Iridescenza

Scritto da , il 2021-03-25, genere etero

Febbraio 2018
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Ci conoscemmo telefonicamente, brevi conversazioni di lavoro senza mai vederci; lavoravamo per due aziende diverse distanti una ventina di chilometri. Dopo un iniziale periodo di composta professionalità cominciammo a spingerci in una confidenza lievemente sfacciata. Iniziai io, dicendoti che i nostri brevi scambi per definire le certificazioni erano diventati il momento lussurioso della mia giornata; sorridesti replicando che ero un tipo fortunato visto che venivo addirittura pagato per godere di tanta delizia vocale. Distrattamente quel nostro momento iniziò a rapirci, nessuno dei due aveva un profilo social e quindi nessuna foto poteva darci un volto. La curiosità diventava ogni giorno più ingestibile, rischiando che fantasticare potesse creare dannose aspettative nell’eventualità di un incontro. Spudorati smettemmo quasi di parlare di lavoro per confessarci lentamente e reciprocamente di essere entrambi preda di quella famelica conoscenza. Non scambiammo il numero di cellulare, forse per il timore di cadere nel prevedibile, di spezzare quel nostro equilibrio delicato. Un mattino la mia voce si fece più seria e decisa del solito e ti feci la proposta, non pretesi una tua risposta immediata, ma ti lasciai prendere 24 ore per pensare. Ti chiesi un incontro al buio in una camera di hotel, uno dei due sarebbe entrato per primo per venir raggiunto dall’altro successivamente. Senza impostare un’ulteriore trama o pianificazione del seguito. Non dovevamo usare il senso della vista, non mi interessava conoscere i tuoi contorni perché ormai volevo te a prescindere. Vederci avrebbe potuto contaminare l’incanto; non avremmo potuto ovviamente evitare l’odore di pelle, che in quell’ipotetico incontro avrebbe raggiunto animalescamente ed immediatamente i nostri olfatti, sarebbe stato determinante, ancor più di quanto lo sia nelle conoscenze standard. Avevo osato, tergiversare avrebbe portato quel gioco a ristagnare in un insipido appagamento di chi si accontenta dell’idea, piuttosto che viverla. La mattina seguente sembrava non arrivare mai, non riuscii a dormire per la smisurata dose di fantasie inerenti alla tua possibile risposta. L’indomani il telefono squillò più volte facendomi sobbalzare spesso, ma nessuna delle chiamate eri tu. Mi ritrovai cerebralmente assente, palesemente estraniato dal contesto lavorativo, quando con la coda dell’occhio intravidi una tua mail. Il contenuto di quella missiva avrebbe, nel bene o nel male, cambiato i successivi miei giorni; cliccai trattenendo il fiato. “Thomas, ho riflettuto molto sulla tua idea, penso che sia assolutamente folle fidarsi di uno “sconosciuto”, perché fondamentalmente è quello che sei e siamo, sarebbe più logico procedere con almeno un drink esplorativo. Tuttavia la nostra conoscenza è sorta in modo così deliziosamente anomalo e particolare, sono talmente immersa nel vortice che ci ha condotto qui che ho deciso di accettare, te lo scrivo perché sarei troppo imbarazzata nel confidarti la mia scelta a voce. Interromperei le telefonate fino al nostro incontro, che gradirei avvenisse domani sera.”
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“Buonasera, un documento per favore, a lei la chiave della suite Venere, primo piano” “Ecco il mio documento, la mia compagna è in ritardo, quando arriva mi avvisi sul telefono della camera e la faccia pure salire.” Entro nella “Venere” del “Cantuccio” di Salsomaggiore Terme, inspiro il profumo di pulito e di rose che aleggia; quanto mi sento vivo in momenti come questo. Mentre appoggio la valigia, osservo l’ambientazione che presto potrebbe impregnarsi di Noi. Tonalità di rosso intenso ovunque, candeline sparse ovunque pronte all’evenienza, tra mezz’ora spingerai delicatamente la porta socchiusa, devo prepararmi, ho poco tempo, attacco il cellulare al caricabatteria, setto il wi-fi, estraggo dalla valigia la cassa bluetooth, collego alla corrente anche quella, nessun dispositivo dovrà scaricarsi, seleziono la colonna sonora che ho scelto oggi. Estraggo un magnum di bollicine ancora ghiacciata, i flute sono resi disponibili dall’hotel, scarto un profilattico, lo predispongo nel verso adatto e lo riappoggio alla carta metallica, non è un bel vedere ma sarà buio e non lo noterai. Prendo la mia saponetta e vado in doccia, non userei mai il bagnoschiuma casuale dell’hotel, la mia pelle deve odorare di me e del sapone delicato al quale scelgo di affidare le note di profumo. Stesso discorso per lo shampoo ed il dentifricio, posso sembrare maniacale, ma per me alcuni dettagli sono fondamentali. Mi asciugo col salviettone, brevissimo colpo di phon sui capelli abbastanza corti, scuri, con taglio a sfumare verso il collo, mi osservo nello specchio del bagno, utilizzo uno degli ultimi dieci minuti che ci separano per guardarmi, per stare un secondo con me stesso, lo faccio sempre prima di ogni avvenimento speciale, scaccio ogni ansia, ogni tentennamento, contemplo il mio corpo nudo, con ricordi di amori passati tatuati sulla pelle; ogni volta in cui mi imbatto in questi pensieri mi accorgo di non essere mai esattamente quello dell’ultima volta, non tanto per l’aspetto, ma per la mente. Ma non è questo il momento di affrontare queste tematiche, premo un quasi impercettibile spruzzo di profumo essenza legnosa patchouli, abbottono la camicia bianca, boxer grigio scuri, pantalone, calzini, polacchini, corpetto, verifico l’accenno di barba che mi sembra adeguato, tolgo tutti i vari ornamenti di coperte sul letto lasciando solo il lenzuolo candido, lo scosto fino a scoprire il letto, la temperatura della stanza è consona, squilla il telefono, “la signora la sta raggiungendo”, creo il buio totale, in pochi secondi le mie pupille si adeguano lentamente e scorgo qualche contorno dell’arredamento, sono convinto di esser pronto, ma pronto a cosa? Pronto a consegnarmi e ad accoglierti.
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La porta si apre lentamente, ho il vantaggio di poter scorgere per un attimo la tua sagoma grazie al contrasto con la luce del corridoio, poi socchiudi l’uscio e il buio torna quasi totale. Ho fatto in tempo a scoprire che porti tacchi sottili e alti, un abito nero, media statura, capelli biondi che non arrivano alle spalle, contorni affascinanti, non ho visto nulla del viso. La musica è a basso volume, avanzi adagio per timore di urtare qualcosa, lentamente anche i tuoi occhi iniziano ad abituarsi. Intuisci la mia presenza, ti avvicini, pochi centimetri separano i nostri corpi sconosciuti, il primo ad insinuarsi in me è il tuo profumo, seguito dalla fosca percezione tridimensionale visiva che tu esisti. L’udito, nonostante le leggera melodia di sottofondo, sente che il tuo respiro è qui, ad un palmo dal mio. Non parliamo, in contemporanea le nostre mani raggiungono il viso dell’altro senza scontrarsi, e lo toccano leggere, come un cieco che prende coscienza di una forma, di una sembianza. I polpastrelli accarezzano, i visi vengono toccati, percorsi, i pollici esplorano la carnosità delle labbra inferiori mentre i volti si avvicinano inclinandosi appena, sta per succedere, tenendoci il capo, ritardiamo l’istante, vorremmo restare in quel baratro senza gravità per sempre, la carezza di una piuma sarebbe più irruenta del contatto delle nostre labbra, due bocche nel buio, appartenenti a due sconosciuti che non son ancora a conoscenza dell’eventualità di piacersi fisicamente, la chimica è dalla nostra parte, ma anche i nostri vapori, i sospiri, le movenze, il delicatissimo estrarre le lingue, insieme, quel tanto da farle incontrare perché scoprano le relative morbide consistenze, posso quasi avvertire ogni tua papilla con le mie, poi tutto inizia a sfuggire al nostro controllo. Una ricerca di apnea a due, del divorarsi il respiro, un addentrarsi ingestibile, il dolce sorreggersi diventa un prendersi le nuche, un portare a sé, una svestizione primordiale, un denudamento reciproco fatto di tatto e frenesia. Allungo la mano nella valigia e prelevo un collare che avevo acquistato in questi giorni per te, alto, spesso, in pelle nera ma morbido all’interno, molto fine, è come se ti volessi chiedere un’ulteriore prova di totale abbandono al Noi, sono così, non è una sorta di propensione dominante, ma una specie di richiesta di disponibilità al seguirmi e scendere insieme negli inferi dell’abbandono. Hai un comprensibile momento di esitazione, non puoi nemmeno trovare conforto nei miei occhi perché non puoi vederli, ma lasci che io avvolga il tuo collo e serri la fibbia. Ti percepisco deglutire mentre scelgo il foro consono alla circonferenza del tuo collo. È chiuso, respiriamo tremolanti quei secondi successivi, poi ti afferro proprio per quell’anello in pelle, senza prepotenza, ma nemmeno troppo delicatamente, e ti riporto alla mia bocca. Inevitabilmente il clima si è mosso, il pathos è cambiato, non si è sbilanciato molto ma ora tocca a me condurre, non lo faccio brutalmente, non sei ancora pronta, tenendoti per il collo ti trascino verso il mio cazzo, ti lasci condurre, ti ho solo anticipata, lo avresti fatto a breve ma stavolta, la prima volta, voglio che accada così. Ti lascio qualche secondo di movimento libero per prendere confidenza, per conoscerne la forma con le labbra e poi lo spingo piano in te, non mollo la pressa di quella pelle nera, nemmeno un secondo. Ti scopo piano la bocca , poche penetrazioni, aumentando l’affondo ogni volta, appena percepisco la salivazione deturparsi e sgorgare, ti sfilo, ti rialzo e ti asporto la bava dalla bocca prelevandola succhiando e baciandoti insieme. Ti adagio sul letto, decido di accendere rapidamente una delle candeline, voglio un minimo di luce fioca, abbastanza per incrociare il tuo sguardo mentre entrerò in te. Ti posiziono carponi, hai ancora addosso uno stravolgente perizoma in pizzo nero, lo prendo nel suo punto più fragile e te lo strappo di dosso, la mia bocca va a cercare il tuo ano, appoggi il petto al materasso per potermi raggiungere con le mani e usarle per aprirmi le tue cosce e servirmi, spalancando il tuo deretano, lo accarezzo con la lingua passandoci sopra come farebbe un cane avido del gusto dell’osso, poi venero il contorno baciandolo e succhiandolo come fosse una minuscola tazzina di cappuccino, già bevuta ma ancora piena di schiuma, e io cercassi di raccoglierne più sapore e sostanza possibile, lo violo scopandolo con la lingua, risalendo lungo le tue interiora, agitandola da farti intuire la mia fame ingestibile di te. Ti muovi il meno possibile per percepire ogni movimento del mio ardore , ma ancheggi. La piccola fiamma comincia a crescere in intensità e ad illuminarci. Sollevo il viso, c’è uno specchio fissato al muro, lo stai guardando ed ora anche io, il nostro primo sguardo avvenne così, tramite quel riflesso. Ti vidi per la prima volta col viso sporco di te, col respiro compromesso dal nostro intreccio, ti vidi per la prima volta invaghendomi del viso da troia vogliosa, che quel momento, ti aveva indotto. Capii che ero fottuto, mandai via subito quella sensazione inopportuna, ma quell’immagine non se ne andò mai dalla mia mente. E, mentre il profilattico e la bottiglia chiusa sul comodino assistevano inermi, lentamente penetrai la tua vagina. Continuammo a guardarci durante tutto l’affondo, non posso dire quanto durò quella prima, lenta, profonda penetrazione. Fu la scena più erotica mai vista, io stesso, solitamente autocritico, mi vedevo stupendo, i pettorali contratti, l’espressione del viso totalmente immersa nella perdizione, il tuo caschetto biondo ondeggiare lievemente, siccome non era abbastanza lungo da poggiare sulle spalle. Insieme smettemmo di osservarci, perché stava distraendo e compromettendo la fusione, raggiunsi con una mano un tuo seno, lo presi, con l’altra, sul tuo fianco, ti immobilizzavo per quanto possibile mentre il mio inguine ti fotteva. Non sbattevo forte ma poderoso, deciso, sbirciai lo specchio, tu eri china verso il materasso, ansimavi, iniziavi ad adeguarti al ritmo, in un crescendo, impattavamo in una simbiosi sempre più esponenziale, ti presi per il collare per tenerti più ferma, inclinai la penetrazione verso il basso, verso il tuo ventre. Ti sentii divincolare sempre più, non rallentai per nessun motivo, continuai a riempirti di cazzo imponente finché tu, con un colpo di reni, ti sfilasti e iniziasti a squirtare senza controllo, tremando; mentre spruzzavi a dismisura sulle tue cosce e il materasso, afferrai alla base il mio pene eretto e lo usai per masturbarti il clitoride col glande. Non urlavi, cercavi di godere composta, femminile, ma non riuscivi a gestire quel sussulto che si era impadronito di te e ti deformava il viso. Tutto quel flusso caldo aveva inondato anche il mio cazzo e l’orgasmo mi stava assalendo irrefrenabile; riuscii solo ad avvicinarmi al tuo viso, girarlo e inondarti oscenamente, per poi approfittare del tuo dischiudere la bocca e terminare in essa. Fu la seconda volta che ci guardammo, la prima, se non si conta il riflesso,. Avevi il viso sporco della mia esistenza, gli occhi aperti, guardavi dritto nei miei. Penso che, qualche secondo prima di vederti nitidamente, avrei sperato per assurdo che tu non mi piacessi troppo. Avevo uno strano timore misto a desiderio masochista di sentirmi spacciato emotivamente. Ma non andò così, il tuo viso, con quel tuo taglio di occhi, quei lineamenti, erano più che incantevoli, nemmeno l’abbondante colata di seme era riuscita a deturparti. Mi accarezzasti il viso, eravamo come disarmati da qualcosa che non aveva un nome, rassegnati a uno sconvolgimento che stava insidiandosi in Noi, scesi verso il tuo ventre, e ancor più giù, eri inzuppata ed io non riuscivo a smettere di pulirti la pelle con la bocca, fino ad immergermi nel tuo sesso ancora gonfio e pulsante, avevo una sete mai provata, un bisogno di succhiarti, aspirarti, leccarti. Infilai due dita nel tuo sesso, mentre tu, tenendomi la testa e premendomi a te, ondeggiante, mi stavi lentamente soffocando, Le dita un po’ a uncino stimolavano veloci il tuo pungo magico, mi sentivi cercare aria, emettevo versi di apnea e goduria insieme mentre la lingua mi faceva quasi male per quanto persisteva a scuotere il tuo clitoride. Venisti ancora, un altro impressionante getto, non avrei potuto ritrarmi nemmeno volendo, mi arrivò dritto in gola, caldo, scese diretto. Mai avevo deglutito qualcosa in quel modo, senza neppure aver il tempo di sentirlo passare nella mucosa orale, mi ritrassi appena per respirare, un gesto di sopravvivenza, non voluto. Per un istante intravidi la luce della fiamma che si rifletteva nello schizzo che ti fuoriusciva dall'anima attraverso l'uretra,l'iridescenza del nostro amplesso. Poi subito tornai a comprimere con le labbra il proseguo del flusso di quella tua fontana dal getto tumultuoso. Bevvi tutto quel che mi fu concesso, tutto ciò che potevo ingurgitare di te, ne persi molta ma altrettanta scendeva in me. Stavolta strofinavi tu il clitoride per prolungare il tuo indecente zampillio, sentirmi bere ti eccitava ulteriormente e non ti permetteva di liberarti di quel piacere. Poi l’universo si placò, gocciolavo dal viso e dalla gola come un bagnante appena salvato da un quasi completo affogamento, ero in estasi, raggiunsi il tuo viso, non ci baciammo, restammo qualche secondo a pochi centimetri, guardandoci col fiatone ma seri, serissimi, senza dirci nulla, fu la terza volta che ti vidi. Da quel momento incrociai il tuo sguardo altre migliaia di volte, in altrettante circostanze, simbiosi, luoghi, magie, per quasi tre anni.

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