L'amore ai tempi del nucleare

Scritto da , il 2022-11-09, genere etero

7 giorni al giorno X

Sono in uno dei supermercati della città, riempio due carrelli di scatolette di carne in gelatina a lunga conservazione, legumi in barattoli di latta e altri cibi di pronto uso. Mi dirigo alla cassa, non una qualsiasi, ma quella della cassiera con cui ho scambiato elusivi sguardi negli ultimi tempi.
Come sempre, la divisa rossa non intacca quel suo fascino dolce e impostato. Contemplo i lunghi e lisci capelli castani sfumati sul biondo da sapienti mani. Ha un viso così particolare, difficile da descrivere, gli occhi teneri, tendenti al verde, le guance femminili su un viso ovalizzato dalla mandibola sensualmente pronunciata. Non ha lineamenti perfetti, non ha lineamenti imperfetti.
Si avvicina l’orario di chiusura e il suo viso stanco me lo ricorda.
Mi guarda di sfuggita mentre passa la spesa della persona prima di me, la guardo di sfuggita mentre ritrae la sua occhiata. Nessuno dei due ha malizia, non abbiamo né l’umore né la forza per comunicarci desideri, ci trasmettiamo solo piccoli lampi innocui, per evitarci garbatamente il vuoto dell’indifferenza.
Incrociamo gli sguardi sconcertati per la lentezza con la quale il cliente si attarda nel riempire le borse.
Non ho voglia di scoparla, e sicuramente nemmeno lei ha pensieri sconci.
È il mio turno, le chiedo tre borsine, premurosa le apre prima di consegnarmele, ho il tempo di osservare le sue mani robuste e senza fede, le dita curate, lunghe ma non affusolate, non le dita che appaiono nei porno; stranamente non le immagino avvolte alla mia erezione, non le fantastico umide nella mia bocca, eppure sono parte di lei e questo le rende magnetiche. Avranno toccato banconote per ore eppure non le vedo sporche, è così spontanea e aggraziata che vorrei unirle alle mie.
Le guardo, se ne accorge, non abbiamo l’energia per provare imbarazzo.
Rompe il silenzio: “vedo che ti piace la Simmenthal, non è male ma è cara secondo me”.
Le rispondo con sincerità: “mi fa schifo, però sono pessimista e sto facendo scorte”.
Si ferma per qualche secondo prima di replicare: “pensi che arriverà un’altra ondata di covid?!” Sorrido:”ma quale covid, temo la guerra nucleare, il successivo periodo di radioattività; nell’eventualità, per qualche mese, non si potrà uscire sprotetti a fare acquisti”
Rimane titubante, turbata, non volevo spaventarla, prosegue il suo lavoro. Inizio a riempire le borse e lei scettica:”ma no dai, non credo, esageri, paranoico”. Cerco di tranquillizzarla:”spero di sbagliarmi, hanno scadenza talmente lontana che avrò tempo di mangiarle comunque. Se vedessi quante provviste ho in cantina penseresti che io sia folle”.
Scruto la sua bocca carnosa in entrambe le labbra, ha un rossetto rosa scuro, lievemente sbavato da risultare esteticamente peggiorativo. Mi fa tenerezza il suo vano tentativo di donare femminilità ad una bocca che sarebbe già invitante di suo. Vorrei dirle di levare quell’oscenità ma non ho confidenza e rovinerei la melodia del dialogo.
Scelgo di fare il distaccato, pago e mi dileguo con un saluto raggiante.



4 giorni al giorno X

Stesso supermercato, sto investendo lo stipendio in bottiglie d’acqua, latte a lunga conservazione, frutta sciroppata, zucchero e altre provviste. Il caso vuole che quella cassiera abbia il turno serale, appena la scorgo spingo il carrello verso la sua postazione.
Nemmeno stasera la desidero ma ho voglia di proseguire a coinvolgerla nella mia paranoia.
Arriva il momento in cui passa la mia psicotica spesa, sorride:”vedo che perseveri, devi proprio avere una paura fottuta”.
Presto dovrò far spazio al prossimo cliente, ho pochi secondi per tentare di spiegarle:” in realtà non è paura, è ansia all’idea di trovarmi impreparato, impotente, ti confesso un segreto, una cosa che non si dovrebbe mai rivelare, mi prenderai ufficialmente per pazzo, tempo fa ho fatto costruire un piccolo bunker sotterraneo nel cortile, quaranta metri quadrati con sistema di filtraggio aria”. Noto che resta lievemente sconcertata perciò sdrammatizzo:”non c’è però l’idromassaggio”.
Quando penso che ormai mi abbia catalogato come esaurito, di essermi giocato quel piccolo alone di mistero, di aver irrimediabilmente compromesso un’eventuale conoscenza, mi dice:” ma sai che l’altra notte mi è tornato in mente il tuo monito? Ho fatto ricerche fino a tardi su internet, esiste una possibilità che accada ciò che ipotizzi. Sono un po’ inquieta.”
Nel frattempo ho pagato e imbustato, prima di andare voglio confortarla e lo faccio con un tono di voce calmo, dolce e serio al contempo:”hey, ma non eri tu quella positiva? In ogni caso, non aver paura, se dovesse accadere qualcosa e vorrai rifugiarti da me troverai la porta aperta, non ti lascerò qui fuori da sola, te lo prometto.” Non le concedo il tempo di replicare.
Mentre mi allontano ci guardiamo come attori di un film improvvisato; è la seconda volta che parliamo e ho lanciato una frase d’impatto ma senza fondamenta razionali, poco credibile.



30 ore al giorno X

Mi viene spesso in mente lei, ho voglia di conoscerla, avrà incubi? Si sarà dimenticata di me? Prendo coscienza che quella tipa mi attrae, mi incuriosisce perché non riesco a inquadrarla, non ho idea di come possa essere al di fuori dal contesto lavorativo. Vivrà sola? Avrà un partner? Sarà triste la sera?
Forse ad avermi risucchiato son stati i suoi semplici ma criptici gesti quotidiani. Torno al supermercato, devo capire se c’è speranza di approfondire.
Stavolta niente approvvigionamento scorte, mi sentirei ridicolo, acquisto una decina di bottiglie di vino, mi sembra un buon diversivo.
Vado alle casse ma lei non c’è, sconfortato pago e mi dirigo verso la porta scorrevole quando la intravedo con la coda dell’occhio, dietro al punto informazioni, intenta a richiamare la mia attenzione muovendo un braccio.
La raggiungo con impeto, tagliando la strada ad un altro cliente,con palese frenesia di ascoltare cosa deve dirmi.
“Ciao! Che bello rivederti, mi hai convinta, sta per degenerare la situazione politica mondiale, è come se stessero spostando la finestra di overton, ci hanno lentamente preparati all’imminente misfatto che hanno deciso da tempo, le tue parole mi hanno spinto ad interessarmi, ora tutto mi è chiaro, ma nessuno vuol darmi retta”.
Mi coglie alla sprovvista, è elettrizzata e non me l’aspettavo, sento nitidamente l’adrenalina salire in me, siamo complici di un qualcosa che nessuno può comprendere, forse son stato scorretto a far leva sul terrore per coinvolgerla ma non ho sensi di colpa perché è qui, presa dal condividere con me sensazioni forti. Eccitato, la assecondo, le dico che condivido quel che mi racconta, mi accorgo che però è al lavoro e ci stiamo intrattenendo troppo. Le propongo una cena per approfondire, afferro una penna dal bancone e le scrivo il mio numero.
“Comunque piacere, Thomas”.
”Ops scusa, nella concitazione stavo dimenticando di presentarmi, io sono Katia, allora ti faccio sapere, ciao!”.
Salutarci è il più doloroso dei coiti interrotti, anche se ha l’aria di un rifiuto sono euforico, speranzoso che mi contatti.



Giorno X – ore 03.15 del mattino

La suoneria del telefono mi sveglia, in stato confusionale rispondo e:
“Thomas! Sono Katia, stavi dormendo? Non sai nulla? È successo quello che temevamo!
È ancora valida la proposta di ospitarmi nel bunker?”
Mi crolla il mondo addosso, accendo la luce, non funziona, non c’è corrente, ho freddo, Katia è disperata al telefono, mi chiede se può portare anche sua madre. Le dico di sì e di venire in fretta alla casa rosa che troverà, sulla destra, cento metri dopo la taverna del castello di Grazzano.
Mi vesto velocemente, provo a cercare notizie in internet ma le reti mobili dei cellulari non funzionano. Funziona solo la linea normale, chiamo i miei genitori, li sveglio, li avverto mantenendo una voce calma.
Ricordo loro il piano di emergenza che avevo stabilito, cioè restare a tempo indeterminato nel piano seminterrato senza uscire.
Le provviste non mancano, comunico che avranno un ospite inaspettato.
Mi pare di sentire la eco di un’esplosione lontanissima, esco rapidamente e salgo in auto verso il luogo stabilito, spero Katia faccia presto, c’è un venticello anomalo, persone inconsapevoli escono sconcertate dalle case per capire come mai tutto sia al buio.
Arrivo alla casa rosa, tremo, il vento non è caldo, non ancora, dopo un minuto un’auto si ferma nello spiazzo, scende Katia e una signora, hanno due borsoni, salgono, tutto sembrava impossibile fino a mezz’ora fa, accelero, porto la madre dai miei, li abbraccio, dico loro che tornerò appena possibile, li avviso che presto i cellulari non funzioneranno, di non preoccuparsi, un mese dovrebbe bastare, ma in realtà non so nemmeno io cosa accadrà.
I miei e la signora piangono, Katia ha autocontrollo. Torniamo in macchina, casa mia è a due chilometri.
Guido per un minuto, lei è accanto, mi sembra di conoscerla da sempre, raggiungiamo il mio cortile, prende il suo borsone, apro la porta del bunker, un ultimo sguardo al mondo, al cielo, senza sapere quando lo rivedremo e se, quando accadrà, sarà ancora lo stesso luogo.
Entriamo, trascino la porta fino a chiuderci dentro, insieme.
Da questo momento lei diventi tu.



Giorno X – ore 04.02

Il bunker è composto da una prima stanza di quattro metri per tre, con divanetto, due sedie e un tavolino. Un’enorme cisterna colma d’acqua potabile completa l’arredamento.
Una porta conduce alla seconda stanza più ampia dove trovano posto armadi e un letto a una piazza e mezza. Nell’angolo, una porticina cela un minuscolo bagno cieco con scarico in fogna e doccia sul soffitto. Se la rete idrica non verrà interrotta, l’acqua ci sarà, ovviamente dopo esser stata filtrata dal sistema del bunker. L’ambiente è illuminato da tenui led a luce calda, funzionanti a batteria.
Mentre ti illustro quello che abbiamo, ti osservo, non ti avevo mai vista in piedi a fianco a me, sei almeno un metro e settanta.
Nonostante il tuo viso sia sconvolto e la situazione terribile, mi rendo conto che non avrei voluto chiudermi qui con nessun’altra. Probabilmente la mia mente non si capacita dell’accaduto perché, invece di farmi gridare dalla paura, inizia a pregustarsi la reclusione a due che ci spetta.
Ti mostro gli armadi con le provviste, le batterie e le medicine, le due maschere pieno facciali con filtro per particelle radioattive e alcune divise da apicoltori che ho acquistato recentemente su ebay, da utilizzare per proteggersi nel caso di necessità di uscire. Nel cassetto un contatore geiger per rilevare la radioattività.
Mia premura è stata avere radio e tv, con relativi cavi di antenne che attraversano l’involucro del bunker, ma al momento non c’è elettricità, quindi niente tv. Accendo la radio a pile, nessuna trasmissione su onde FM, ma su quelle AM troviamo una radio francese, il segnale è disturbato ma riesco a cogliere e tradurre alcune parole.
Sei vicina, appiccicati, di fronte a quell’altoparlante dal quale fuoriesce un’impaurita voce straniera. Un istinto di sopravvivenza mai provato ci porta a stringerci mentre consigliano di non uscire di casa, di sigillare le finestre, di non esporsi alla contaminazione, di assumere, se provvisti, ioduro di potassio, di evitare assolutamente la pioggia.
Non abbiamo figli, i nostri genitori sono relativamente al sicuro, ci troviamo nella situazione di poterci concentrare sul salvare noi stessi. Senza accorgercene abbiamo fatto un patto tacito, me ne accorgo mentre ci stendiamo su quel letto, senza toccarci ma senza nemmeno allontanarci: ne usciremo insieme o non ne usciremo.
Non sappiamo nemmeno chi siamo, avremo tempo per raccontarci di noi, ma ora non abbiamo la forza di fare altro che accovacciarci sotto una pesante coperta, addormentandoci al sicuro, mentre quella lontana emittente racconta che il mondo che conoscevamo non esiste più.



Pomeriggio del Giorno X

Prima di aprire gli occhi scopro il tuo delizioso odore, è lui ad avvisarmi della tua presenza ancor prima che il tatto e la vista completino l’opera.
Mi avvicino al tuo orecchio e, mentre dormi, ti sussurro che senza te, qui, sarei impazzito già dopo un’ora.
Forse non stai davvero dormendo e hai udito la mia confessione perché alzi la coperta fino a coprirci del tutto.
Sconosciuti, avvolti da un panno protettivo, in una stanza sotto terra, mentre le nostre bocche si avvicinano per la prima volta.
La tua mano si infila sotto il mio maglione e sale, graffiando leggermente, verso il pettorale. La mia sceglie di sovrapporsi alla pelle della tua schiena, incunearsi verso le tue costole per prenderne possesso.
Le labbra si toccano socchiuse, non serve controllo, fanno tutto da sole, si amalgamano inondandosi di morbidi risucchi, si sfamano cercando reciprocamente aria e contatto, nutrimento ed ansimo, ancora non basta, le lingue pensano al resto, lente, palmate di anima, come fosse l’ultimo bacio prima della morte, come se la prosecuzione della specie dipendesse da noi.
Non è più il nostro cervello a gestire i movimenti, ma la nostra natura ed il nostro petto. Ti bacio come fossi la prima e l’ultima donna della mia vita;
non è più un bacio, è un richiamo primordiale, un vagito, un pistillo linguale, una impollinazione esistenziale.
Cosa stia accadendo sotto una coperta color beige di un bunker non è consentito descriverlo, indumenti scivolano sul freddo cemento del pavimento.
Immaginando di avere una videocamera di sorveglianza, si potrebbero intuire le sagome attraverso quella morbida sindone di lana. Quest’ultima aderirebbe al punto da poter scorgere che lui sia sopra di lei e che le impazienti mani della fanciulla stiano avvolgendo le natiche di lui, godendone la consistenza e richiamandole a sé.
Il caldo aumenta.
Senza smettere di morderci di sete e insalivarci di fame, usciamo coi visi dalla coperta, che scorre poi lungo l’inarcatura della mia schiena scoprendola quasi per intero.
Ci siamo spogliati senza poter opporre resistenza, ho fra le mani il tuo seno e tu la mia erezione, usciremmo dal rifugio consegnandoci alla morte piuttosto di smettere di baciarci in questo accoppiamento eterno.
Non so se facciamo schifo a lasciarci andare così mentre il pianeta va a farsi fottere, non so se è depravato palparti il seno come un ossesso e con l’altra mano cercare il foro del tuo culo mentre tua madre piangerà abbracciata alla mia, non so se sei disgustosa scivolando verso il mio pube a rendere grazia con la lingua ai miei testicoli piuttosto che rifugiarti in una preghiera, non so se il mio spingerti il cazzo in gola fino a soffocarti si sposi con quel desiderio di badare alla tua incolumità.
Non so se tirarti per i capelli, schiaffeggiarti il viso, morderti le spalle, succhiarti le grandi labbra, tapparti la bocca infilandoti lenzuolo avvolto, limonarti la clitoride indemoniata, usarti come la peggiore delle sgualdrine potrà legare ulteriormente le nostre anime, ma i tuoi succhi sembrano dirmi di sì.
Non so se i tuoi sputi nella mia bocca, sul mio glande, sulla tua mano prima di impugnarmi, porteranno a una remissione dei peccati.
Non so se questa impetuosa necessità di entrarci dentro sia riprovevole ora, proprio prima che l’unione delle nostre carni si completi ci guardiamo qualche secondo, ci passa davanti la vita, o meglio, quel poco di vita insieme, il primo sorriso alla cassa, la prima battuta sulle scatolette, il nostro fuggire insieme, il momento in cui abbiamo chiuso quella porta estraniandoci da tutto.

Ti penetro.
Non so come sarà un mese qui dentro ma so che tutto me entrerà in te.

Ti sollevo dal letto, ti appoggio al freddo e grigio cemento che ci sta proteggendo, da una parte il muro a difenderti, dall’altra la mia voglia a invaderti.
Ti tocco, ovunque la mia mano possa arrivare.
Continuo a spingermi in te, fino in fondo.
Emettiamo un lamento, un grido soffocato, un guaito lussurioso, un uggiolio di cagna calorosa mescolato a un bramito inverecondo, l’animale in te si concede alla bestia in me. E viceversa.
Scopiamo come innamorati e come belve insieme, chiaviamo come verro e scrofa ma facciamo anche l’amore come ermellini nella tana pulita.
La foga di entrambi sta incrementando, ti aggrappi a me, ti sposto dal muro, senza sfilarci, ti tengo seduta su me ma non mi stendo, resto anch’io seduto, totalmente piantato in te che ti lasci quasi cadere all’indietro muovendoti, ti sorreggo, i tuoi seni puntano il mio viso, i miei denti li castigano.
Se non smetti di muovere l’inguine in questo modo spasmodico verrai, se non smetti verrò anche io.

Non smetti.

E mentre la morte, là fuori, tenta di sopraffare la vita, l’amore, nel tremore dei nostri respiri, vince sulla morte.




Se non fosse accaduto tutto ciò, avrei scritto un racconto su questa nostra complice reclusione e te lo avrei lasciato alla cassa: il mio personale biglietto d’amore per dirti che, intrecciato a te, nulla potrebbe spaventarmi davvero.






Un giorno dopo il giorno X

Torno al supermercato, mi faccio coraggio e le consegno queste cinque pagine.




Nove mesi dopo il giorno X

“Piacere, sono la madre di Katia, quindi ora siamo diventati nonni! Ma che strano, ho l’impressione di avervi già visto.”

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