La gladiatrice Episodio 19

di
genere
dominazione

Il cappuccio mi faceva mancare l'aria. Forse per il mio stato d'animo non
proprio tranquillo, ma sentivo il mio respiro corto, nervoso. E poi il buio,
quel buio che era anche sinonimo di ignoto, il non sapere nulla di quello che
mi circondava, a parte i miei compagni e i miei aguzzini, ovvero gli scagnozzi
di Cartright che ogni tanto mi pungolavano con le loro armi. Sentivo le loro
risate, quasi sapessero che per me fossero gli ultimi istanti di vita. Perché
mi davano per spacciato? Di sicuro il mio avversario non era uno dei miei
compagni, uno degli schiavi di Sonja. Per tutto il giorno mi ero informato con
loro e, a meno che non fossero bugiardi patentati, tutti mi avevano assicurato
che non sapevano chi fosse il mio avversario. Finalmente la camionetta si
fermò. Sentii il rumore di uno dei soldati saltare e poi la sua voce

" Ora scendete lentamente. Vi aiuteremo noi a farlo ma non azzardatevi a
togliervi i cappucci" Dopo qualche istante, sentii la mano di uno di loro
afferrarmi per il braccio e aiutarmi a scendere dal mezzo, poi sentii diramare
gli ordini. Uno dei soldati mi spinse in una direzione e finalmente entrammo
in un ambiente chiuso: l'arena della morte. Finalmente? Ma si, finalmente!
Quella giornata era stata straziante e non vedevo l'ora di combattere anche se
non mi sentivo certo in forma smagliante e il mio avversario si era quasi
certamente potuto allenare, al contrario di me. Senza contare che la sera
precedente avevo avuto un rapporto molto dispendioso con Sonja ed ero ancora
leggermente dolorante. Già, Sonja. L'avevo vista dispiaciuta, rammaricata
mentre mi diceva che il giorno seguente avrei dovuto combattere. Forse il
pensiero di poter perdere uno schiavo. Si, non ero altro che uno schiavo per
lei, per quella donna tanto bella quanto crudele che godeva nell'infliggere
dolore, umiliazione e morte.

Ad attendermi nello spogliatoio c'era il colonnello Thomas Cartright.
Riconobbi subito la sua voce mentre mi ordinava di togliermi il cappuccio

" Allora, mio caro Jason, non ti sembra un deja vu?"

" Come darle torto, colonnello. A proposito, lei e' ancora un colonnello
dell'esercito statunitense oppure le è rimasta soltanto la divisa?"

" Che ironia! Sapevo dal primo momento che ti ho visto che tu eri diverso da
tutti quelli che ti avevano preceduto. Colossi pieni di muscoli e con poco
cervello. Ma tu ...Tu hai qualcosa di diverso. Ed è per questo che ho
fortemente voluto che tu combattessi di nuovo"

" E' stato lei a decidere? Dovevo immaginarlo. Perché? Perché di nuovo io?"

" Perche' tu sei pericoloso, mio caro Jason. Tu non te ne rendi conto ma io
si. E' questo che fa grande un ufficiale: l'intuito. E io ho sempre avuto
intuito. Sempre. Fin da quando scelsi Sonja per farle comandare il mio gruppo
di soldati perfetti" Soldati perfetti? Uomini destinati a morire di tumore o
ad impazzire? Avrei voluto replicare ma avevo dato la parola a Sonja di non
far parola a nessuno delle sue confidenze e feci il finto tonto

" Cosa vuol dire tutto questo?"

" Vuol dire che Sonja non ha le mie capacità di comando"

" Sonja? Lei non ha capacità di comando? Non ho mai conosciuto nessuno al
mondo capace di dare ordini come lo fa lei"

" Oh si, lei è molto dominante e le riesce spontaneo dare ordini in maniera
perentoria, ma io intendevo la capacità di decidere per il verso giusto.
Questo Sonja non sempre lo sa fare ed è per questo che lei non voleva che tu
combattessi" Ora capivo. Forse si trattava della discussione alla quale avevo
assistito mentre ero di guardia davanti alle telecamere. E Sonja non avrebbe
voluto che combattessi ma alla fine aveva ceduto, convinta da colui che era il
suo comandante. Altre cose continuavano però a sfuggirmi e cercai di
interrogare il colonnello

" Che c'entra tutto questo? Non capisco. Perché io sarei pericoloso?"

" Capirai, Jason, capirai. Quando vedrai il tuo avversario capirai. Ora
preparati al combattimento. Parlare è perfettamente inutile, ormai" Odioso.
Apparentemente affabile ed odioso al contempo

" Colonnello, lei è credente?" gli domandai a bruciapelo

" Cosa c'entra?"

" Oh si, c'entra. Perché se lei si ritiene credente, preghi il Signore di non
incontrarmi mai al di fuori di questa situazione. Non sarebbe un bell'incontro
per lei" Il colonnello scoppiò in una sonora risata

" Non c'è problema. Sara' molto difficile che noi possiamo incontrarci di
nuovo. Sicuramente non in questa vita"

" Mi da già per spacciato, vero? Sono già morto, colonnello? Chi è il mio
avversario? L'incredibile Hulk o Superman?" Avrei voluto prenderlo per la gola
e strozzarlo, soffocarlo con le mie mani ma il soldato sulla porta con l'arma
spianata mi fece desistere. Cartright si avvicinò a me e mi diede una pacca
sulle spalle

" Peggio, molto peggio, mio caro Jason" Fece dietrofront e si eclissò dallo
spogliatoio lasciandomi in compagnia del suo soldato. Ero quindi destinato a
soccombere. Quel bastardo di Cartright aveva organizzato tutto per vedermi
morto. Ma perché? Cosa avevo io di pericoloso? Aveva scoperto la mia
professione? Quasi impossibile ma era l'unica possibilità. Altre non ne
vedevo. Ma stranamente, mi consolava l'idea che Sonja non voleva che io
combattessi di nuovo. E'vero, aveva poi accettato ma il semplice fatto che
inizialmente non voleva mi faceva pensare che ... No, cosa diavolo andavo a
pensare.

Mi vestii con calma, scegliendo un pantaloncino da pugile color oro e scarpe
bianche con delle righe azzurre e quindi feci un po' di stretching, per
rinfrancare i miei muscoli addormentati per l'inattività prolungata fino a
che il soldato mi puntò l'arma

" Andiamo Jason. E' giunto il momento" Lo guardai. Forse quello era il momento
giusto. Eravamo io e lui e anche se era armato potevo almeno provarci e poi
cercare la fuga. Non potevo rischiare un combattimento in quell'arena. La
sicurezza del colonnello mi faceva pensare che avessi ben poche possibilità e
decisi di saltargli addosso ma, un solo istante prima che io agissi, altri due
soldati irruppero nello spogliatoio

" Dai, muovetevi. La folla sta aspettando il suo eroe" disse uno dei due con
tono sarcastico. Avevo perso l'attimo giusto e non mi rimaneva che la lotta.

Percorsi il breve corridoio scortato dai tre soldati. Si, aveva ragione il
colonnello su questo. Era tutto un deja vu. Entrai nell'arena. I senatori
assetati di sangue erano probabilmente tutti ai loro posti con le vetrate
oscurate e io proseguii con i miei esercizi di riscaldamento per alcuni
minuti fino a quando notai tutti i miei compagni di prigionia entrare
nell'arena. Tutto proprio come la prima volta. E dietro di loro, inchinatisi
al suo passaggio, c'era di nuovo lei: Sonja, bellissima e giunonica, sexy e
stramaledettamente fuori dalla mia portata.

Per commenti, scrivete a
davidmuscolo@tiscali.it
di
scritto il
2024-04-04
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