Notte Magica

Scritto da , il 2021-12-18, genere etero

Alice è bellissima ed allegra. Ama esageratamente lo sport, l'aria aperta, ridere e scopare.
Io non sono molto divertente, ma per il resto esagero abbastanza.

“Vieni, è un ristorante!”
Siamo al secondo giorno della nostra settimana bianca: abbiamo sciato poco, solo qualche discesa al mattino e nel pomeriggio abbiamo preferito rovistare nei negozietti e pestar neve a zonzo, lontano dalla folla.
“Arrivo.” Alice è cinquanta metri avanti, è stata rapita dalla luce calda di quella finestrella a graticcio sotto il tetto rigonfio di neve. Siamo in alto, sopra il paesino azzurro, nell'ora in cui s'accendono i primi lampioni pallidi. Gli scarponi fanno scrocchiare la sottile cialda di ghiaccio e sprofondano nella neve farinosa.
“Dai, ti prego, torniamoci stasera! Non è caro, mangiamo qui! non in albergo. Ti prego ti prego ti prego!!”
Okay, ci torniamo, perché no?

Nel ristorantino caldo e rumoroso, ma che per noi è deserto, le luci e le ombre delle candele si rincorrono sulle travi del basso soffitto e sulla tovaglia bianca in un trillo che è delle nostre anime.
Tenui guizzi di luce tintinnano sulle posate, s'avvolgono sulla concava porcellana dei piatti inseguendosi lungo il bordo dorato, riscaldano la crosta del pane nero nel cestino d'argento, sfuggono verso l'alto avvitandosi attorno i calici di cristallo e scintillano sui festoni dell'albero accanto al camino, dove la fiamma vivace morde il ceppo con la rabbia di un tigrotto in gabbia. Paiono invece riscaldare il suo maglione, d'angora bianca, morbido sui seni.
Ne carezzo tra pollice ed indice la lana del polsino e sfioro la mano che tiene poggiata sul tavolino. Le candele luccicano innamorate nei suoi occhi mentre racconta, gesticola, sbuffa, ride o tace pensierosa.
C'è profumo di festa - di legna, cera e mandarini - ed i colori, saturi come la grappa che sto sorseggiando, danzano attorno a me.

La cameriera sorride sotto i baffi nel mandarci via, siamo gli ultimi.
Alice non vuole abbandonare quel posto, vaga tra i tavoli da sparecchiare per fissare nella memoria ogni minimo particolare: dall'antico cavallino a dondolo di legno rosso intagliato, esposto su uno scaffale, al gattone di fusa e morbido pelo, addormentato sulla panca.
Non la perdo di vista mentre sono alla cassa: i pantaloni chiari, di velluto da lisciare, le stringono le cosce e le fasciano il sedere, bello ed invitante come una festa in spiaggia.
Vado a recuperarla; mi mostra il cavallino rosso e carezza il gatto grigio, s'allaccia il bomber, annoda bene la sciarpa e “Usciamo, sta nevicando.” mi ordina accostando il viso, ma invece d'un bacetto mi batte la mano sul petto facendo risuonare il giaccone e, prima di voltarsi, mi palpa sotto a mano aperta, distrattamente, come fa lei.
Hanno visto, ci salutano facendo simpatiche allusioni.

Usciamo nell’incanto del buio invernale: la lenta cascata di neve risplende alle deboli luci e l’aria, finissima, profuma di pulito, accogliente come lenzuola fresche di bucato. Ci fermiamo sotto il balcone, incapaci di deturpare con le nostre orme il manto immacolato. Seguiamo il rumore di una pala che raschia il terreno ed individuiamo, attraverso la trina bianca, un uomo che spala chino di fronte al suo portone; ci rimangono nascoste, invece, le voci dei ragazzi che, dietro qualche casa, si lanciano polverose palle di neve. Tutto il mondo è qui, sotto la coltre di nuvole tiepide, carezzato da suoni ovattati.
Pigri fiocchi compaiono dal buio e baluginano in tremolanti aureole attorno ai lampioni. Infiniti cadono dal nulla e si nebulizzano nell’aria fra noi e l’abete, la cui cima svanisce nella notte, e oltre, più lontano, sul piccolo cimitero e lungo il torrente, fino ad un incerto sipario trasparente. Impalpabili fioccano dal silenzio ed attraversano le nostre anime.
Respiriamo la freschezza intensamente, con i polmoni che si dilatano per incamerare il profumo immaginario della neve. La stanchezza quiete, la confusione lucidità, l’allegria gioia, il desiderio eccitazione.

C'incamminiamo, abbiamo fretta di chiuderci in albergo. Me la tiro vicina e ci urtiamo di continuo con movimenti goffi sulla neve sotto il leggero picchiettio dei fiocchi sulla visiera; le mani, senza guanti, s'aggrappano indispettite alle cuciture della sua giacca, scivolano sul tessuto sintetico e poco indovinano di cosa ci sia sotto l’imbottitura.
Finalmente afferro la lana della sciarpa e la obbligo di fronte a me. La stringo al collo cercando il calore sotto i suoi capelli e le interrogo gli occhi: attorno alle sue iridi si raccoglie la luce, tenue irradiazione della notte magica, e tutto il mio essere ci si tuffa dentro.
Nevica.
Nell’apnea infinita del bacio la magia dell’istante. Il lampo del desiderio e la voracità dei corpi, la voglia d'essere nudi ed il bisogno di riparo, l'ebrezza della libertà e la promessa muta di bellezza, la commozione d'essere felici e... Insomma, ho il cervello in pappa ed il cazzo di marmo.
Alice mi spinge di lato, giù per la scarpata: rotolo nella neve, mi balza sopra, mi morde il labbro e roviniamo giù per alcuni metri, braccia e gambe incastrate. Mi ritrovo disteso, addento il velluto della coscia e minaccio di seppellirla; lei mi strofina il volto tra le gambe, ma solo per un lungo istante, poi scappa scalciandomi neve addosso. La raggiungo, la placco alle gambe, le lecco il naso gelato e scappo io con la sua cuffia in mano. Mi rincorre incazzata persa, urlandomi le peggiori parole che conosce. Lascio che mi raggiunga e ruzzoliamo insieme fino all’albergo.
Non ho più il berretto; la giacca è sbottonata e la neve dappertutto, anche nelle mutande a solleticarmi la gioia d'essere vivo. Riprendiamo fiato, in piedi tenendoci per mano, la bocca aperta per catturare i fiocchi che continuavano a cadere sulle nostre palpebre e nel cuore una gran voglia di ridere ed amare.

Se una serie di cose può andare male, lo farà nell'ordine peggiore.
Prima becchiamo in hall Aldo e Giorgia, che indagano accuratamente sul menù del nostro ristorantino per capire se possono provarlo anche loro e mettere così in pericolo i loro raffinati palati, poi si unisce una una coppia di Napoli, loro amici ma gente simpatica, ed Alice racconta una seconda volta del ristorante, dal menù al cavallino rosso, interrotta puntualmente dalle stesse domande ed esclamazioni.
Quindi Giorgia ci dice che dobbiamo ASSOLUTAMENTE fare anche noi il giro delle piste che hanno fatto loro oggi. Ma va' fanculo, le suggerisco con gli occhi, ma non mi ascolta e si tira dietro tutti fino al bancone per mostrarci le piste sulla cartina appesa.
Il portiere, sempre troppo gentile con Alice, le chiede com'è andata la cenetta ed Alice ri-racconta di nuovo del cavallino a dondolo e dello spezzatino che si scioglieva in bocca. Anche i miei coglioni sono ormai purea; sto per piangere, ma è terrore puro quando i napoletani accettano di provare il giro delle piste: “Noi ci siamo!, ci troviamo agli impianti prima dell'apertura?”
Giorgia le chiede se ci saremo anche noi. Lo chiede a lei, io non esisto o comunque sono trasparente.
Alice, col volto serio ed impostato che ho ammirato alla discussione della tesi, risponde educatamente: “Nemmeno per idea, noi domani scopiamo fino a mezzogiorno.”
Ditemi voi se questo non è amore!
“...!!?, Noooo, volevo dire dormiamo!”
“No no, ormai l'hai detto! Saluta tutti che andiamo... Ciao ciao!”

Al mare avremmo scopato già in ascensore. Ci arrangiamo come possiamo con vestiti e sovravestiti, violentandoci con mani e lingue.
Ma in camera i giacconi volano in un'esplosione e l'uccello scatta fuori fra le sue mani come un giocattolo a molla, facendola ridere come una piccola a natale. Lo succhia felice, per impossessarsi del suo regalo, ma non le basta certo, ha una dannata fretta, si gira e s'abbassa a fatica i pantaloni troppo attillati.
Vedere gli slip rossi che le disegnano le natiche perfette mi ripaga d'ogni attesa. L'afferro ai fianchi e le sono contro e subito dentro, strappandole un sospiro di sollievo.
“Aspetta aspetta, fammi togliere tutto.” Protesta per finta, cercando d'abbassarsi meglio gli slip, la testa infossata nel piumone.
Mi eccita da morire averla così, legata dai vestiti, coi pantaloni a mezza coscia ed il maglione che le risale sulla testa. La torturo con le mani fredde, sotto la maglietta: prima il pancino che si contrae al contatto poi i seni dai capezzoli duri.
“No no, basta, sono gelate!” squittisce e per scappare dalle mie mani si contorce come può attorno al cazzo. La sua figa invece è rovente, cola lava. La carezzo sotto e poi le natiche e premo il pollice nell'ano.
S'inarca all'indietro inspirando profondamente; la blocco per i capelli e la bacio da stronzo, succhiandole il respiro. La penetro con lingua, cazzo e dito, non ho altro a portata di mano.
“Ti amo bastardo.” e si lascia cadere in avanti, sul lettone. Mi sfilo lentamente, col cervello annebbiato. Lei si sistema meglio, trascina il cuscino sotto il bacino ed io ce lo affondo in apnea, centimetro dopo centimetro fin contro i coglioni, reggendomi ai suoi fianchi.
Attendo tre secondi che le si sciolga la schiena e comincio a pomparla con pistonate sempre più lunghe e profonde. Mi libero di maglione e maglietta senza interrompere. Lei non riusce a coordinarsi per spogliarsi; artiglia il lenzuolo e sussulta sconnessa, mentre nella camera, caldissima, risuonano singhiozzi di gola e schiocchi di chiappe.
Sono ormai in trance da stupratore, l'afferro al collo e la piccono alla disperata per un tempo infinito incitato dalle sue suppliche, col cazzo sempre più congestionato, che non vuole saperne di venire. Mi blocco spaventato, la sto spaccando. Invece pompa lei, lentamente, ruotando il culo. La sostengo sotto intingendo le mani ed improvvisamente vengo con un ruggito.
Mi accascio sopra, svuotandomi a sussulti.
È una liberazione anche per Alice, che si scioglie maledicendomi. Ma solo per pochi secondi, perché la sento irrigidirsi. Sento l'orgasmo correrle dai piedi al collo e devastarla ad ondate e scosse, con più dolore di me, imprigionata da pantaloni e scarponi.
È abbandonata sulle coperte. Le scosto i capelli; il volto è sudato sfranto, gli occhi umidi. Le bacio delicatamente fronte e labbra. “Ti ho fatto male?” Abbassa le palpebre per chiedermi un altro bacio.
Si lascia spogliare: via gli scarponi, via pantaloni e maglione, bacio le natiche, poi i seni nudi. Lei apre appena gli occhi per osservarmi di sbieco mentre mi spoglio di fianco al letto. “Vieni.” Mi avvicino. Stende il braccio e me lo prende in mano, da sotto come per pesarlo.

Non resisto più. Chiedo permesso e piombo in bagno senza aspettare la risposta: si sta carezzando con le sue creme. “Ehi, bussa, che fretta c'hai!?”
“Devo pisciare, scoppio.” la scosto.
“Uffa, lascia fare.” Mi s'incolla al fianco, abbracciandomi in vita, e me lo sostiene lei. Io scoppio in una pisciata in pressione che mi fa tremare le gambe. Attende paziente, una mano che mi palpa coscia e natica ed i denti che mordicchiano il lobo dell'orecchio. Me lo scrolla pure. “Adesso non vorrai mica che te lo pulisca?” Ma s'inginocchia con la sua grazia da gattina e finge di prenderlo dolcemente in bocca.
Sono suo, può far quel che vuole. Mi fa sedere sul bidet e mi lava con acqua tiepida e carezze maledette. China su di me, me lo tira da paura ed insiste sui coglioni, mentre le succhio il seno.
“Bravo piccolo.”, chiude il rubinetto e si rialza carezzandomi i capelli. Si volta e si piega in avanti, contro il lavandino. Ho di fronte la figa lucida di crema e ci affondo il viso come un maiale nel trogolo. Grufolo e la tormento di succhiotti; m'interrompo solo per osservarle nello specchio il viso in estasi.
Mi ci vuole poco, la conosco troppo bene, le succhio il clitoride che la fa impazzire per sconvolgerla d'orgasmi.

Scosta dal viso i capelli sudati.
“Siamo due bei porcelli noi, vero?”, mi dice all'orecchio mentre strofina con forza l'asciugamano contro cazzo e coglioni bagnati. “Vieni.”
Mi porta in camera come un cagnolino, tirandomi dietro con una mano stretta sul cazzo. Mi fa stendere, abbassa le luci, cerca nel nostro beuaty case e mi raggiunge sul letto. Sega e succhia con arte fino alla durezza desiderata, quindi m'infila il cock ring di gomma, aggiustandolo bene alla base. Una bella succhiata di soddisfazione e “Se non basta ti prendi anche la pasticca azzurra, come al mare... Voglio esagerare.”
In Sardegna abbiamo fatto l'amore praticamente per una settimana di seguito.

“Facciamo un gioco?” Mi scuote con un movimento del bacino. È sopra me.
“Quale?” Penso all'attrezzatura nel nostro beauty case.
Mi lecca il torace ed indispettita strappa tre peli dal petto. “Prima o poi io ti depilo,” mi minaccia ”... ma hai il culetto liscio come piace a me.” Mi carezza infilando le mani sotto. “Io ti faccio una serie di domande e tu rispondi senza pensare. Subito, di botto. Ci stai?”
La spingo in alto. Bene, non ha intenzione di rifarmi la ceretta! “Okay, fammi 'ste domande.”
“Devi rispondere senza pensarci... Il tuo ricordo più bello. Subito!, rispondi!”
“La mareggiata contro il castello di Rapallo.”
“Quando?”
“Un novembre… cinque anni fa: fantastica.”
“Il paese più bello?”
“Portofino… No: Vernazza!”
“Il colore più bello: dove?”
“A Camogli; le facciate delle case.”
“La cosa più buona che hai mai mangiato?”
“Una focaccia ligure, avvolta nella carta unta d’olio.”
“Il suono più bello?”
“Quello delle sirene delle navi che lasciano il porto.”
“Dove vorresti vivere?”
“Certo non in Liguria! C'è un traffico bestiale.”
“Tu non sei a posto.”
“Questo lo sapevo. Finito?”
“Hai rovinato tutto!” Mi si spalma addosso e finge d'appisolarsi. “Ora dovresti chiederlo a me.”
“Okay è facile.” Do due colpi per svegliarla. “Il ricordo più bello?”
Si raddrizza puntandomi addosso le mani e ci pensa sopra: “... Forse Peschici... sì!, un tramonto a Peschici di tre anni fa, un sogno!”
“Con chi eri?!”
“Con... Cazzo centra? Ero con un ragazzo.”
“Spero per lui che sia già morto di morte naturale!”
“Cos'è? Adesso fai il geloso? Secondo te io sono arrivata a ventiquattro anni aspettando te?”
“Ne sarebbe valsa la pena.”
Ride baciandomi; si solleva d'un poco e con la mano dietro me lo verifica fra due dita. “In effetti ce l'hai più grosso tu!”
L'artiglio alla nuca e la obbligo a ribaciarmi: “Te lo metteva in culo?”
“Non fare il porco ora!... Come dire che tu la mareggiata e la focaccia te le godevi da solo!!! Con chi eri?!”
“Una carina, ma l'ho mollata: masticava con la bocca aperta.”
“Scemo!” Mi s'allunga addosso, incrociando i piedi con i miei. Mi morsica le labbra: “A te la bocca interessa solo per i pompini... “
“Non è vero!!! Come fai a dire 'ste vigliaccate?… Beh, in effetti ci sapeva fare... certo non come te.”
Si ritrae indietro lisciandomi il torace con le mani e china il capo per una poppata fantastica, coi capelli che mi carezzano l'addome. Ce l'ho di sasso, rischio d'implorare di smettere. Lo capisce, si rialza a cavallo sul mio stomaco: con la punta delle dita spinge nella piega tra le natiche il cazzo che ha ripreso a respirare, ma non a ragionare.
Sta pensando a qualcosa. La sostengo per i fianchi stretti giocando con i pollici attorno all'ombelico. “A cosa pensi?”
Si ribalta di lato afferra il nostro beuty case delle meraviglie e lo svuota sul materasso. Sceglie tra i lubrificanti quello alla cannella e se lo spreme sul palmo. Mi guarda negli occhi mentre mi unge per bene. Il calore è forse solo immaginario, ma mi arroventa anche le palle.
Un bacetto in bocca e si rialza in ginocchio, a cosce divaricate davanti al mio viso, e l'ovetto spinto dalle sue dita sparisce inghiottito. L'effetto è immediato, le inarca gli alluci e la schiena. Si rigira stringendo le cosce e mi si accoccola contro a cucchiaio.
L'abbraccio stretta, da dietro, bloccandole le braccia e baciandole la nuca. Ho il cazzo rovente, non ho coraggio di penetrarla, ma lei infila la mano dietro e se lo punta contro l'ano. Le risalgo in culo, contro l'ovetto che vibra e mi si mi spegne i cervello. La sento gemere, tremare, godere ed implorale. La spalmo sul letto e la inchiodo senza scopare, premendo tutto il peso nel culo che vibra. Ha un raptus dietro l'altro, si dimena inchiodata e rivolta indietro la testa per baciarmi e dirmi che mi ama.

La camera è rischiarata dai lampioni in strada.
“Che ore sono?”
“Non so, è ancora buio.” Le ore della notte vagano leggere, non sono appesantite dal lavoro di milioni di persone.
“Fa caldo.”
In effetti la camera è caldissima. “Hai sete?”
“Grazie!”
Non ho nessuna voglia di trascinarmi fino al tavolino per prendere la bottiglietta dell'acqua, ma mi tocca.
È tiepida. Le va bene lo stesso, dice ed inclina indietro il capo senza aprire gli occhi. Okay, le do da bere! Le premo il bordo del bicchiere contro le labbra. Beve solo due sorsi, le osservo incantato il collo mentre deglutisce.
“Basta, grazie... mi fai un altro piacere?”
“No, non scendo a comprarti le brioches!”
“No, la finestra... me la apri?, voglio vedere la neve.”
“Scordatelo, tu sei matta.”
Richiude gli occhi. Sa che lo farò.
Premo ancora contro le labbra.
Spalanca gli occhi: “Ma come fai?”
“Non so, non è colpa mia, è questa notte che è magica.”
Me lo succhia divertita e lascia che glielo spinga in gola.
“Adesso apro. Copriti.”
Le getto addosso la trapunta e spalanco la finestra sul silenzio della notte.
Il cielo, nero come una lastra radiografica, è animato dalla nevicata leggera e calda ma il gelo entra in una folata giocosa ghiacciandomi il sudore addosso. Mi riscuoto dall'incanto e mi lancio sotto il piumone. È lotta dura tra lei che vuol fuggire dai miei piedi freddi ed io che voglio rubarle il calore.
Ci sbraniamo a vicenda sotto il piumone, le teste infossate fra le gambe, ma dopo quest'ultimo piacere rubato ci ritroviamo tremanti, ben stretti e coperti, a contemplare lo spettacolo ipnotico della nevicata.

Il risveglio è dolce. Alice mi risveglia così.
“Mi piace quando sei morbido.”
Le strusciate di viso e seno contro i boxer sono lente come fusa. Mi mordicchia anche i coglioni, dicendo cose irripetibili. No, non penso che sia una puttana ninfomane: riesco solo a pensare che ora devo ficcarlo e che abbiamo tutto il tempo.

Ma poi è una corsa frenetica a lavarci e vestirci e scendiamo appena in tempo per pranzo.
Qui ormai tutti, clienti e camerieri, conoscono ed adorano Alice, ma non le chiedono se ha dormito bene, le occhiaie sotto un velo di trucco sono già la risposta. S'informano invece del ristorantino di ieri sera ed Alice riparte a raccontare.
Comincio ad amare anch'io quel cavallino rosso.


a IdeaClito

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