Ritorno in autobus

di
genere
gay

La giornata in ufficio, particolarmente pesante, era terminata.
Appena uscito, il sole del tardo pomeriggio, ed una brezza piacevolmente rinfrescante, mi destarono dal torpore, mi sentii rinvigorito.
Alla fermata dell'autobus, eravamo in pochi.
Il pullman arrivò, salii, era semivuoto, mi sedetti in fondo, volevo stare tranquillo in questa mezz'ora.
Alla prima fermata, salí una sola persona: non ci feci caso, mi accorsi di lui solo quando si sedette al mio fianco.
Mi infastidì.
Perché non si era seduto altrove?
L'autobus ripartí, e sentii l'odore del passeggero al mio fianco: intenso, forte, un odore non sgradevole, un profumo al confine con il cattivo odore, ma particolarmente piacevole
Lo guardai: un ragazzo mulatto, capelli rasta, una cuffia per la musica, tuta Nike nera.
Calmati, mi dissi.
Guardai fuori dal finestrino, e la vetrina di un negozio mi permise di vedere il passeggero, riflesso, al mio fianco.
Si stava togliendo la giacca jeans leggera, e se l'era portata sopra le gambe.
Non guardarlo, mi dissi, fingiti interessato a qualche ragazza, fai questo sforzo, sono solo venticinque minuti di viaggio.
Ancora il suo forte profumo, stavolta così piacevole da farmi battere il cuore.
La sua gamba sfiorò impercettibilmente la mia: aveva fatto apposta? Aveva capito? O era un caso?
La strada non era dissestata, e la sua gamba mi diede un colpetto.
Cosa avrei potuto fare?
Quel contatto mi fece vacillare, non potevo fare questa sciocchezza, ho 35 anni, sono un impiegato modello, ho una ragazza, forse mi sposerò...
La mia mano si posò sulla sua gamba, non ci fu reazione.
Tamburellai le dita, e passai sotto la giacca jeans.
Qualcosa di duro, umido, usciva da un lato della tuta, lo sentii subito.
Quando lo aveva tirato fuori?
Col palmo della mano salii, la cappella era umida, larga, non potevo vederla, ma sembrava una fragola liscia.
Lui guardava avanti, ascoltava impassibile la musica, mentre la mia mano iniziava a fargli scendere la pelle verso il basso.
Scorreva splendidamente lungo quel tronco rigido, pieno di nervature dure come un marmo.
La mia mano andava su e giù, sentivo il palmo sempre più scivoloso, dalla sua punta il precum stava bagnando quel cazzo enorme.
Nel frattempo era salito qualche passeggero, ma nessuno avrebbe capito che stavo sparando una sega ad un giovane ragazzo.
Lo sapevamo solo io e lui.
Non potevo guardarlo, ma avrei voluto.
Iniziai a masturbarlo ruotando la mano, quando salivo gli massaggiavo la base della cappella col dito, poi scendevo e sentivo che quel cazzo stava scoppiando.
Come lo aveva capito?
Non aveva importanza.
Avevo tra le mani un cazzo perfetto, ed ora avrei continuato anche a costo di saltare la fermata davanti casa mia.
Mi diede un colpo eloquente.
Dovevo fermarmi, altrimenti avrebbe eiaculato nei pantaloni della tuta.
Si alzò, doveva scendere?
La mia mano era umida, la annusai, e vacillai: ferormoni e testosterone.
Non era la mia fermata.
Mi alzai anche io.
Le porte si aprirono, lui scese ed iniziò a camminare sul marciapiede, io feci altrettanto, ed iniziai a seguirlo a qualche metro di distanza.
Girò e scese lungo un prato non molto curato.
Cosa fare? Il mio istinto mi suggeriva di non seguirlo, ma mi trovai a seguirlo ancora.
Arrivò ad un muretto, semicoperto da vegetazione, e non lo vidi più.
Il cuore mi batteva.
Emozione ma anche paura.
Girai l'angolo, oltre il muretto, lo vidi: alto, bellissimo, un viso stupendo, ed un luccicante coltello alla mano.
Sorrideva.
Era bellissimo.
"Metti via il coltello" dissi.
Estrassi il portafoglio, gli diedi tutti i contanti che avevo, lui li prese e se li intascò.
Mi guardava.
Osservava il braccio: il mio orologio.
"Questo vale parecchio" dissi.
Lui estrasse ancora il suo enorme cazzo: "Anche questo vale tanto, frocio"
Non avevo paura, così mi avvicinai alle sue gambe, mi inginocchiai, e mentre le mie labbra accoglievano la sua odorosa cappella, sentivo l'orologio sfilarsi dal polso.
Iniziai a pomparlo, lui allargò le gambe, il cazzo gli scoppiava dal piacere: "Succhiami, troia, leccalo tutto"
Mugugnavo.
Il suo cazzo scivolava nella mia bocca, tra saliva e precum.
"Ora bevila!"
Stava venendo, doveva fare veloce, non poteva stare troppo lì, mi aveva appena rapinato.
Strinsi le labbra, ruotai la lingua sulla sua cappella, sentii quel cazzo gonfiarsi.
"Bevi puttana!" disse, spingendo con il bacino.
La sua cappella mi sbatté sul palato, lo sperma uscì e colò nella mia gola, tossici e gli ributtai lo sperma sul suo cazzo, mentre lo faceva uscire dalla bocca.
Ansimava: "Pulisci, svelto!"
Gli leccai il cazzo, ogni traccia del suo sperma scomparve nella mia bocca.
"Addio troia" mi disse, e scomparve anche lui.
Mi alzai, la brezza mi rinfrancò, mi composi, la bocca e la lingua pizzicavano, feci un bolo di saliva e deglutii.
Annusai la mano: che buon profumo.
Ero sereno, felice.
Feci per guardare l'ora: ah, vero, non avevo l'orologio, ero stato rapinato.
Tornai alla fermata, alle spalle intravidi il muretto, così lontano.
Il cuore sobbalzò.
Evidentemente non gli avevo lasciato solo il portafoglio e l'orologio, ma anche il cuore.
Addio ragazzo stupendo.
Ti porterò sempre con me.
FINE
(Nota: racconto di pura fantasia, ho utilizzato, nella storia un ragazzo di colore solo per l'ideale di bellezza, e non per stupidi rifermenti razziali che qualche benpensante potrebbe erroneamente ipotizzare. Grazie)



di
scritto il
2024-05-10
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