Debora II

di
genere
tradimenti

Vivevamo a una manciata di chilometri.
A metà pomeriggio mi arriva una sua chiamata.
“Io non ce la faccio per domani”, disse, gelandomi.
“Cosa?”
Avevamo un progetto lavorativo da presentare tra due giorni, che necessitava di messe a punto e revisioni varie.
“Non posso farcela perché c’è troppo da modificare, e se te lo giro così come è adesso, non dovresti fare una semplice revisione, occorrerebbero tante integrazioni e correzioni, è un lavoro incompleto”.
“Capisco”
“In realtà l’unica possibilità sarebbe quella di fare tutto in uno, semplificare, ma a procedere per fasi, cioè io scrivo e tu revisioni, rischiamo di non arrivarci”
“Quindi cosa proponi?”
Sebbene il contesto lavorativo suscitasse in me una certa preoccupazione, nel porle quella domanda il mio interesse era rivolto pressoché totalmente a improbabili risvolti extra lavorativi che quel “problema” poteva suscitare.
“Non so… potremmo procedere in parallelo lavorando contemporaneamente, se te la senti di stare un paio d’ore al telefono”
Speravo che “osasse” molto di più, rimasi un po' deluso da quella prospettiva.
“Sai bene che non basteranno un paio d’ore e che al telefono possiamo risolvere le cose piccole, non certo rivedere un elaborato così complesso”
Lei rimase in silenzio, quindi fui io a continuare:
“Il lavoro va completato in presenza”
Fui vago, presenza tutto sommato poteva significare Ufficio, domani.
Ma la sua lettura andò oltre le mie intenzioni:
“Beh, sarebbe fantastico, se te la senti di venire da me, possiamo lavorare tranquillamente perché io mi ero isolata in casa oggi e quindi abbiamo la tranquillità che ci serve”
Deborah…….
Chi non ha mai sperato di sentirsi dire quelle cose dalla collega che ti vuoi ardentemente scopare?
Nemmeno nelle mie migliori fantasie, pensai, avrei potuto sperare in una cosa del genere.
Il mio cuore iniziò ad andare in tumulto, pensavo che avrei concluso quella sera il mio progetto “sessuale”.
Nelle sue parole comunque non scorsi malizia o ammiccamenti, ma, mi dissi, c’è un limite a tutto, se mi chiama a casa sua, da sola, questa cosa del lavoro non può che essere almeno in parte una scusa.
Mi preparai rapidissimamente e mi dissi “no agli indugi, te la devi giocare, e se perdi, amen.”
Mi ripromisi di non aver fretta, di attendere il momento giusto, ma che non dovevo uscire da quella casa senza averci provato.
Fui troppo rapido nell’arrivare a casa sua.
Mi aprì la porta e ci ritrovammo nel suo immenso e luminosissimo soggiorno; non c’ero mai stato prima.
Ma a sconvolgermi fu ben altro: lei era in minigonna jeans e maglietta fucsia.
Pensai scherzosamente che forse si fidava troppo di me o pensava che fossi gay, visto che con quel vestiario appariva incredibilmente sexy e tuttavia imperturbabile.
Non tradiva emozione né imbarazzo. Io, come sempre accadeva con lei, era rilassato, tranquillo, non spavaldo, ma non certo l’imbranato che non sa come muoversi. Per dire che non eravamo come la pupa e il secchione.
“Caspitaaaa”, mi disse accogliendomi piuttosto allegramente e guardandomi negli occhi con una rara intensità, “hai fatto molto presto”.
Senza darmi tempo di controbattere aggiunse:
“Io pensavo che almeno un’ora la mettessi”. Mi accompagnò nella postazione di lavoro che aveva imbastito, sempre in soggiorno. Un computer portatile circondato da tante, troppe carte, appunti, foglietti volanti.
Mi spiegò a che punto era e poi concluse:
“Scusami ma io devo fare una doccia, perché quando ti ho chiamato ero appena rientrata a casa”, ecc. ecc.
Mi diede istruzioni per continuare il lavoro e, se volevo, per prendere cose da bere dal frigo.
Due minuti dopo iniziai a sentire il soffione della doccia che irrorava, nel mio immaginario, la sua pelle nuda.
In caso non c’era nessuno e così feci la cosa più banale: mi recai a passi controllati verso il bagno e mi chinai in modo da collocare il mio occhio all’altezza del buco della serratura; avevo idea che la porta non fosse chiusa a chiave ma ovviamente mi guardai bene dal fare mosse avventate, anche perché mi accorsi subito che la vista non era male nemmeno da lì.
E fu così che dopo circa 3 mesi dal nostro primo incontro, la sua quarta di seno fu nuda dinanzi ai miei occhi, seppure a qualche metro di distanza. Il bagno aveva una forma più o meno quadrata e la doccia sembrava collocata apposta per consentire di spiare dal buco della serratura. Mi godei lo spettacolo raggiungendo una erezione piena e rapida. E siccome ero solo e avevo il controllo della situazione, potevo anche toccarmi mentre la guardavo. Ebbi la fortuna di vederla tutta, la sua fica leggermente depilata, da cui compresi che i suoi fluidi capelli biondi non erano naturali, il suo culo tosto e marmoreo, i suoi capelli bagnati che ricadevano sulle spalle, le sue tette abbondanti e insaponate. Ero paonazzo, impazzito, mi sentivo un ladro, mi sentivo fortunato, mi sentivo fuori controllo.
Più di ogni altra cosa mi piacevano le sue lunghe cosce bianche, che a turno alzava per lavarsi bene fino all’inguine.
Quando stava per finire tornai al mio posto.
Mi raggiunse dopo pochi minuti, senza aver asciugati i capelli.
La guardai mentre si avvicinava, aveva indosso una lunga maglietta bianca tipo pigiama che la vestiva quasi fino alle ginocchia, ed ebbi modo di intuire che aveva messo degli slip, mentre era evidente la mancanza di un reggiseno. Pensai che non lo aveva messo per fare prima.
Averla accanto, non ad un metro ma accanto, capelli bagnatissimi, profumatissima di bagnoschiuma, che fluttuava sulla sedia come un serpente, mi provocava uno stato di eccitazione mentale e fisico incontrollabili…
Deborah….. eccoti qui, in tutto il tuo splendore.
Basterebbe poco, basterebbe avvicinarmi a te e provare a darti un bacio così mi levo questo dente, e magari dopo 3 minuti sarò dentro di te, le tue tette tra le mie mani, e al diavolo il lavoro.
Lei vide che il computer era fermo all’immagine che aveva lasciato e senza alcun tono di rimprovero mi chiese:
“Non hai cominciato?”
“No”
“Ah, che hai fatto”, chiese senza troppa attenzione, iniziando a spulciare tra le carte.
Ero, veramente, sul punto di dirle: “ti ho guardato”, ma lei ancora una volta giocò di anticipo e mi disse: “ma tu sei sicuro che ce la faremo?”
“quanto tempo abbiamo?”
“fino a ora di cena”, disse lei con tono di ovvietà.
Suonò il telefono:
“scusami, vado a rispondere da sopra in mansarda”, disse lei, procedendo a passi rapidi verso la scala a chiocciola che era di fronte a noi. Vero, avevo già visto il suo corpo nudo, ma vederla ancheggiare sulla scala a chiocciola, con quella magliettona mezza bagnata e quegli slip che dal mio punto di vista, situato sotto a un paio di metri, si rivelarono un perizoma molto essenziale, mi provocò una scarica di eccitazione ancora più forte.
La guardai fino alla fine, in modo anche evidente, sperando che lei se ne accorgesse e lo stesso feci un minuto dopo quando percorse la scala in senso inverso; ma lei non si avvide delle mie attenzioni in quanto scese la scala con gli occhi sempre incollati sul telefonino.
Eravamo seduti a fianco, così vicini come non lo eravamo mai stati. Io dirigevo le operazioni al computer, lei seduta alla mia sinistra.
Sarà che ci trovavamo a casa sua e questo in qualche modo le dava relax o sicurezza, vidi in lei un modo di fare leggermente più padrone, più confidenziale, più di contatto: ogni tanto mentre leggevo o dicevo qualcosa con lo sguardo rivolto allo schermo, lei per fermarmi metteva una mano sul mio braccio sinistro, e sussurrava:
“Aspetta un attimo”.
Aspetta un attimo. Deborah…. Sono tre mesi che ti aspetto.
Poi partiva con le sue considerazioni, sempre pertinenti e lucide.
Qualche volta, nello sviluppo del dibattito, tra computer e confronto tra noi, capitava che la sua mano rimaneva ad indugiare quei due o tre secondi di troppo sul mio braccio scoperto (ero a maniche corte); il suo “aspetta un attimo” veniva seguito in quei casi da un “no, no, ok, vai avanti” mentre si chinava leggermente in avanti per vedere meglio lo schermo, accompagnati da qualche picchiettio della sua mano sul mio braccio.
Erano gesti che mi trasmettevano una tensione sessuale indescrivibile, in quanto non era un modo di fare che caratterizzava il nostro rapporto.
Sentivo la sua mano calda e vellutata, sentivo il suo alito profumato.
di
scritto il
2022-08-27
2 . 1 K visite
Segnala abuso in questo racconto erotico

commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.