Pigmei – nuovamente schiava (parte 5)

di
genere
sadomaso

“Muoviti cagna, la pacchia è finita”.
Paradossale che Mathias considerasse “pacchia” il viaggio su quella nave sporca, effettuato stando incatenata in un angolo, nutrendosi degli avanzi, abbondanti ma pur sempre gettati a terra.
Almeno per quell’uomo l’uso sessuale non era una priorità. Evidentemente abituato ad avere schiave pronte a soddisfare ogni sua esigenza.
Chanel riusciva a provare piacere quando la portava all’aperto, pur tenuta al guinzaglio, per espletare i suoi bisogni. Si chiedeva quale fosse l’utilità del guinzaglio durante quelle uscite. Forse quello schiavista aveva paura che si suicidasse, gettandosi in mare piuttosto che affrontare una vita di schiavitù.
Poteva essere che in passato avesse perso un affare che, malauguratamente, aveva deciso di porre fine alla schiavitù cercando la libertà nel profondo del mare.
Aveva intuito che per lui rappresentava una buona fonte di guadagno.
La sua premura nell’accertare le sue origini era eccessiva. Lo sguardo, una volta avuta conferma delle sue supposizioni, era stato più che eloquente, come se d’improvviso si fosse manifestato davanti a lui un sacchetto pieno di monete d’oro.
Aveva smesso di torturarla in modo da evitare di lasciare segni sulla sua pelle ed il cibo le aveva fatto recuperare quello che il suo corpo aveva patito dopo la cattura da parte degli inglesi. Quei maledetti.
Sarebbe quasi stato meglio essere riprese dai pigmei.
Nel loro campo, tutto sommato, era stata trattata meglio.
Ogni tanto si chiedeva quale fosse stata la sorte di Camille e di Monique, le sue compagne di schiavitù e di fuga.
Sicuramente si trovavano nella stiva assieme alle altre schiave e schiavi.
Avendo tempo per riflettere, ripensò a lungo all’eccitazione di Mathias una volta avuta la conferma delle sue origini.
Se il mercato di quell’uomo fossero stati i bordelli, il suo titolo nobiliare non avrebbe avuto alcuna importanza.
Evidentemente aveva quali clienti persone che avrebbero potuto apprezzare il fatto di avere una schiava di pregio, per il solo gusto di possedere una persona destinata dalla vita a ben altri agi e, invece, assoggettata a soddisfare le loro esigenze facendo anche lavori umilianti, fonte di piacere per i Padroni.
Non aveva mai immaginato che ci potesse essere un mercato simile. Aveva avuto serve e servi dei quali aveva approfittato. Ricordava ancora il piacere e l’eccitazione di usare e umiliare persone a lei sottoposte.
Provò anche ad immaginare cosa volesse dire avere una schiava di rango e, nonostante tutto, dovette ammettere a sé stessa che la situazione sarebbe stata molto eccitante.
Provò piacere all’idea di farsi leccare i piedi da un contessa, costringerla a servire e, a piacimento, frustarla o farla strisciare.
Tutto questo sarebbe stato eccitante se la schiava non fosse stata lei.
Finalmente attraccarono.
Sarebbe finita quella schiavitù e, sicuramente, ne sarebbe iniziata un’altra.
Quando venne fatta uscire dalla cabina del comandante, gli altri dovevano già essere stati fatti scendere.
Vide dalla passerella scendere due schiave e uno schiavo tenuti in catene e subito essere portati via da un uomo a cavallo, costretti a seguirlo a piedi.
Lo sguardo gettato più avanti le fece appena vedere un’altra schiava nuda girare dietro ad una costruzione.
Era estate, una calda estate.
In altri tempi sarebbe stata nella tenuta in campagna dei suoi genitori.
Venne portata da Mathias, al guinzaglio, in altra costruzione.
Dentro c’era uno schiavo giovane, impaurito e con lo sguardo perso. Provò ad immaginare il proprio sguardo e non se lo vide come quello del ragazzo incatenato a terra. Ormai per lei la schiavitù era cosa già quasi normale.
Evidentemente era stato catturato da poco. Si soffermò a guardarlo e ne apprezzò la cura. Aveva mani curate e la pelle del viso e del corpo liscia.
La catena al collo lo teneva legato alla parete. Era seduto e stava con gambe raccolte al petto e avvolte dalle braccia, quale inutile difesa verso pericoli troppo grandi.
Venne incatenata anche lei, ma distante dal ragazzo.
Si guardò in giro e vide che era un locale pieno di catene e di anelli infissi nella parete di legno.
Il legno del pavimento era consumato dai tanti passi pesanti e corpi degli schiavi in attesa di ben altro destino.
Il ragazzo cercò di parlarle ma lei non aveva voglia di comunicare, non avrebbe avuto nulla da dirgli se non per informarlo sulla vita da schiavi.
Si ricordò di lei stessa tempo addietro, quando cercava, appena incatenata in un posto nuovo, di acquisire informazioni dalle altre schiave.
Cominciò a capire quelle che, apatiche, non le rispondevano, grata invece a coloro che le davano informazioni o anche solo il calore di una voce, magari non amica ma, almeno, non nemica.
La sua mente era attiva e cercava ancora di acquisire quante nozioni possibili ricominciando a pensare alla fuga e alla riconquista della libertà.
La differenza stava nel fatto che aveva capito di trovarsi sul suolo francese.
A differenza dell’Africa, se fosse riuscita a scappare avrebbe potuto raggiungere casa in una terra dove la schiavitù evidentemente esisteva ma, sicuramente, non era cosa legale.
Poco dopo entrò un altro uomo che teneva una ragazza in catene. A lei sembrò trascorso poco tempo, forse concentrata nei suoi pensieri al punto che nemmeno sentiva la voce insistente e noiosa di quel ragazzo spaventato.
Chanel guardò quella nuova arrivata con lo stesso disinteresse con il quale aveva rivolto la sua attenzione a quello schiavo.
La nuova venuta iniziò a parlare e a fare domande. Piangeva e le dava fastidio.
Anche lei appena catturata piangeva, ma adesso aveva una scorza di vita che le aveva seppellito tutte le lacrime delle quali nemmeno sentiva più il bisogno, più concentrata sulla rabbia e desiderio di fuga.
Il tempo che trascorse dall’arrivo della nuova schiava fu molto o, almeno, questa volta notò il suo trascorrere.
Anche quella schiava doveva avere origini nobili o di ricca famiglia.
Era bella e magra, delicata nei movimenti. I capelli avevano ancora qualche segno di una cura ormai a lei sconosciuta.
Cominciò a sentire crescere l’ansia, avendo terminato i suoi pensieri.
Entrò Mathias con altro uomo. Anche quest’ultimo era grasso ma tenuto meglio. Aveva abiti più ricercati e modi tipici di chi non è abituato a lavori manuali o alla vita di mare.
Parlavano francese e si misero a trattare sul prezzo davanti a loro, come fossero vacche al mercato delle quali venivano evidenziate le qualità.
“Sono tutti nobili. Quella puttana nell’angolo arriva dall’Africa. Deve essere stata schiava di qualche tribù perché è ben tenuta e, soprattutto, forte ed in salute. Quell’altra e quell’altro sono delle signorine, al confronto, ma fresche di cattura e, quindi, ancora apprezzabili. La puttana là in fondo è già sottomessa, invece. Questi sono da educare ma non sembra che possano costituire un problema per un Padrone o Padrona con una buona frusta”.
La trattativa fu lunga ma, alla fine, sembrarono entrambi soddisfatti.
Chanel aveva sentito il prezzo pattuito. Era abbastanza alto. Si chiese quale sarebbe stato il suo valore finale, al momento della vendita.
Non fosse stata lei l’oggetto della vendita, sarebbe stata affascinata da quel mondo sotterraneo, segreto, eccitante.
Immaginò gli amici dei suoi genitori che nei castelli avevano incatenate schiave o schiavi nelle segrete, il tutto mentre loro stavano nei piani dei saloni riccamente addobbati e pieni di musica e tintinnii di bicchieri.
Il nuovo arrivato li aveva acquistati tutti e tre. Evidentemente facevano parte di un pacchetto unico, privilegiato e costoso, di merce rara destinata ad una clientela selezionata.
Si chiese se i suoi genitori avessero mai avuto una schiava o uno schiavo o, addirittura, se non ne avessero anche adesso in una delle tenute di loro proprietà, magari in un capanno del quale lei non conosceva l’esistenza.
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scritto il
2024-03-28
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