Schiava dell'amica e dei suoi genitori (parte 11)

Scritto da , il 2022-12-07, genere sadomaso

La prima cinghiata sulla schiena di Erica, data da Giulio, fu l’apice di un percorso iniziato in silenzio, montato lentamente e con, a volte, rapide accelerazioni.
Fu un progredire comune a tutti e tre che, se all’inizio fu ammesso solo dalle rispettive coscienze, divenne poi un piacere condiviso e voluto, non più rinviabile.
La pressione era ormai divenuta incontenibile e doveva trovare una nuova strada, lastricata da un piacere nuovo, preparato nei mesi dalla sottomissione soft fino ad arrivare a pretendere sempre più, per giungere all’inevitabile situazione che quella sera stava trovando corpo.
Nessuno in quel momento stava pensando più alla cena di poco prima che aveva ulteriormente definito i nuovi ruoli.
Per la prima volta avevano cenato solo loro tre, la famiglia, serviti da Erica, nuda, pronta a soddisfare ogni loro esigenza a tavola, come una schiava, non più come l’amica cortese delle prime sere o come la serva che era stata quando ancora erano nella terra di mezzo.
Avevano dovuto costringerla a servire, nuda, come una schiava. La ragazza aveva capito che le cose erano definitivamente cambiate, per lei in peggio, e che indietro non sarebbe più tornata.
L’avevano minacciata con una forte punizione.
Si erano eccitati ancor di più quando si era gettata ai loro piedi, piangendo, supplicandoli di non farla diventare la loro schiava, promettendo che sarebbe stata una brava serva, ma non voleva diventare una schiava.
La famiglia, dalla quale ormai era esclusa, aveva passato il Rubicone e non erano disposti a rinunciare a ciò che la legge dava loro diritto.
Le lacrime della ragazza mentre li serviva a tavola, diedero loro conferma della scelta fatta, tanto le trovarono eccitanti.
Quando non era utile la costrinsero ad inginocchiarsi, appena dietro di loro.
Quando l’ordine di assumere l’umiliante posizione durante il pasto dei Padroni venne dato la prima volta, Erica fece resistenza, rifiutandosi di scendere quegli scalini.
Giulio dovette alzarsi, darle uno schiaffo e strattonarla per i capelli fino a farle posare a terra le ginocchia.
“Se non fai la brava schiava possiamo anche venderti a qualche bordello e comprarne una docile”.
Non lo avrebbero fatto. Li eccitava avere quale schiava la figlia dei loro amici e, per Isabella, avere ai propri piedi una ex amica.
La cena proseguì con il piacevole sonoro del pianto della ragazza a terra, mentre loro parlavano e cenavano tranquillamente, come nulla fosse.
Terminato il pasto le ordinarono di ritirare e di servire loro il caffè, dopo il quale, finalmente, giunse il momento di divertirsi.
Erica fece un ultimo tentativo e si gettò ai piedi di Giulio, pregandolo, invano, di risparmiarla da quel dolore e giurando che sarebbe stata una brava schiava.
“Mettiti in ginocchio con le mani poggiate al muro!”.
Giulio e Isabella stavano usando una cinghia per frustare la loro schiava, quella ragazza che i due adulti avevano visto crescere e con la quale la loro figlia era cresciuta.
Adoravano il suono della pelle morbida sulla schiena, sulle natiche, sulle cosce.
Si eccitarono ancor di più nel vedere il rossore sulla pelle che prendeva sempre più la forma della cinghia, testimone del dolore della ragazza, quel dolore utile per il loro piacere.
Noemi aveva preferito il frustino, quello che alla casa d’aste avevano regalato al momento della consegna della schiava. Le piaceva la sua rigidità ed il suono diverso quando si abbatteva sul corpo della ragazza. Anche i disegni che produceva erano diversi, più sottili, belli.
Era diversa la reazione della schiava al colpo con la cinghia rispetto al colpo col frustino.
I Padroni sperimentarono una eccitazione nuova, mai provata, che aveva il sapore del vero dominio, quello che consente di procurare dolore a piacimento.
La schiava si dimenava, si lamentava ed aveva iniziato a farlo a voce alta, non riuscendo più ad ubbidire all’ordine di non gridare.
Giulio si tolse una calza e gliela infilò in bocca, per attutire le grida.
Non che queste avrebbero potuto creare scandalo, essendo cosa normale sentire urla di dolore uscire dalle mura e dalle porte delle singole case.
Per loro era solo una questione di stile, non amando le voci alte e le grida inutili.
Arrivò il momento in cui la schiava cedette e, piangendo, si accasciò a terra.
Dai pantaloni si vedeva il cazzo duro di Giulio che, se fosse stato libero, avrebbe rivelato un ulteriore sussulto quando la ragazza iniziò a strisciare a terra per raggiungere i suoi piedi e supplicarlo di smettere.
L’eccitazione può raggiungere livelli troppo alti e, a quel punto, deve trovare sfogo.
Giulio, il Padrone, volle prendere possesso del corpo della schiava, per sancire i suoi usi in maniera completa.
La scopò, fortemente, tirandole i capelli.
Venne il turno anche delle due donne, che si fecero leccare le fighe mentre una delle due torturava i capezzoli alla schiava.
Pareva lontano il momento in cui avevano rotto il vaso e fatto uscire tutto ciò che era montato ed avevano accumulato dentro, quando, con una banalissima scusa, avevano pianificato la punizione, rendendosi inconsciamente conto che serviva un atto forte per segnare il passaggio da una fase all’altra.
Questo accadde al supermercato, solo qualche ora prima.
Avevano comperato ciò che non serviva e che aveva solo rappresentato la scusa per portare la schiava in pubblico ed eccitarsi con la nuova situazione.
Superate le casse, Noemi e Isabella erano passate davanti al bar.
“Mamma, prima di andare a casa fermiamoci a bere qualcosa”.
Si sedettero sulle ampie poltroncine separate da un tavolinetto.
Isabella, guardando Erica, senza bisogno di parole, le indicò col dito il pavimento ai loro piedi.
Come tutti i pavimenti dei supermercati, per quanto possa essere efficiente il servizio, non era pulitissimo.
Erica si inginocchiò tra loro due.
A Noemi non bastò.
Senza guardarla le diede un ulteriore ordine.
“Accucciati ai nostri piedi, come fanno i cani”.
Erica guardò a terra e resistette all’esecuzione dell’ordine qualche secondo che non fu gradito dalle Padrone.
“E’ la seconda volta che non esegui subito. A casa verrai punita. Giù, cagna”.
Accavallò una gamba in modo che il piede penzoloni fosse vicino al viso della ragazza a terra, accucciata su un fianco e un poco raggomitolata, mentre lei e la figlia parlavano tranquillamente.
Fece uscire il tallone dalla scarpa, lasciando questa appoggiata solo sulle dita e facendola ballare avanti e indietro davanti agli occhi della ragazza, finché non le cadde.
Lasciò il piede scalzo davanti al viso della schiava qualche minuto.
Poi le poggiò il piede sulla guancia, usandola come cuscino per i piedi.
Si sentì bagnare la figa e provò una fortissima eccitazione, desiderando dentro un cazzo che la scopasse e facesse godere per farle calare quella pressione interna che sentiva fortissima, sentendosi il viso bollente.
Isabella si innervosì con sé stessa per non avere avuto la stessa idea e, ora, non voleva fare la parte di quella che imita l’idea della madre.
Si riservò di tenere lo stesso comportamento a casa, usandola come poggiapiedi durante le ore di studio o mentre si sarebbe rilassata guardando la tv. Si immaginò alla scrivania, nel tentativo di concentrarsi su un libro di testo, con la sua amica stesa a terra sotto i suoi piedi.
Noemi comunicò alla figlia, sicura che la schiava la sentisse, che quella sera Erica non avrebbe mangiato con loro ma, nuda, li avrebbe serviti come una schiava.
Dopo il pasto l’avrebbero frustata per le due incertezze mostrate nella giornata.
Non avevano mai parlato di punizioni e, così, di fatto comunicarono ad Erica che era finita anche la sua vita di mezzo, per essere ormai entrata a pieno titolo nella sua vita di schiava.
Da terra, si levò una debole protesta, con la fatica di fare uscire la voce con la faccia solo il piede di Noemi. La ragazza tentò di ricordare i patti e che lei era stata acquistata con i soldi che i suoi genitori avevano dato loro.
Le due donne risero.
“Mamma, credo che questa frase le sia costata 20 cinghiate in più”.
Noemi calcò con forza il piede sulla faccia a terra della ragazza.
“Per la legge sei la nostra schiava. Oltre alle 20 cinghiate questa notte dormirai a terra”.
“Mamma, la voglio sul pavimento ai piedi del mio letto”.
“Per questa notte. La prossima ai piedi del mio”.
Le due Padrone brindarono, eccitate dal pensiero della frusta.

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