Una cena audace

Scritto da , il 2021-03-02, genere esibizionismo

Godere nella vergogna (3): Una cena audace

RODOLFO
Scesi a piedi e mi fermai a guardarla, sola, in piedi in mezzo alla hall. Era veramente sexy o meglio indecente come una puttana di alto bordo. Notavo gli sguardi compiaciuti di chi le passava vicino e mi sentii io stesso compiaciuto della visione che stava offrendo. L’abito la fasciava , schiena e spalle nude e da dietro, la stoffa leggera dell’abito lasciava quasi trasparire e modellava interamente le curve dei suoi glutei. Mi resi conto di aver esagerato nelle scelte, scorgendo che, ad ogni passo senza che lei forse se ne accorgesse, l’orlo della gonna scopriva abbondantemente la balza della calzaLa raggiunsi. Mia si strinse al mio braccio.
“Mi hai fatto fare la figura della prostituta.” mi disse con un certo nervosismo, “Ti sto aspettando da tanto, tutti mi guardavano, mi scrutavano da capo a piedi, non sapevo che fare. Se avessi ancora ritardato sarei venuta su io.”
La sua risposta mi provocò una strana eccitazione. Era vero, vestita in quel modo le avevo realmente fatto fare la figura di una puttana di alto bordo , mi piaceva vederla così eccome se mi piaceva.
Uscimmo e salimmo sul taxi. Lei stirò verso il basso il bordo della gonna che sedendosi si era arricciato scoprendo il bordo delle calze. Mi chiese di tornare in hotel: si vergognava di essere uscita così perché si sentiva nuda. Di fatto sotto l’abito indossava solo quel ridotto perizoma. Furtivamente senza che il taxista si accorgesse di nulla, vincendo una minima resistenza, le infilai la mano sotto la gonna, sfiorando le calze e poi le cosce nude fino sulla stoffa che le copriva il sesso. La sentii calda. Mia strinse le gambe. Cercai il contatto con suo sesso. Mia non si oppose e potei accarezzare la sua fighetta calda che in un attimo diventò fradicia. Sotto quel mio armeggiare l’elastico del perizoma si ruppe. Mi guardò spaventata e si lasciò sfilare quello straccetto di tessuto. Eravamo quasi davanti al ristorante. Mi chiese di nuovo di tornare, non solo si sentiva nuda, sotto quel vestito lo era veramente. Il taxista ci indicò la fine della corsa. Scesi. Aprii la portiera a Mia che scendendo non riuscì a coprirsi le gambe che svelarono l’attaccatura del reggicalze e cosce nude. Cercò ancora delle scuse per ritornare con la paura che potessimo incontrare qualcuno che la potesse riconoscere. Chiusi l’auto e la presi per mano ignorando le sue paure ma quella scelta stava per cambiare definitivamente le nostre vite. Ci stavamo incamminando quando il tassista diede un piccolo colpo di clacson, abbassò il finestrino e si rivolse a Mia insultandola “ Connasse ta culotte “ gettandole fuori dall’auto. Mia si sentì avvilita e faticai molto a convincerla ad entrare nel ristorante; attraversammo il salone; i suoi tacchi a spillo valorizzavano le gambe generosamente scoperte dalla minigonna ed il culo ondeggiava volgarmente facendo voltare molti avventori; schiena scoperta e tette straboccanti con i laccetti del reggicalze che si disegnavano vergognosamente sotto il vestito e, cosa che lei non immaginava, le forme del suo culo disegnate indecentemente. Ad un attento osservatore non sarebbe certo passato inosservato che sotto il vestito era completamente nuda.


MIA
Che vergogna attraversare il locale, tra i tavoli e sentirsi nuda e osservata. Con la coda dell’occhio vedevo che tutti si giravano a guardarmi, chissà, forse riuscivano anche a vedere che sotto ero completamente nuda, forse il vestitino così corto avrebbe messo in mostra anche la mia nudità. Cercai di arrivare presto al tavolino che avevamo prenotato, sperando di nascondermi dietro la tovaglia. Ma la tovaglia era troppo corta, insufficiente per coprirmi le gambe. Ero terrorizzata, non sapevo che fare. Al tavolo di fronte un gruppo di signori cominciarono a fissarmi, anche con una certa insistenza, guardando sotto il tavolo, certamente avevano capito che non avevo mutandine. Mi parve di scorgere un volto noto,ma quando sollevai la testa vidi quella figura lasciare la tavola. La mia paura stava giocandomi brutti scherzi se ora avevo l’impressione di essere notata da persone conosciute.
Comunque sentii la vergogna prendermi con forza, le gote avvamparsi: raccolsi il tovagliolo e me lo misi aperto sulle ginocchia. Tremavo come una foglia, ero imbarazzata e terrorizzata. Sentivo gli occhi di quegli uomini su di me, mi fissavano, mi spogliavano, ridevano di me. Guardai di nuovo la tavolata con attenzione, tirai un respiro di sollievo,nessuno che conoscevo, ma i loro sguardi sorrideti mi mettevano in forte imbarazzo. Mio marito mi prese per mano, pensai che volesse darmi sostegno e coraggio, invece la sua frase mi ghiacciò.
“Togli il tovagliolo dalle ginocchia.”
“Ma mi vergogno a morte,” risposi con una certa punta di rabbia e terrore, “ho tutti gli occhi addosso, sto facendo le figura di una … una … una di quelle.”
Lui mi sorrise, prese il tovagliolo dalle mie ginocchia e lo poggiò sul tavolo.
Mi sentii crollare tutto addosso. Cercai di darmi un certo contegno. Forse, se avessi mostrato indifferenza nessuno si sarebbe accorto di niente.
Ma quegli uomini mi guardavano, ormai era chiaro che guardassero e sapessero. Pensai di stringere le gambe, in modo da poter almeno chiudere la mia nudità alla loro vista. Cercai di farlo, ma qualcosa mi spinse invece a scostare le ginocchia, non molto, ma quel tanto che bastava a far sì che lo spettacolo fosse completo.
Vidi quei signori che si davano spinte con i gomiti e ridevano, ridevano, ridevano, ad ogni loro insinuazione (ero certa che fosse così dalle battute che si scambiavano e dagli sguardi così eloquenti).
Non mi nascosi, no, ma distrattamente accavallai più volte le gambe facendo sollevare la gonna ben oltre l’attaccatura delle calze, mostrando le cosce nude e certamente, ai loro sguardi, anche il mio inguine senza nessuna copertura.
Mi vergognavo, è vero, provavo una vergogna enorme, ero terrorizzata per questo e cercavo di non guardare nella loro direzione. Purtuttavia uno strano senso di leggero esibizionismo s’impadronì di me e non potei fare a meno di continuare a farmi guardare, anzi addirittura di facilitare la loro visione.
La cenetta continuò apparentemente in maniera molto tranquilla. Mio marito non mi chiese niente e, parlando di tante cose, finimmo di cenare.
Con la stessa sfacciataggine con la quale mi ero mostrata impudica a quei signori ci alzammo e uscimmo dal locale


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