“Mia”, la schiava (parte 3)

di
genere
sadomaso

Una cosa alla quale feci fatica ad abituarmi fu il loro desiderio di espormi.
Anzi, non è corretto definire così ciò che accadeva.
Per loro era talmente naturale avermi schiava, che in tale veste mi tenevano davanti ad alcuni selezionati loro amici, coloro che, nel tempo, avevano imparato a conoscere questo loro aspetto.
Così, quando avevano ospiti, era cosa ordinaria che io li servissi e mai nessuno di loro mi toccò né mai loro mi offrirono. Dovevo solo fare la schiava.
Servivo tavola o il caffè a seconda dell’ora in cui si presentavano.
Nel secondo caso era normale che, dopo avere portato il vassoio ed essermi inginocchiata per porgerlo, avrei dovuto attenere accucciata sul tappeto tra loro oppure ai piedi di uno dei miei Padroni, mentre i presenti discorrevano come nulla fosse.
Avevano anche un ripiano di cristallo che, ogni tanto, mi mettevano sulla schiena mentre, a 4 zampe tra le poltrone, fungevo quale tavolino sul quale appoggiavano le tazzine ed i biscotti.
Ovviamente sempre nuda, indossando sempre e solo il collare oppure, a volte, i morsetti ai capezzoli.
Vero che feci fatica ad abituarmi ma, col tempo, apprezzai questa cosa. Mi piaceva vivere quasi nella naturalezza la mia sottomissione.
Una cosa è servire i Padroni nelle segrete stanze della propria anima protetta dai muri sicuri della casa.
Altra è quando tra quei muri vi sono persone estranee, con le quali il rapporto tra i “liberi” è normale ed io ero un mero accessorio.
Paraddosalmente in quei momenti mi sentivo ancora più schiava, vista la naturaklezza della situazione, immaginando il periodo in cui la schiavitù era normale e quelle scene avrebbero potuto essere all’ordine del giorno.
Fui loro proprietà fino all’anno successivo alla mia laurea, quando mi aiutarono a trovare il posto di lavoro che ancora oggi occupo.
Ricordo come fosse ieri l’ultima sera, che io non sapevo essere tale.
Solitamente io cenavo con loro ma, mentre i Padroni erano a tavola, il mio piatto era a terra, dal quale avrei dovuto attingere direttamente con la bocca, come i cani.
Quella sera mi lasciarono vestita e cenai con loro a tavola. Percepii nell’aria qualcosa di diverso, qualcosa che sapeva di gioia e di tristezza, di felicità e di dolore.
A letto facemmo l’amore, tutti e tre. Non mi usarono quale schiava ma alla pari.
L’eccitazione del momento non mi fece vedere nulla di strano. Solo dopo l’orgasmo di tutti capii che vi era anormalità.
Mi dissero, stesi ed abbracciati, mentre mi stringevano nel loro calore umano e corporeo, che mi avevano portata fino a lì. Mi ricordarono che io li avevo portati fino a lì, in questi anni di piacere e di anime scambiate e arrotolate tra loro nonostante i diversi ruoli e la differenza di età.
Mi comunicarono che avevano ottenuto una promozione per me che prevedeva l'allontanamento dalla città e da loro.
Avrei dovuto andare da sola nella vita. Loro mi avevano, quasi come nonni amorevoli, portata fino a quel punto, ma adesso avrei dovuto staccarmi da loro, avere un marito o un compagno o una serie di amanti o Padroni o schiavi, ma nulla di così esclusivo che mi avrebbe legato le ali verso la vita.
Capii la gioia per il mio futuro e il dolore per il distacco che stavano vivendo.
Ricordo ancora la mia angoscia. Mi resi conto che li avevo amati e che ancora li amo, tutt’oggi, mentre scrivo queste righe.
Accettai. Non era un atto di obbedienza ma qualcosa di capito e condiviso.
Feci la mia vita finchè non mi arrivò una telefonata, a seguito della quale non esitai a raggiungerli, il giorno dopo.
Appena entrata in casa vidi Giorgio e mi gettai al suo collo per abbracciarlo, provando lo stesso affetto di anni addietro.
Era invecchiato. Gli oltre 10 anni passati si vedevano tutti.
Provai l’istinto di prostrarmi ma mi fermò, sorridendomi e baciandomi, stringendomi con la forza che in quel momento poteva avere e che io, mentendo, gli dissi essere troppa per il mio corpo delicato e magro, non volendo dirgli che era cessata, non ne aveva quasi più.
Mi portò in stanza, dove Altea era stesa, ammalata.
Accanto al letto c’era una ragazza, nuda, legata al guinzaglio in un angolo.
Era la loro schiava. Mi disse che dopo di me ne avevano avuta un’altra e questa era con loro da poco. Avrà avuto 20 anni, circa. Ce l’avevano da quasi un anno.
In stanza c’era il medico, amico di famiglia da anni, abituato a vedere schiave a casa loro.
Appena il dottore se ne andò, mi avvicinai ad Altea, trovandola ancora bella e signorile. Una gran donna, una classe che le avevo sempre invidiato e cercato, inutilmente, di imitare.
Giorgio andò a slegare Monica e la portò ai miei piedi, che dovette omaggiare con la sua lingua.
Mi fece effetto stare dall’”altra parte” in casa di coloro che ancora sentivo quali miei Padroni.
Da quando me ne andai da casa loro non ebbi più rapporti di sottomissione ma solo alla pari, rapporti definiti “vanilla” che non mi davano le stesse emozioni. Tuttavia non riuscii più a replicare quel senso di schiavitù che loro mi avevano dato e fatto provare, facendo respirare quella parte di anima che avevano definitivamente svelato e fatto conoscere.
Restai da loro qualche giorno, affamata della loro compagnia e con il pianto sempre sulla soglia, trattenuto solo dal desiderio di farli stare bene e di godermi ogni momento del loro umano calore che ritrovai subito.
Non mi sottomisi mai, anche se fui tentata. Giorgio me lo impedì.
Monica dormiva a terra accanto al letto della Padrona che aveva avuto il tempo di servire solo per un anno.
Prima di andarmene, cosa che avvenne solo quando non potei proprio più restare lì con loro, Giorgio portò Monica a 4 zampe ai miei piedi e mi diede in mano il guinzaglio, osservando lo sgomento nei miei occhi.
Ne avevano parlato tra loro, con Altea e anche con la schiava.
Monica non poteva più stare con loro. Rividi in lei la me stessa di anni addietro.
La presi e me la portai a casa.
Non ero pronta a prendermi cura di una schiava. Solo allora mi resi conto che non era facile essere una Padrona e mi ricordai di tutti gli insegnamenti ed i comportamenti dei miei Padroni, apprezzandoli e vedendoli con occhi diversi.
Non ero sposata, né avevo un compagno.
La schiava è con me (ed io con lei) da qualche mese. Ci siamo amalgamati.
La uso sessualmente e le faccio fare i lavori di casa. Mi piace tenerla come cameriera, avendole anche preso un bel vestito da serva.
Qualche giorno addietro mi sentii esplodere dentro. Mi accorsi di quanto mi mancavano Giorgio e Altea con i quali, da schiava, ho avuto un rapporto alla pari e che avrei voluto replicare con Monica.
Avevo bisogno di placare l’anima e calmare il respiro ed i battiti del cuore.
Oggi è domenica. Da ieri pomeriggio sto scrivendo.
Ho sentito il bisogno di redigere queste righe perchè scrivere porta a pensare, a capire, a guardarsi dentro prima di scegliere le parole da comporre con la tastiera, parole alle quali è affidato l’arduo compito di trasmettere il calore che ho dentro, per poterlo guardare meglio.
Monica, dolcissima, durante il tempo della stesura è sempre stata nuda ai miei piedi, pronta a servirmi e ad intercettare ogni mia esigenza, sapendo cosa stavo facendo e il turbamento che avevo bisogno di placare nel mio cuore.
Per il tempo impiegato nella rilettura di questo scritto mi sono fatta leccare i piedi.
Adesso metto la parola fine e chiudo il file, sapendo che nel mio computer, in una cartellina, c’è scritta una parte della mia vita, fatta di emozioni ed eccitazioni, di tanta umanità.
Mi sento più calma, vicina col cuore ad Altea e a Giorgio.

Spento il computer, Carla si fece leccare ed accarezzare tutto il corpo, dopo essersi diretta sul letto, seguita a 4 zampe dalla sua giovane schiava.
L’orgasmo fu potente, come se lo scritto uscito dal suo cuore le avesse caricato il corpo fino all’improrogabile bisogno di scaricarsi.
Abbracciò Monica. Stettero strette a lungo, finchè non decisero di uscire e andare al ristorante, ove ordinarono i piatti che sapevano essere i preferiti di Altea e Giorgio, i loro Padroni, coi quali stettero idealmente tutta la sera, sorridendo.


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krugher.1863@gmail.com
di
scritto il
2022-11-17
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