuriero, alla scoperta di un oscuro luogo del mistero.
Impavidi avventurieri, sin dagli albori della civiltà, si spinsero ad esplorare anfratti, cavità, cunicoli, antri oscuri la cui tetraggine inesorabilmente li attraeva ed atterriva. Ebbene, così è per il culo.
Infilare un dito in un culo, infatti, equivale a spingersi oltre i confini di ciò che è noto, pubblico e manifesto, per addentrarsi alla scoperta di un mistero.
«Te lo metto un dito dietro, amò? Dai, vedrai che ti piace!»
«Come puoi essere così sfacciato, Francesco? Veramente vorresti infilarmi un dito proprio lì?» risponde lei, pudica, un po’ intimorita, eppure incuriosita dall’audacia di lui, che non mancava mai di scuotere violentemente la sua timidezza.
«Sì, amore mio bellissimo. Fattelo mettere. Fattelo mettere… Cazzo, guarda che culo che c’hai! Non ce ne vogliamo prendere cura un pochino?» risponde lui, che già s’immagina mentre la incula.
Sospira, pondera per un istante, combattuta fra le proprie benpensanti ritrosie ed un intimo, ribelle desiderio di emancipazione e libertà: «Va bene. Però, piano! Fai piano. E se ti dico di smettere, tu smetti subito. Ci siamo capiti?»
«Sì amò, piano piano te lo metto il dito nel culo. Piano piano…» sussurra, afferrando un botticino d’olio d’oliva che tiene strategicamente celato in fondo al mobiletto lì accanto.
«Ma l’hai già fatto? Hai già messo un dito nel sedere a qualcuna, Francesco?»
«Chi, io? Nooo, quando mai! Solo a te voglio mettere un dito nel culo, amò!»
«E perché?»
«Perché a te ti scoperei da mattina a sera e voglio farti godere di più. Adesso, però, non parlare. Tengo la mano bella calda e unta di olio. Senti? Senti come te lo stuzzico, questo culo? Oh… Madonna, già si apre! Cazzo Marì, quanto sei bona!»
Non avevano mai fatto l’amore davvero, Mariarosa e Francesco, ma si erano più volte avventurati in giochi sensuali.
Prima un bacio, che per Mariarosa era stato il primo e per Francesco l’ultimo che avrebbe davvero desiderato.
Poi, le carezze, che da dolci e gentili si erano fatte avide e piene di desiderio.
Un giorno, al calar del sole, Francesco l’aveva convinta a lasciarsi accarezzare le mutandine e Mariarosa si era finalmente affacciata sul baratro della propria sensualità, torturandosi le labbra mentre lui la sfiorava, mentre il respiro arrochito di lui le lambiva l’orecchio, succhiandone il lobo con cupidigia, probabilmente immaginando fosse il sesso di lei, anziché il suo dolce orecchio, quello che stava umettando smanioso.
Il dito di Francesco, a distanza di qualche settimana dal loro primo incontro, scivolava sullo sfintere di Mariarosa con sorprendente agilità, spingendosi a poco a poco in profondità, proprio come un avventuroso esploratore, armato di torcia ed incrollabile tenacia.
«Ahia, Francesco! Piano, ti ho detto!»
«Sì sì amò, scusa. Piano, faccio piano… Ma, dimmi, ti piace? Perché a me assai sta piacendo, di metterti un dito nel culo.»
«Ancora non lo so. Diciamo, però, che mi aspettavo fosse peggio.» Rispose lei, formale ed imbarazzata. Trovarsi così, con il fondoschiena esibito ed oggetto delle peculiari attenzioni di Francesco la turbava, eppure la vergogna non riusciva a scalzare il desiderio, che puntualmente prendeva il sopravvento.
«Brava… Brava che sei, io lo sapevo! Sei bella, intelligente e brava, Marì… e pure un poco zoccola.»
«Zoccola? Io?! Ma come accidenti ti permetti, Francesco? Smettila, smettila subito e lasciami andare!»
Fu a quel punto che Francesco, ormai alla deriva per via dell’inaspettata ed emozionante spedizione che stava dirigendo, si lasciò travolgere dall’impazienza e ficcò tutto il dito in culo a Mariarosa. Così. Tutto. In barba alle raccomandazioni di lei ed all’imperativo che gli aveva appena rivolto.
Un dito nel culo. Tutto dentro.
C’è da dire che Francesco, pur avendo peccato di gola lasciandosi trascinare dall’ingordigia di inculare finalmente quella che considerava la sua fidanzatina, gestì poi con perizia il momento a seguire.
«Ahia! Ma sei impazzito? Tutto dentro me l’hai messo? Mi fa male, Francesco! Levalo! Levalo subito!» si agitò Mariarosa, tentando di divincolarsi dalla presa di Francesco, che l’aveva fatta distendere supina e le reggeva le gambe, poggiate sulla sua spalla, affondando nelle cosce di lei le dita della mano che non era impegnata nell’esplorazione.
Dopo pochi istanti, però, Mariarosa fu sorpresa da una nuova, inattesa sensazione che si propagava in lei: quel dito che l’aveva violata e tanto la disturbava da principio, sembrava ora non essere più così sgradito ed il sentore agrodolce d’un nuovo piacere si faceva spazio, spingendola a compiere impercettibili movimenti. Stava ancheggiando, si accorse!
Muoveva il bacino come quando sentiva l’urgenza di solleticarsi poco poco il clitoride, strizzandolo appena fra le labbra della sua insaziabile fica.
Ondeggiava, oscillando attorno al dito di Francesco, che ora spingeva piano, assecondando la timida danza di lei.
Le parve, pensò Mariarosa, di sentirsi come trasfigurata, compiendo quell’atto, come se avesse avuto accesso ad una oscura rivelazione, che ora le veniva palesata.
E si sentì zoccola, proprio come diceva Francesco, ma la cosa non le dispiacque.
Lei, l’irreprensibile figlia del senatore, stava facendosi mettere un dito nel culo dallo chauffeur del padre.
Così, lo guardò, domandandosi come fosse finita con le natiche così oscenamente esposte alle voglie di lui.
Era bello, Francesco. Profondi occhi neri, ricci scuri e ribelli che gli incorniciavano il viso ed ora gli si appiccicavano sulla fronte sudata. Un sorriso sagace, che conquistava. E la sua statura, degna di un Ercole, che lo faceva svettare ovunque lui si trovasse.
Fu proprio per via della sua altezza, infatti, che lo notò per la prima volta, in lontananza, nello sconfinato giardino della villa di campagna, proprio accanto alle scuderie, mentre si stava intrattenendo con i garzoni che erano di ritorno dai campi limitrofi.
Furono le mani di lui, però, ad ammaliarla.
Erano come radici, quelle dell’antichissima quercia che, ormai da generazioni, vegliava sulla tenuta di famiglia.
Grandi, virili, solide, eppure così agili e vivaci. La ruvidezza del palmo, che raccontava di lavoro, fatica ed esperienza guadagnata con dedizione, contrastava con le vene in rilievo sul dorso, una trama pulsante di vita che fremeva poco al di sotto della sua pelle abbronzata.
Pensare alle sue mani la ricondusse a quell’istante.
L’indice di Francesco continuava a farsi largo in lei, massaggiandola, esplorandola instancabile.
Lui la guardava, estatico.
Era vero che cercava il piacere di lei. Era vero che il suo desiderio era farla godere di più.
E così, Mariarosa si abbandonò, lasciandosi condurre da lui, impavido avventuriero, alla scoperta di un oscuro luogo del mistero.
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