A che serve l'estate - Pub crawl

Scritto da , il 2020-03-27, genere etero

Come salgo a bordo c’è una cosa che mi balza immediatamente agli occhi. E’ istinto, istinto puro, non c’è niente che me lo possa far pensare, ma lo penso lo stesso. E cioè che c’è un contrasto netto tra la cordialità e la bravura dei ragazzi dello staff, che sono quattro, e la promessa di casino selvaggio che esprime questa massa di persone. Saremo una cinquantina, forse di più, sessanta. E mi pare incredibile che tra un po’ saremo tutti più o meno ubriachi e questi quattro ragazzi qui saranno in grado di gestire tutto e di portarci in giro senza che succeda nulla.

La serata, tanto per cominciare, prevede un giretto di un’ora in mare, attorno a un gruppo di isolette più piccole e di scogli proprio davanti al porto. Musica e all you can drink. Non so perché ma mi sento frenata, è come se dentro di me sentissi che devo badare a Serena. Come se avessi paura che stasera, per lei, combinare qualche cazzata sia molto di più di una possibilità. Le domando, ma mi rendo conto che è già troppo tardi, come faremo a tornare a casa, visto che fino a qui ci ha portate Carlos, ma che al ritorno ci saranno sei o sette chilometri da fare. Mi risponde serafica “non rompere il cazzo, ho pensato a tutto io”. Dovrebbe rassicurarmi, ma non lo fa per niente.

Dopo mezz’ora mi sono fatta già due shottini, molto micro per la verità, serviti in dei bicchierini lunghi e stretti. E un long drink buono e molto poco alcolico. Ballo e cerco di chiacchierare con tre ragazze venute chissà come a schiantarsi qui dall’Idaho, cercando di sovrastare la musica con la mia voce. Serena invece accetta la compagnia di due tizi che non so da dove vengano ma che la guardano come se la volessero mangiare e, quando si volta, si scambiano occhiate abbastanza esplicite. Ride e mi sembra ancora abbastanza in controllo, per cui non ho molto da preoccuparmi. Però mi dico, cazzo, è passata appena mezz’ora e c’è già chi è uscito fuori di testa. Come la ragazza che è salita su una specie di bancone e si agita con in mano un bicchiere e, dentro il bicchiere, uno di quegli stick che fanno le scintille. L’ho vista poco fa al bar di bordo che si faceva sparare da un cameriere la soda direttamente in bocca con la pistola. Penso a quando, dopo esserci fatte la doccia sulla spiaggia, Serena si è infilata un vestitino che a malapena le copriva le mutande. Mi ha domandato: “troppo da mignotta?”. Le avevo risposto “abbastanza”. E lei sorridendo aveva detto “perfetto, allora”. Beh, cazzo, non aveva visto questa qui, che si è presentata direttamente con un reggiseno e dei pantaloncini attillati (sotto i quali giurerei che non c’è nulla) che le entrano tra le natiche e le evidenziano un più che discreto camel toe. E’ una ragazza un po’ robusta, con i fianchi non ben definiti e nemmeno particolarmente bella, fatta eccezione per dei boccoli rossi che le scendono fino al seno. Ma non ho dubbi che stanotte troverà quel che cerca, qualsiasi cosa sia. Mi viene da sorridere e allo stesso tempo ringrazio me stessa di essermi concessa solo un paio di leggings un po’ corti e una canotta bianca aderente ma nemmeno troppo.

Tengo d’occhio Serena che balla e sghignazza con i due ragazzi di prima reggendo l’ennesimo bicchiere in mano. Se è lo stesso che ho io, e pare proprio di sì, è poco più di un succo di frutta. Ok, per ora è ancora tutto sotto controllo. Vengo coinvolta da altre due ragazze che quando sentono che rispondo “Rome” esclamano quasi all’unisono “wow! we study in Rome!”. Ah, cazzo, quando si dice che il mondo è piccolo. Sì, certo so benissimo dov’è quell’università, è vicino alla mia scuola di inglese. E no, invece no, sorry, ma non trovo per niente “lovely” Trastevere, anzi è un quartiere che mi sta anche un po’ sul cazzo. Troppo casino, e mi sa anche di artificiale. Una delle due, una biondona, non è onestamente proprio niente di che, ma è simpatica. L’altra si chiama Gretchen ed è proprio carina. Ha i capelli castani tenuti in una coda altissima e si è infilata in una tutina nera nemmeno tanto ardita che le lascia scoperte gran parte delle gambe, abbronzatissime. Tra noi due la mediterranea sembra lei. Ah, non siete americane? Cioè, no aspetta, fammi capire, la biondona è americana e tu? Cazzo, ma lo dovrei dire io “wow, Sidney!”. E che cazzo ci fa una… ah sì, ok, studiate a Roma, che scema. Mi coinvolgono in un’altra bevuta, stavolta un po’ più pesante. No, il whisky non mi piace tanto… sì, ok, sarà single malt ma preferisco una vodka. Ci facciamo un selfie con gli shot in mano, abbracciandoci e stringendoci per entrare nell’inquadratura, e poi li tracanniamo. Restiamo abbracciate per un po’, come se ci dimenticassimo di scioglierci. E in questo momento capisco che l’alcol sta cominciando un po’ a rallentarmi. Sono qui con i loro ragazzi, e quando chiedo loro dove siano mi fanno un cenno come a dire “puff, saranno qui da qualche parte in mezzo a questo casino”. Io no, no, non sono in vacanza. Cioè, è una mezza vacanza, in realtà lavoro su un bar su una spiaggia. No, non sono qui da sola, c’è una mia amica che lavora con me. Finisco di spiegare tutto proprio mentre riattracchiamo in porto. Scendiamo a caccia del primo locale. Una fiumana di gente, non me ne rendevo bene conto che fossimo in tanti finché stavamo sulla barca. Seguiamo il leader, un ragazzo di cui non ho afferrato il nome e che sta attento che tutto sia a posto prima di mettersi in cammino. Vedo Gretchen cinta per un fianco da un ragazzo. Si volta, si illumina e lo bacia profondamente. Lui le impone le mani sul sedere come se stessero scopando. E’ un gesto di possesso così evidente e sfacciato che non posso negare che una certa reazione me la provochi, giù in basso. Non sarà proprio un tipo alla Marco D’Amore ma vabbè, è un tipo. E anche abbastanza determinato. La biondona invece pare molto più interessata al bicchiere che un altro ragazzo, presumibilmente il suo fidanzato, le sta porgendo.

Il primo pub è una mezza delusione, anche se abbiamo il privilegio di arrivare e essere serviti subito. Resto sul leggero, una piccola birra, ma solo perché uno accanto a me insiste per farmela servire, altrimenti avrei anche saltato un giro. Sono lì che mio malgrado ringrazio e mi preparo a respingere il corteggiamento quando proprio Gretchen e la sua amica si appoggiano al bancone accanto a me. “Ho capito chi è il tuo ragazzo…”, le dico con ironica malizia. “E’ spagnolo – mi sorride – muy caliente…. ahahahahah”. Parliamo un po’ finché Stephane, il nostro mèntore, ci fa segno che è ora di cambiare. La biondona saluta rumorosamente il barista, un omone rubizzo con la barba e i capelli ricci che le allunga un ultimo shot di chissà cosa, forse gin. Mi distraggo a guardarla, rido, ma con la coda dell’occhio vedo Gretchen che sta scambiando con un ragazzo un’occhiata di quelle intense, molto intense. E il ragazzo non è il suo ragazzo. La mia risata si trasforma in un sorriso, penso che difficilmente quello scambio di sguardi si tramuterà in qualcosa, visto il contesto.

Mi sento afferrare con delicatezza una mano. Riconosco il tocco, è Serena che mi domanda “ti stai divertendo?” e io le sorrido e le dico di sì. “E tu?”. “Molto… e sono già mezza ubriaca…”, risponde ridendo. “Non era quello che volevi? – le domando ironica – chi erano quei tipi con cui parlavi?”. “Ah… due tedeschi, delle vere autorità in fatto di alcol, sai? Sanno tutto, riconoscono un cocktail alla cieca… E queste?”. Le presento Gretchen. “Lei invece è…”, “Amber”, dice la biondona togliendomi dall’imbarazzo perché il nome proprio non me lo ricordavo. “Sono contenta di cambiare, non è un granché questo posto…” dico rivolta a Gretchen, che però sta cercando con lo sguardo qualcosa, o qualcuno. Mi volto verso Serena, ma è sparita. Cioè, no, non è più accanto a me, tutto qui. La vedo qualche metro più in là che fa lingua in bocca con un tizio che era in barca con noi. O meglio, mi pare fosse in barca con noi, ma non ci potrei giurare. Mi scatta, istintivamente lo ammetto, l’allerta. Poi mi dico che non è nemmeno giusto, che Serena sa badare a se stessa. Immediatamente dopo, mi dico che col cazzo che in questo periodo sa badare a se stessa. Mi rendo conto che sto vivendo questa serata con il freno a mano tirato e non mi piace per niente. Non mi riconosco nemmeno. E inoltre, tra baci, risate, flirt e bevute tutto mi sta vorticosamente girando intorno senza che io riesca a capirci un cazzo. Va tutto troppo veloce. O forse sono io che sto bevendo più di quanto pensassi.

Per cercare di scuotermi corro a raggiungere Stephane, il capo staff. Devo un po’ sembrargli una cretina ubriaca, perché lo avvicino chiedendogli “ehi, ciao, è veramente fico il tuo lavoro, è da tanto che lo fai?”. Lui mi guarda, appunto, come se fossi una scema. Deve esserci abituato alle ragazze che dopo un po’ si lasciano andare imbottite di alcol. Mi domanda, con un inglese senza inflessioni, “where are you from?”. Gli racconto tutto in meno di venti metri: che faccio, da dove vengo, di me, di Serena e del lavoro di cameriere. Gli dico anche che, se l’avessi saputo, col cavolo che avrei fatto la cameriera in un chioschetto sulla spiaggia, avrei fatto quello che fa lui! Stephane si mette a ridere e mi spiega che qui, a Hvar, soffrono un po’ il complesso di Pag, che è un posto dove la vita notturna sta diventando una attrazione europea tipo Ibiza. “Ma la verità – aggiunge – è che qui in Dalmazia qualunque posto andrebbe bene, basterebbe saperci fare… Solo che qui ancora non ci sanno tanto fare, sono un po’ naive, per questo ci siamo noi… ma meglio così, no?”. Annuisco, sorridendo, e mi dice che, per essere una che si è buttata in un pub crawl, non gli sembro particolarmente andata. Gli confesso le mie preoccupazioni per Serena. Non so nemmeno io perché ma gli racconto tutto. Lui mi ascolta un po’, non so quanto, ma su una cosa è categorico: “Non devi preoccuparti di nulla, qui con noi non succede mai nulla…”. Sarà, ma non riesco a rilassarmi più di tanto.

Il nuovo pub, in compenso, è una figata. Più un club che un pub. La solita corsia preferenziale alle consumazioni e, soprattutto, spazio per ballare. Mi ci tuffo dopo avere assaggiato per la prima volta in vita mia un Espresso Martini, sostanzialmente vodka e liquore al caffè, giusto perché quando arrivo al bancone c’è il barista che sta spiegando a quello prima di me come fa a farlo così cremoso. Finisco a zompettare insieme a un gruppo di ragazzi e ragazze che non saprei dire se fossero sulla barca o già qui quando siamo arrivati. Direi anche chissenefrega. Ballo e mi becco anche la prima mano sul fianco della serata da parte di un ragazzo niente male. Lo blocco mentre sta cercando di scendere più in basso, ma non mi incazzo nemmeno, gli faccio cenno di no con un sorriso e con il dito. Sorride anche lui e lascia perdere subito. Incrocio Amber e subito dopo vedo Serena in lontananza quasi piegata in due dalle risate davanti a uno che di certo non era quello che stava baciando prima, chissà che cazzo le ha detto. Poco dopo la ritrovo che discute con uno dei bartender, un po’ a parole un po’ a gesti. Mi vede, mi chiama, mi presenta al tipo e al suo collega. “Let’s take a picture”. Ok, let’s take a picture: mi infilano un sombrero in testa, lei si becca un cappellino di paglia e ci mettiamo in posa in mezzo ai due baristi. Dopo un po’ ci fanno vedere la foto e faccio quasi fatica a riconoscermi. Me ne sto sorridente e spensierata, abbracciata a questo ragazzo semicalvo e con la maglietta verde fosforescente e a Serena, che si è portata un ditino sulle labbra assumendo un’espressione a metà tra l’ingenua e la troia, mentre l’altro ragazzo (molto più fico ma con una barba troppo lunga per i miei gusti) le cinge un fianco.

Altro pub e altro pieno di alcol, ormai mi gira la testa e non so nemmeno io con chi parlo o con chi ballo. Ma contrariamente a quanto avviene di solito, non riesco a lasciarmi andare. Ci viene annunciato che per il pezzo forte della serata, che sarebbe una specie di cocktail bar chiamato Carpe diem su un’isoletta proprio davanti al porto, bisognerà risalire sul barcone. Sono quasi sollevata dall’idea di prendermi una pausa, anche se la risalita a bordo in mezzo a tutto quel gregge di gente è faticosa e mi infastidisce non poco. Come se non bastasse, vedo la ragazza dai boccoli rossi, quella che all’inizio della serata ballava su un bancone in hot pants e reggiseno, a quattrozampe sul molo che vomita in mare mentre uno le regge la testa e evita che cada in acqua. Cerco un posto dove sedermi, ma dal nulla arriva Gretchen ad arpionarmi. Sembra abbia fatto una corsa e mi dice “vieni, devo assolutamente bere qualcosa”. La seguo, anche lei mi sembra abbastanza partita. Si fa versare direttamente in bocca da un ragazzo dello staff uno shot di non so cosa, forse rum. Io passo. Mi dice che si è liberato il posto per ballare sul bancone dove prima si agitava quella dai boccoli rossi. Non faccio nemmeno in tempo a chiederle “e allora?” che mi afferra la mano e mi ci porta. Non ho le forze per salirci sopra, ma ne ho ancora meno per stare a discutere. Quindi mi ci arrampico e comincio a sculettare tra le risate e gli applausi. Mentre balliamo mi dice all’orecchio “tu non mi hai mai persa di vista, ok?”. Mi distacco un po’ e le lancio un’occhiata nemmeno tanto interrogativa. Le dico, stavolta al suo orecchio, “il tipo con cui flirtavi nel primo pub?”. Starebbe per rispondermi, quando Serena ci raggiunge sul bancone. Ora ci stiamo davvero strette. Dove prima ballava una ragazza sola adesso siamo in tre. Ma Serena non è salita per ballare: mi afferra e mi bacia, mi infila proprio la lingua in bocca e mi limona per un tempo interminabile. Si schiaccia addosso a me, sento le sue tette contro le mie. Risate, fischi e applausi si sprecano. Se fossi un po’ più sobria magari eviterei quello spettacolino lesbo che tante volte, a Roma, siamo riuscite ad evitare per strada o in qualche locale. Stavolta no, non ce la faccio. E qualche secondo concludo che nemmeno me ne frega un cazzo. Se non ricordo male, in questo momento sono un po’ confusa, lo riconosco, è la prima volta che diamo scandalo in pubblico. Quando ci stacchiamo ansimiamo e ci sorridiamo. “Che c’è, Sere?”, le domando. “’Na botta de gelosia…”, è talmente sbronza che non riesce nemmeno a dirlo senza mettersi a ridere. Mi dice “stai a fa la troia coll’australiana?”. “Sei scema?”, le chiedo. Poi guardandola ho la conferma di quello che avevo sentito mentre mi si strusciava addosso: “Che fine ha fatto il reggiseno?”. Scoppia a ridere un’altra volta e quasi rischia di cadere dal bancone, la afferro. “Me lo sono tolto per farle vedere a uno…”. “Eh?”. Me le voleva pure toccare ma gli ho detto di no, però gli ho regalato il reggiseno…”. “In compenso, stando qui sopra con questo vestito, ti possono vedere tutti le mutande…”. “Eh… mi dispiace che non mi sono tolta pure quelle”, risponde. Salta giù, mi grida “occhio alla aussie!” e si adagia cadendo all’indietro tra le braccia di due ragazzi, con nessuno dei quali l’avevo vista in precedenza.

Devo avere una faccia da baccalà. Resto immobile finché non mi raggiunge all’orecchio la voce di Gretchen che mi fa “ehi, ho capito chi è la tua ragazza!”. Mi volto e le vedo dipinto in faccia un sorriso furbetto. Non le rispondo nemmeno, riprendo a sculettare piano pensando a Serena e al suo modo di marcare il territorio. Solo in questo momento, solo dopo questa riflessione, avverto la contrazione e il calore tra le cosce.

Obiettivamente, il Carpe diem è su un altro livello. Sia per lo spazio che per la musica. Il prezzo della prima consumazione è molto basso, quelli delle successive assai meno. Ma a me basta il long drink ghiacciato che mi passa, quasi in automatico, il barista. Ho una sete pazzesca e in realtà vorrei dell’acqua minerale. La seconda cosa che faccio, portandomi pure appresso il bicchiere, è andare a cercare una toilette. Sto scoppiando.

Qualche volta l’ho raccontato. Mi dispiace, lo so che non è un momento particolarmente edificante ma, mentre piscio, mi concentro. Che cazzo ci volete fare, è così. E la toilette non è nemmeno male. Gretchen penserà che sono lesbica? Chissenefrega. Del resto, lo penseranno almeno una cinquantina delle persone che stanno sulla barca. Altra questione: Serena darà spettacolo? Chissenefrega, basta che non si ficchi nei guai. Cosa sulla quale, è questo il punto, non ci metterei più la mano sul fuoco. E’ per questo che mi sento strana e che non riesco a godermela sino in fondo? Ecco, cazzo, sì. Non ci riesco proprio. Mi sembra di stare qui a fare il cane pastore. Posso fregarmene e rilassarmi? No, obiettivamente no. Non è serata. Potrei bere un barile di vodka e comunque una parte di me resterebbe lucida a controllare Serena. E’ del tutto ovvio che questa sua voglia di divertirsi e di ubriacarsi stasera, questa sua aggressività, non è altro che l’altra faccia della sua tristezza e della sua arrendevolezza degli ultimi giorni. Non riesce ad accettare che Lapo abbia un’altra, e sì che lo sapeva sin dal primo momento. E questo la manda fuori come un balcone. Cazzo, cazzo, cazzo, sto cazzo di amore…

Ma soprattutto, perché? Perché ci tengo così tanto a lei? La amo? Ci sono cascata anche io? Mi sono innamorata di una ragazza? Parlo di amore in quel senso, ovviamente, non mi riferisco al fatto che le voglio un bene dell’anima. Non ho risposte, sono confusa. Non potete pretendere che risolva ogni cosa, ogni problema, come se fosse un sistema di equazioni a tre incognite. Quello sì che lo risolverei anche pisciando. Ma questo fatto… boh, no… e poi, ho anche finito di pisciare.

Non faccio nemmeno in tempo a riaffacciarmi che vengo catturata proprio da Serena. Mi trascina per mano davanti a due tizi. Ci metto un po’ a riconoscerli ma sono i due che l’hanno presa al volo quando si è lanciata dal bancone dopo avermi baciata. Me li vuole assolutamente presentare, sono inglesi: Philip e Murdo. Nemmeno tanto male, avranno una trentina d’anni e la pelle che il sole ha fatto diventare di cuoio. Guardo gli occhi della mia amica e mi ricordo la risposta che mi ha dato oggi pomeriggio quando le ho domandato che razza di divertimento avesse in mente per la serata: “Voglio bere, voglio proprio sfondarmi”, mi aveva detto. Dai suoi occhi intuisco la voglia di cambiare tipo di divertimento, ma non saprei dire a favore di quale dei due ragazzi. Al momento mi sembra indecisa, anche se il più determinato con lei mi sembra Phil. Da come la limona giurerei che sta per metterle una mano sulle tette proprio qui, in mezzo alla calca danzante e ubriaca. Ci facciamo un selfie, poi arriva qualcuno che ci fa tre o quattro foto con una Canon. L’ultimo flash me lo spara proprio dritto negli occhi e per qualche istante non vedo nulla. Quando la realtà mi riappare davanti vedo Amber, la biondona americana, con due ragazzi. Uno lo riconosco, è lo spagnolo, il fidanzato di Gretchen. L’altro, boh, non lo so, mi pare quello di Amber. Mi domandano se ho visto Gretchen e la prima cosa che mi viene in mente è quello che mi ha detto l’australiana quando siamo tornate a bordo, mezz’ora o tre quarti d’ora fa: “Tu non mi hai mai persa di vista, ok?”. Sarò ubriaca ma non cretina. L’avevo vista flirtare con un altro nel primo pub, e poi era sparita. Non so nemmeno io perché lo faccio, ma la copro.

– Sì, era qui fino a trenta secondi fa, credo che sia andata a prendere da bere – rispondo ad Amber.

– Al bar non c’è – dice lo spagnolo. Non riesco a capire se sia preoccupato o sospettoso.

Mi stringo nelle spalle come a dire “bello mio, se non l’hai vista che cazzo vuoi da me? Poco fa era qui”. Amber si allontana con i due. Lentamente guardandosi intorno.

– Ma che cazzo dici che stava qua? – mi fa Serena in italiano per essere sicura che Phil e Murdo non capiscano – Ti sono venuta a prendere al cesso…

– Ma che cazzo ne so, si sarà infrattata con qualcuno… – rispondo.

– E tu la copri, eh? Non è che ti piace?

– Sere, la pianti?

– Stai facendo la zoccola con quella, eh? Te la vorresti fare?

– Non sto facendo la zoccola con nessuno – rispondo.

Vorrei incazzarmi, vorrei dirle ma la pianti di rompere il cazzo che se c’è una che sta facendo la zoccola sei te e che se non mi godo manco per il cazzo la serata è perché mi sembri matta? Vorrei proprio gridarglielo in faccia. Poi non lo so, è un lato del mio carattere che sarebbe tutto da esplorare, che nemmeno io conosco. O meglio, lo conosco solo empiricamente, quando si manifesta: in una situazione di pericolo o comunque di alta tensione io, il più delle volte, reagisco in modo assolutamente zen, come se in quel momento nel mio cervello entrasse in funzione un circuito separato. Ed è esattamente ciò che avviene adesso.

– Tesoro – le dico calma, afferrandole le spalle – non sto facendo la zoccola con nessuno, non sono proprio nello stato d’animo di fare la zoccola…

– Nemmeno con me? – chiede Serena con un sorriso dove non so se c’è più la voglia di fare l’oca spiritosa, l’arrapamento o la sbroccata alcolica e gelosa di poco fa.

– Con te sempre, lo sai – le dico. Anche se per la verità, beh no, in questo momento non mi andrebbe nemmeno con lei.

– Ti piacciono sti due?

– Sono carini… – le rispondo, diciamo così, per cortesia.

– Vediamo che intenzioni hanno?

– Sere… io mi devo svegliare alle sette, domattina, al massimo…

– Dai, non fare la stronza…

Sto per dirle che non si tratta di fare la stronza. Sì, ok, ci sono state tante situazioni in cui mi è bastato bere molto meno per lasciarmi andare. Ma stasera va così, che cazzo ci vogliamo fare? E invece in quel momento nel mio campo visivo entra l’australiana. Stringo il braccio di Serena per confermarle che il mio interesse principale resta lei, ma la chiamo: “Gretchen!”. Lei si volta, mi sorride, le faccio cenno di avvicinarsi. Le riferisco che il suo fidanzato e Amber la stavano cercando. “Che gli hai detto?”, domanda quasi allarmata. “Che eri sempre stata con me e che ti eri allontanata un momento…”. Percepisco l’ostilità di Serena nei confronti della ragazza ma cerco di non farci caso. Gretchen mi rivolge un “grazie” sin troppo accorato, poi sfodera un sorriso sbilenco che mi fa capire, per la prima volta direi, quanto sia ubriaca. Immediatamente dopo Serena si divincola dalla mia presa e dice che ritorna dai due inglesi che mi ha presentato.

Gretchen annuisce continuando a ringraziarmi e a sorridere. Poi torna a farsi seria di colpo e mi domanda “la tua ragazza è gelosa, vero?”. Le faccio “uh?” e lei replica “andiamo, si vede che non mi sopporta”. “Ma no, non è vero”, dico senza molta convinzione”. Oppure sei tu a essere gelosa…”, mi incalza l’australiana. Le domando di cosa e lei, lo ammetto, mi dà una risposta logica. Assurda ma logica. “Gelosa perché cerca anche gli uomini, no?”.

Non lo so, stanno succedendo troppe cose tutte insieme. E a parte Serena si tratta di cose delle quali, sia ben chiaro, non me ne frega assolutamente un cazzo. Una delle cose di cui non me ne frega un cazzo, per dire, è togliere dalla testa di questa qui che io e Serena siamo fidanzate. Certo, potrei dirle come stanno le cose. Ma perché? Pensasse quello che vuole. E poi mi farebbe troppa fatica. Immediatamente dopo, come spesso mi capita, faccio però l’esatto contrario di quel che ho pensato. Si vede che sono andata giù di testa anche io, che vi devo dire. Del resto ho buttato giù una bella quantità di alcol e faccio una fatica bestiale a restare lucida.

– Gretchen, non è come pensi…

In realtà mi verrebbe da dirle "guarda che mi piace il cazzo, non sei mica la sola", ma il mio angelo custode mi fa tacere.

Come in precedenza, prima scoppia a ridere poi si fa di colpo seria. Dice “non ti devi giustificare, non ti volevo offendere”. Rispondo che non mi ha mica offesa. Forse però, proprio perché è ubriaca e vede che lo sono pure io, mi si avvicina e mi prende una spallina della canottiera tra le dita. Come se volesse soppesarmi. “Sai che non ho mai baciato una ragazza?”.

E’ sin troppo evidente, no? Però non funziona. Non lo so perché ma non funziona. Magari in un altro momento sì. E’ carina, è ubriaca ed è anche abbastanza zoccola, ad occhio. Ma c’è qualcosa in lei che non mi va a genio.

– Non è stranissimo, Gretchen, il mondo è pieno di ragazze che non hanno mai baciato altre ragazze. Credo che siate la maggioranza…

– Tu lo faresti? – domanda senza lasciarsi smontare per nulla da quello che è, abbastanza chiaramente, un rifiuto della sua avance.

– In un altro momento perché no? – rispondo tanto per mettere in chiaro che in questo momento, invece, proprio non se ne parla.

– Ti piaccio? Mi porteresti a letto?

Dice proprio “take me to bed”, non sono io che ve lo traduco in modo strano.

– In un altro momento – le dico afferrando tra due dita l’orlo del pantaloncino davvero corto della sua tutina – magari ti avrei già portata alla toilette e ti avrei già infilato le dita qui dentro…

Sì, ok, mi faccio più aggressiva di quanto non lo sia di solito (anzi, non lo sono praticamente mai). Io lo so che non sono credibile. E lo sapete anche voi. Ma lei no. E la cosa funziona, perché si ferma come intimorita. “Magari ne parliamo un’altra volta, magari a Roma”, mi dice. Sì, ecco, appunto, meglio che ne parliamo un’altra volta. E sto pure per dirglielo, anche con un certo sarcasmo. Però dietro di lei vedo spuntare il suo fidanzato, l’americana e l’altro ragazzo. Il fidanzato sembra quasi rasserenato di trovarla con me, Gretchen al contrario non sembra tanto contenta di vederlo. Ma forse sono io che interpreto male gli sguardi, le facce. Li mollo lanciando loro un “see you” a perdere, mi sono rotta, vado a cercare Serena. Per la verità me ne andrei proprio, ma sono su un’isola, devo aspettare che il barcone ci riporti tutti al porto.

Più che ballare, Serena sta facendo la scema con i due inglesi che mi ha presentato prima. Mi vede, mi viene a prendere, mi porta da loro. La prima cosa che fanno è offrirmi da bere. Ma sì, ma vaffanculo. Gin tonic. Sono due skipper che stanno portando una barca a Igoumenitsa, o come cazzo si scrive. Lo fanno di lavoro. Una barca a vela, partono domani. Sono anche in anticipo e se la sono presa comoda. E’ Murdo che me lo dice perché l’altro, Phil, sembra molto più interessato ad andare a vedere quanto può essere scema stasera Serena, quanto può essere zoccola. Conto le volte che le infila la lingua in bocca, alla terza le mette anche una mano sul culo in maniera nemmeno tanto discreta. La troia ci sta, ha già fatto la sua scelta. Oppure no, non ha scelto un cazzo, prende quello che viene. Ne è capacissima, eh? Solo che, dai, non vi potete mica mettere a scopare sul divanetto, no? Sarebbe un problema.

L’altro problema è che non so se Murdo avesse anche lui delle mire su Serena, sta di fatto che invece quella libera sono io. E ci prova. Non in modo scomposto, ma ci prova. Le sue mani mi toccano, nell’ordine, i capelli, il viso, le spalle, il braccio, il fianco. Sia che si balli o che non si balli. Si vede che cerca, più che il contatto, la mia accondiscendenza al suo contatto. Mi dispiace, sei carino. Anzi, se andassimo avanti a conoscerci potrei anche concludere che sei un gran figo. E, obiettivamente, chi non si farebbe portare due o tre giorni per il mediterraneo in giro da te? Starei senza costume tutto il tempo a prendere il sole, te l’assicuro. Ma stasera non è aria, mi dispiace. Ti è andata male. Tra me e Serena ti è toccata la troia sbagliata. Capita.

Poi, per fortuna, tutto ha una fine. Anche questo cazzo di pub crawl. No grazie, l’ultimo step non lo faccio. Passo. Skinny dipping anche no. No, non è che mi vergogno a farmi il bagno nuda. E’ che proprio non mi va. Un mese fa ho fatto il bagno nuda, più o meno a quest’ora di notte. Era una serata strana anche quella, ma vuoi mettere? Quella sera sì che l’aria sapeva di sesso. Non per merito mio, eh? Per merito di Stefania e di Ludovica. Io ero solo una spettatrice. Però, cazzo, quella sì che era una situazione che non ti scordi. A vedere questi qui, invece, che si buttano in mare dal barcone, boh, non lo so, mi sembrano ridicoli. Schiamazzano ubriachi, spendono gli ultimi minuti di divertimento. Io invece, beh cazzo, comincio pure ad avere un po’ freddo.

– Tu non hai freddo? – domando a Serena dopo che ci hanno sbarcate sul molo del porto.

Direi di no, non ne ha. Non tanto per la quantità di alcol che ha buttato giù quanto per la lunghissima limonata con Phil, che si è appena conclusa. Non l’ho mai vista bere così tanto, e giurerei di non avere mai visto bere nessuno così tanto quanto Phil. Giurerei anche che, mentre tornavamo in porto, sul barcone, lui le abbia fatto un fugace ditalino. Non posso esserne sicura perché stavo cazzeggiando con Murdo e lei era un po’ voltata, ma l’impressione che ho avuto è stata nettissima.

Comunque nulla, non sequitur. Li salutiamo, così come salutiamo anche dei perfetti sconosciuti che non avevamo minimamente filato durante la serata. Ho visto Gretchen e la sua amica allontanarsi allacciate ai loro fidanzati. Mi chiedo se sono stata un po’ dura con lei. Forse sì, ma sticazzi. Chissà se la rivedrò, comunque ha il mio numero. In questo momento non me ne può fregare di meno, voglio solo tornare a casa. Già, ma come?

– Quindi? Adesso come si torna? – faccio a Serena.

– Beh, prendiamo due biciclette e andiamo… – mi risponde mentre cerca di seguire con gli occhi Phil che si allontana.

– Sere, ma sei scema? – domando. E’ vero che sono anche io discretamente ubriaca e non ho nemmeno fatto il bagno, ma la sua risposta è stata come una secchiata di acqua gelata. Mi vedo già a passare la notte al porto, o a tornare a casa a piedi.

– Eh? – dice lei distrattamente.

– Ci saranno sei-sette chilometri di salite e discese e tu vuoi tornare in bicicletta alle quattro di notte? Era questa la tua idea?

– Sì, beh? Che c’è? – mi risponde completamente sfasata.

– A parte il fatto che io sono stanca morta e che tu non saresti in grado di fare nemmeno una pedalata, io non ho nessuna intenzione di fregare una bicicletta… posto poi che ci siano biciclette da fregare, perché in giro non ne vedo manco una…

– No, ma chi ha detto fregare… domani le riportiamo… ci sarà un posto che le affitta…

Sì, certo, alle quattro di notte. Ve l’ho detto prima del bene che voglio a Serena, no? Beh, giuro che in questo momento la strangolerei. Non vedo vie d’uscita. Farsela a piedi è improponibile, e tra l’altro non saprei nemmeno in che direzione cominciare a camminare. Probabilmente si accorge che mi sto incazzando di brutto e inizia a riflettere anche lei, o almeno ci prova. Anche se continua a ripetere come una scema “io però sono sicura che troviamo qualcosa…”.

– Gli inglesi! – fa d’un tratto.

– Cioè? – domando. Non ho molta fiducia in lei. Ma in questo momento anche un’idea bislacca è meglio di nessuna idea.

– Facciamoci portare da loro in barca!

– Uh, fantastico, si mettono a sganciare un veliero per noi… per riaccompagnarci a casa…

– Non credo che la parola “sganciare” sia quella più corretta – risponde dopo averci pensato un po’ su – credo sia piuttosto “disormeggiare” o qualcosa del genere…

– Serena… ma perché non te ne vai pure tu un po’ affanculo? – rispondo gelida. Non la picchio solo perché sono troppo ubriaca anche io – chi cazzo se ne frega di come si dice…

– Dai-dai-dai-dai… corriamogli dietro, facciamoci aiutare da loro – mi fa prendendomi la mano come per trascinarmi.

Resisto, mi libero dalla sua mano, la vedo avviarsi lo stesso. Smadonno, esalo un “gesussanto!” e la seguo. I due non si vedono lungo le banchine del molo. Del resto non è che l’illuminazione sia tutto sto granché. Mentre camminiamo a passo spinto mi dice con voce affannata “dio mio che voglia di scopare”, come se fosse in questo momento la cosa più naturale da dire, quella più appropriata. Reprimo un pensiero volgarissimo ma lucido, vorrei dirle che più che altro ha voglia di un cazzo che le spinga fuori dal cervello e da qualche altra parte del corpo l’ossessione per il cazzo di Lapo. Naturalmente non glielo dico. E reprimo, giuro, anche una bestemmia. Le rispondo “cazzo, Sere, io tra tre ore devo andare a lavorare”. Ribatte “tu prendi troppo sul serio sta cosa del lavoro”. Considerato che mi ci ha portata lei, qui in Croazia, a lavorare, l’altra cosa che reprimo è ancora una volta la tentazione di picchiarla. Ma sul serio stavolta. Le dico in ogni modo di non contare su di me, che sono già abbastanza incavolata. Si volta e mi lancia un’occhiata del tipo “non hai proprio capito un cazzo, amore mio”.

Facciamo altri cento metri e… abbiamo culo, abbiamo un gran culo, visto che i due inglesi sono ancora sul ponte della loro barca a fare non si sa bene cosa. Sento da lontano Phil che ride, è il più andato di tutti. Appena ci vede ci grida di salire su. Serena grida di rimando di aspettarci, che arriviamo. Come se stessero per andare chissà dove. Le dico di fare poco casino che è notte fonda. Se ne frega e continua a starnazzare. Domando a Murdo se non possono aiutarci a tornare a casa. Strizza gli occhi come a chiedere “che cazzo dici?” mentre Phil continua a invitarci a gran voce a salire a bordo. Serena mette un piede sulla passerella, la fermo con un “dove cazzo vai?” e lei mi fa “dai, solo cinque minuti, non sono mai stata su una barca a vela”. Percorre tutta la passerella con mia grande sorpresa, perché avrei giurato che sarebbe cascata in acqua. Phil la afferra, la abbraccia, la bacia. Riprendono a limonare come prima. Al solo vederli mi arrendo, mi cascano le braccia, non so più che fare. Sono stanchissima. Guardo Murdo quasi con disperazione e piagnucolo anche a lui “fra tre ore io devo andare a lavorare”. Mi guarda come se vedesse un marziano, si volta e vede l’amico e Serena che pomiciano senza ritegno. Anzi, dopo un po’ Phil la prende per mano e la trascina dicendole che vuole farle vedere la parte di sotto. Le si volta e mi guarda ridacchiando. Mi basta quello per capire che, per stanotte, non la rivedrò più.

Guardo Murdo e gli dico “ok, grazie lo stesso” mentre tra me e me ripeto vaffanculo-vaffanculo-vaffanculo. Faccio per voltarmi e andarmene e la sua voce mi raggiunge: “Aspetta, abbiamo un tenero”. Che cazzo significa “abbiamo un tenero?”. Non lo so, non capisco. Mi fa cenno di aspettare. Fa rientrare la passerella e si inginocchia, compie un paio di operazioni e, da sotto la scaletta, una specie di pianale si abbassa. Ed è in quel momento che apprendo che “tender” non significa solo “tenero”, ma anche qualcosa tipo “gommoncino di scorta”. Murdo mi domanda “va bene questo?” e io gli faccio segno di sì. Va bene tutto. Nemmeno mi rendo conto se quel coso mi ci può davvero portare a Milna, e in quanto tempo. Murdo mi fa cenno di aspettare un altro po’, scompare di sotto e riappare con indosso una giacca e una felpa in mano. Me la lancia e la indosso essendogli sinceramente grata. Mi aiuta a calarmi nel gommoncino, anzi mi prende proprio per i fianchi e mi fa scendere, avvia il motore con una certa difficoltà e partiamo. Non so fare altro che dirgli “grazie”, mi sento stanca, stonata e ho freddo. Cerco di scaldarmi, di rannicchiarmi. Lui mi osserva poi si apre la giacca tecnica. Penso che voglia farmela indossare ma invece fa qualcosa che è anche meglio, mi fa accucciare con la mia schiena sul suo petto e poi praticamente mi richiude dentro la giacca e mi stringe con un braccio. La sensazione del calore del suo corpo sul mio è… come dire, in questo momento semplicemente paradisiaca. Mi accuccio su di lui. Gli sussurro “thank you” e sono le ultime parole che ci scambiamo per un viaggio che mi sembra lento e interminabile, ma che adesso è un viaggio caldo.

Gli dico “thank you” anche quando mi offre la mano per farmi salire sul moletto. Sarebbe il momento dei saluti. Cioè, per me lo è. Per lui non lo so. Nel senso che non so come interpretare il suo “dove abiti? ti accompagno”. Magari è gentile, magari invece si aspetta qualcosa. No che non mi accompagni, Murdo. Perché mi conosco. E se tu mi accompagni io magari ti faccio salire. Non lo so, eh? Però magari succede. E invece io mi devo svegliare massimo massimo alle sette. E adesso sono… sono le cinque, cazzo. E’ quasi l’alba.

Accoglie il mio rifiuto con un sorriso. Non deve essere un tipo che si smonta se ogni tanto qualcuna non gli apre le cosce davanti. Detto questo, quel sorriso qualcosa me la provoca. Riconosco subito il sintomo. Non è lui, sono io. All’improvviso ho una voglia indefinita di cazzo. Lo ripeto, non è lui. E’ carino, gentile, abbastanza figlio di puttana. Ma non è lui. Sono io che di colpo ho voglia di cazzo, non necessariamente del suo. Diciamo che, poiché qui intorno ci siamo solo io e lui, lui è l’unico che ce l’ha, il cazzo. Chi lo sa, è come se il calore che il suo corpo ha trasmesso al mio durante il viaggio mi abbia spinta a desiderare altro calore. A desiderare una cosa calda. E viva. In bocca. Non mi interessa nemmeno che ce l’abbia bello, o grosso, o particolarmente duro. Davvero, ho solo voglia del calore della carne. Una voglia che mi è arrivata addosso fulminea, che mi ha investita. So che è difficile da determinare, ma se dovessi descriverla direi che l’elemento puramente fisico, animale, di questa voglia non è più del trenta-quaranta per cento. Il resto è rappresentato dagli sguardi che mi sono arrivati addosso stasera, dai desideri appena accennati, eppure visibilissimi, dei ragazzi con cui ho ballato, della gelosia sfacciata di Serena, del flirt con quella puttana australiana. E soprattutto dalla voglia di calore. Voglio che qualcuno mi trasmetta il suo calore. Quel calore lì.

Lo prendo per mano e lo porto sotto la terrazza che sovrasta la scogliera a sinistra del moletto. “I want to thank you better…”, gli dico con un filo di voce facendolo appoggiare alla ringhiera. Non so se lui capisce subito. Probabilmente sì, ma in ogni caso, cinque secondi dopo, capirebbe anche un bambino. Nemmeno lo bacio, mi inginocchio e gli abbasso i boxer e il costume. Sa di mare, di sale e di uomo, il suo cazzo. Ho un paio di contrazioni inequivocabili che per un momento mi fanno vacillare, mi fanno pensare ma vaffanculo, adesso mi ci appoggio io alla ringhiera, a novanta, e lo supplico di darmelo tutto dentro. Resisto, non lo faccio, non glielo dico, succhio. Succhio. Non è ancora così caldo come lo desidero, ma lo diventa presto. Carne in bocca, duro in bocca. Mano sulla nuca e spinte in bocca. Caldo tra le gambe e caldo in bocca. Caldo. E’ bellissimo, dopo essere stata per tutta la sera contratta, sul chi vive, dopo essere morta di freddo, mi sento finalmente a mio agio. Sciolta, squagliata. Gli afferro le natiche ed è qui che lo faccio mio. E’ qui che mi rantola “you’re such a slut”. E’ qui che, più che le sue spinte, possono i miei affondi. Veloci, sempre più veloci. Quando mi poggia la mano sulla nuca arriva il momento perfetto. Quello in cui non è ben chiaro se sono io che lo spompino o lui che mi scopa la testa, talmente siamo coordinati. Perfetto. Mugolo forte per fargli capire quanto è perfetto. E caldo. Mi interrompo quando sento che sta per arrivare. Sussurro “I want your load in my face…”, lui lo tira fuori e comincia a segarsi. Spalanco la bocca e chiudo gli occhi, aspettando la mia ricompensa ancora più calda. Perfetto.


CONTINUA

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