Messalina 2020

di
genere
dominazione

Suo padre diceva che era una macchina da guerra. Si lamentava sempre d'avere una figlia glaciale e cinica, che non faceva prigionieri, e le rimproverava sempre di non staccare mai la spina e di non godersi la vita.
L'ultima volta che le aveva fatto la solita predica mentre aveva al fianco una ventenne in bikini uscita da qualche pubblicità degli hot dogs. Ellen finse d'ascoltarlo, non aveva tempo da perdere, sperava solo che finisse in fretta e che non si volesse sposare anche quella troia siliconata con le labbra da pompinara. Non si preoccupava certo per i soldi, ma non le andava proprio giù che una mignotta prendesse per il culo suo padre. In fondo gli voleva bene, ma a modo suo, senza alcuna parola gentile o gesto d'affetto.
Era successo alla riunione semestrale: suo padre s'era ritirato nelle Bahamas dopo aver messo le redini della società nelle mani della figlia e da allora l'unica sua preoccupazione era godersi la vita.
La riunione a bordo piscina durò quaranta minuti: Ellen, in tailleur grigio perla, lesse minuziosamente la relazione, rispose ad un paio di domande e fece firmare tutti. Era molto soddisfatta, non le erano sfuggiti due particolari importanti.
Suo padre aveva guardato nel bicchiere quando il socio di minoranza era intervenuto. Bene, s'era stancato di lui ed ora Ellen poteva finalmente liquidarlo.
Ed aveva notato che la puttana a caccia di dote era davvero troia: s'era alzata sculettante per prendere il pareo, ma lo spettacolo era tutto per Niels, il segretario tuttofare di papà, che s'era grattato la tempia per nascondere lo sguardo ed aveva poi girato la testa verso lo skipper che prendeva il sole dall'altra parte della piscina. Quella non sapeva controllarsi, probabilmente la dava anche al maestro di tennis ed ai raccattapalle. Il matrimonio era scongiurato, bastava attendere. Che cretina!
Suo padre cercò di trattenerla, una volta finito.
“Non posso, devo partire.”
“Torni già a Kopenhagen?”
“No, mi sono presa una settimana di vacanza.”
"...?" La guardò interrogativo: “Dimmi almeno con chi vai!”
“Da sola.”
Gli caddero le braccia e la osservò andarsene: era più bella di sua madre. Gliela ricordava sempre, aveva il suo fisico perfetto, con le gambe lunghissime, ed anche il suo carattere riservato ed enigmatico. Ma sua madre era anche passione pura ed esagerata; Ellen, invece, così giovane e bella, pareva si sentisse bene solo in ufficio davanti al computer. Peggio di un robot: mai che andasse ad un party tra la gente. Solo palestre e piscine. Per quel che ne sapeva lui, aveva avuto solo due relazioni e nessuna negli ultimi anni. Non gli diceva mai nulla. Aveva sbagliato tutto con lei.

Ellen spedì l'ultima mail appena prima del decollo e spense il tablet.
Per una settimana sarebbe stata irrintracciabile.
Era eccitata ed aveva il pieno dominio di sé stessa; socchiuse gli occhi per assaporare l'energia che le spazzava il cervello. Un'impressione impagabile che ormai si concedeva tre o quattro volte all'anno. Solo uno stupido avrebbe detto che quelle vacanze erano la sua valvola di sfogo dopo stressanti mesi di lavoro ininterrotto sette giorni su sette. Per lei era esattamente il contrario ed era solo in quei giorni che si sentiva davvero potente e teneva gli uomini per le palle. Sorrise, gli uomini non capiscono un cazzo.

Aveva passato la notte a Miami e noleggiato un jet privato per Melgar, una cittadina colombiana vicino alla base aerea americana di Tolemaida.
L'aveva scoperta tre anni prima dopo minuziose ricerche, lei sapeva sempre quello che voleva. Ci inviò un investigatore privato per raccogliere notizie e, attraverso una serie di società fantasma, rilevò un locale che non era altro che un postribolo per le truppe stanziate nella base vicina. Inutile dire che anche questa sua società macinava guadagni.
Una volta passata la dogana prese un taxi per Plaza de Mercado, dove aveva un monolocale. Ci passò solo per scurirsi leggermente i capelli troppo biondi e cambiarsi. Prima di mezzogiorno era di nuovo in strada, jeans maglietta e borsone spalla. Il cielo era azzurro luminoso. Camminò quindici minuti fino al Centro Commerciale e qui prese un altro taxi che la portò in periferia, da Mama Flores.
La maitresse la squadrò con gli occhi penetranti di chi ha già visto tutto nella vita: “Oh, è tornata l'olandesina!” disse soltanto. Probabilmente Mama Flores non sapeva nemmeno che esistesse la Danimarca. “... in questo periodo però ho già troppe ragazze.”
Ellen finse di spaventarsi: “Ma t'avevo avvisato!... ho bisogno di lavorare, ti prego.”
In cuor suo rideva del senso degli affari di quella donna. Mama era la sua socia migliore, anche se non ne sapeva nulla e mai avrebbe potuto immaginarlo.
“Non so che farci... se vuoi mi lasci il settantacinque, altrimenti puoi andartene.”
Ellen contrattò, Mama Flores stava esagerando: “Il quaranta per cento."
Le passò le chiavi: “No, mi lasci il sessanta. Hai la camera 7... Va' a prepararti.”
La richiamò e, in quel ridicolo inglese che aveva imparato dagli americani, disse: “Non lamentarti, sono stata generosa, tu vieni qui solo per i cazzi, lo faresti anche gratis.”
Ellen rise divertita: “Gratis mai!”

In camera si spogliò davanti allo specchio e si mise la tenuta che aveva immaginato per mesi: calzoncini inguinali di jersey fuxia, aderenti anche in fica, top bianco semitrasparente sui capezzoli ed un collarino di velluto nero. Niente trucco da puttana, solo un lucidalabbra. Si mandò un bacio e scese in cabina.
Qui le vennero i brividi. Inspirò e schiacciò l'interruttore. S'accesero abbagliandola le lampade attorno allo specchio. Ora la vedevano.
Lo specchio era in realtà una vetrina del bar. Ellen non li poteva vedere i clienti in attesa, ma sentiva i loro sguardi. Stavano valutando la nuova puttana, tese i clutei e si girò lentamente su sé stessa. Poveri coglioni, erano le sue prede.
Si piegò in avanti a squadra fino a poggiare i gomiti sullo scaffale sotto la finestra. e eccò il vetro. Ora doveva solo attendere. Contò mentalmente ed al ventisette suonò la campanella. Un rintocco, l'avevano richiesta per un servizio bocca-figa.

Ellen adorava quel sistema: era acquistata come la merce esposta al supermercato e non doveva trattare con nessuno. Era Mama che prendeva ordinazioni e soldi per le quattro ragazze in vetrina. Le avvisava semplicemente con il campanello del citofono: un colpo per bocca-figa, due se avevano comprato anche il culo. Per le richieste particolari le chiamava al il citofono.
Dovevano passare attraverso Mama Flores anche le puttanelle che facevano bere i soldati nelle sale. Ellen non conosceva nessuna delle sue colleghe; le incrociava solo nei corridoi o sulle scale. Non scendeva mai a mangiare con loro. Per una settimana viveva da reclusa, anche se aveva tutte le mattine libere. Raramente tornava nel suo appartamento (cambiando sempre due o tre taxi) e s'arrischiava d'uscire solo per andare in piscina, dove si sfiancava di nuoto, per poi tornare subito da Mama con i capelli ancora bagnati.

Un bacio allo specchio e spense le luci. Doveva salire in fretta in camera.
Era più che eccitata, era in fibrillazione.
Dopo settimane di ansie, paure e nervosismi era giunta al momento: le pareva di non aver pensato ad altro negli ultimi tre mesi. In ufficio, nelle riunioni ed in palestra era il suo pensiero fisso, quello che la faceva sentire diversa e lontana da tutti. Anche mentre era alle Bahamas con suo padre, a spostare milioni in tailleur Prada e pc, pensava che, tempo ventiquattro ore, si sarebbe fatta scopare per pochi dollari.
Nessuno poteva capire.
Ed ora era sul trampolino dei cinque metri prima del salto: la stessa vertigine. Bastava una leggera spinta per tuffarsi... e dopo essersi lanciata non avrebbe più potuto tornare indietro. Dopo essersi venduta al primo cliente, per cinque giorni non avrebbe rifiutato nulla e nessuno. Non solo avrebbe rispettato il contratto con Mama: l'avrebbe fatta felice, l'avrebbe sbalordita. Perché? Perché sapeva d'essere la puttana migliore.

Entrò un ragazzone di colore, una bella recluta della base aerea, un marine tutto muscoli e testosterone. Faceva l'allegrone ma era impacciato. Disse di chiamarsi Martin, come se importasse qualcosa. Ellen vedeva solo uno che aveva pagato per scoparla. Gli andò incontro scalza e gli tastò subito il membro: fu folgorata dalla buona stella. Non avrebbe potuto cominciare meglio, il ragazzo aveva un cazzone da cavallo che avrebbe spaventato Mama Flores.
Ellen ritrasse la mano di scatto, per la sorpresa, ed il ragazzotto temette che volesse rifiutarsi. "Faccio piano."
Le luccicarono gli occhi e glielo massaggiò con la mano aperta, facendoglielo indurire del tutto sotto i pantaloni; sentiva il suo desiderio crescere e gonfiargli anche i coglioni. Poggiandogli le mani sulle spalle gli soffiò all'orecchio: “Sai? sono arrivata oggi e tu sei il primo. Vuoi un regalo?"
Il marine le palpò il culo. "Con me non vogliono."
Era stata maldestra, troppo precipitosa, e l'incontro durò il tempo di un'inculata: il ragazzone iperdotato in astinenza se l'ingroppò come un coniglio d'ottanta chili e se n'andò spaventato lasciandola stramazzata sul materasso.
La salutò però con un grugnito. Ellen sapeva che sarebbe tornato il giorno dopo e quello dopo ancora, finché aveva dei soldi in tasca. Povero coglione.

Ellen non scese subito, il minchione l'aveva devastata anche se a casa s'era allenata con dildi e giochini, ma non ne era pentita, era stato perfetto così.
Fu routine tutta sera, fino alle undici. Mama le mandò su in camera anche i ragazzi del bar per il pompino quotidiano che spettava loro come mancia. Quella sera scelsero l'ultima arrivata, la figa danese, e Mama li accontentò tutti divertendosi con cattiveria. Non le aveva risparmiato nemmeno Raul, cui spettava una pecorina. Era il buttafuori del locale: un gorilla di quarant'anni, che Ellen non ricordava d'averlo mai sentito parlare.
Si ripresentava in vetrina sempre dopo pochi minuti, Mama Flores dovette richiamarla solo una volta: “Devi lavorare, mangerai dopo.” Aveva clienti in attesa per tutta la sera, non sarebbe stato necessario scendere in vetrina, ma Ellen scendeva comunque, ci godeva: accendeva la luce, un breve spettacolino di tre minuti per far vedere quanto era figa e la campanella suonava. Un nuovo soldato ed una nuova trombata.

Alla fine i militari rientrarono in caserma. Ellen era confusa, aveva perso il conto, ma c'era Mama che segnava tutto ed era corretta, anche se non onesta.
La chiamò nel suo ufficio.
Ellen, ancora in tenuta da puttana, slippino e top, si sentiva indifesa davanti a Mama; temeva ci fosse qualche problema. Invece la padrona le sorrise affettuosa: “Avrai fame.”
Le indicò i tacos sul tavolino contro la parete e le si sedette di fianco. Ellen se li spazzò con avidità, come se non mangiasse da giorni, dando un'incredibile soddisfazione alla cuoca (li aveva preparati lei stessa). Chiacchieravano allegre come amiche, senza dirsi o chiedersi nulla di personale. Erano entrambe troppo furbe.
Alla fine Mama le chiese seriamente come stava. Ellen rise: “A pezzi, faccio fatica a masticare, ahahah... è colpa tua: m'hai mandato su tutta la base di Tolemaida!”
La colombiana scosse la testa, non voleva che si scherzasse sul lavoro. “T'ho lasciato sempre mezz'ora...Vogliono te, sei bellissima e con la pelle chiara... ma ti fermi sempre troppi pochi giorni.”
“Lo sai, Mama, non posso.”
“Okay okay... Sarai a pezzi, ma ti reggi ancora in piedi. Di là c'è uno che ti vuole per la notte, culo compreso, ma ha in tasca solo *** dollari. Che gli dico?”
Ellen finse sgomento: “Ancora?!... sono appena arrivata, e poi è troppo poco!... ci sto solo se mi lasci almeno il cinquanta per cento.”
“Non se ne parla, non posso di più con una che sparisce sempre... me lo devi, figlia mia.”

Si preparò ed attese il suo ultimo cliente, quello che voleva una fidanzatina per la notte.
“Ciao, ti aspettavo domani.”
“Sono in licenza.”
Ad Ellen prese lo scoramento: s'aspettava il solito sottufficiale che voleva fare un po' di ginnastica e poi essere baciato e coccolato da una gattina impalata sulla sua verga, non un marine ventenne allenato ad uccidere!
“Mi hai fatto male oggi.”
“Scusa, non volevo...”
“Non devi scusarti...” Gli carezzò gli addominali duri da bestia. “... e non dire che non volevi: sei tornato perché t'è piaciuto farmi male.”
“Sei fantastica, mi fai impazzire.”
“Lo so... e che regalo vuoi per questa notte?”, gli chiese con la voce allegra. Il ragazzone sudava: l'avrebbe inculata all'istante. “Voglio il tuo culo!” disse con tono sprezzante, da maschio adulto.
Ellen gli leccò la guancia con un bacetto: “Ma é già tuo, amore, Mama m'ha detto che hai già comprato il mio culetto... dimmi cosa vuoi, stanotte voglio farti un altro regalo, sei troppo bello..." Glielo toccò "Oggi me l'hanno messo in culo in sette ma ricordo solo il tuo.”
No, non sapeva quanti n'avesse presi: lo disse solo per compiacere il cazzone nero e sentirsi la peggiore delle puttane.
Il ragazzone le serrò i capelli e le tirò indietro la testa. “Voglio sborrarti in culo!” Ellen si liberò e s'allontanò da lui. “Qui è proibito.” mentì.
Il soldato si morse la lingua: ora l'avrebbero buttato fuori.
Ma Ellen tornò da lui: “Fatti vedere, sei bellissimo.” Gli slacciò la camicia di tela.
Martin si lasciò sfilare gli scarponi e spogliare ai ritmi lenti della puttana esperta che lo sfiorava appena. Il cazzo puntava a terra appena barzotto, nonostante l'incredibile eccitazione che aveva in corpo. Ellen gli leccò il glande e si rialzò mettendogli le mani attorno al collo. “Ma non devi dirlo a nessuno, prometti?”
“A nessuno!” promise.
“Nemmeno ai tuoi amici.” aggiunse e glielo strinse con entrambe le mani senza smettere di fissarlo negli occhi. “Poi vorrebbero riempirmi tutti, lo sai... Ma lo puoi fare solo tu.”
Il cazzo s'inarcò durissimo, con le grosse vene pulsanti. Martin muggì dal male.
Si ritrovò steso sul letto; chiudeva gli occhi e stringeva le labbra per resistere, mentre Ellen glielo lavorava da puttana.
“Mmmm, piano, piano, tu sei uno che ha fretta.” Si mise a cavalcioni sul suo bacino e lo baciò con la lingua. “Sei stato tutto il tempo ad aspettarmi, vero?”
“No, ero uscito, ma poi sono tornato.”
Ellen capì molte cose. “...Mi volevi ancora e io non potevo, ero impegnata con gli altri... Eri geloso?” Lo baciò al collo.
“No... non lo ero.”, la strinse ai fianchi.
Ellen si spostò indietro, infilandoselo fino alle palle e gemendo come una verginella. “Cazzo amico, tu fai godere... No, non muoverti, ti prego amore, lascia fare alla tua puttana.” Il maschione sudava sotto di lei. “... allora ti eccita spiarmi. Quanti ne hai visti salire?”
Il soldato diede due colpi verso l'alto facendola squittire, questa volta non per finta. Gli colò sul cazzo, bagnandogli i coglioni.
“Ne ho visti salire sei... t'hanno fatto tutti il culo?”
Ellen gli succhiò la lingua: “Tutti vogliono mettermelo in culo... e in bocca.”
“Quanti cazzi hai ciucciato oggi, puttana?”
“Vuoi saperlo davvero?, non t'arrabbi?”
“Dimmelo, cagna ciucciacazzi!”
"Non posso dirtelo."
La rivoltò e ci affondò nel culo con tutto il peso, levandole il respiro. La cinse alle spalle, immobilizzandole le braccia e la baciò al collo con un morso. “Quanti pompini hai fatto?”
“Non lo so, ti giuro, me lo mettono in bocca tutti, anche i lavapiatti...”
La scopò in culo da cieco, picconandola a morte sul letto che batteva contro la parete, ma venne stramaledettamente troppo presto. Ellen respirava con la bocca. Martin la strinse forte. la sentiva tremare ed agitarsi sotto lui sempre più forte, fino ad essere sconvolta da un orgasmo tellurico.
“Levati, per favore.” Lo implorò sudata.
“No.” Spinse col bacino.
Ellen capi: Mama Flores, che riconosce i cazzi anche sotto la tonaca dei preti, aveva regalato al minchione superdotato la pasticchetta azzurra! Si divertiva così, quella puttanaccia. Annaspò sulle lenzuola in cerca del tubetto: “Devi ungerlo.”
Il bastardo lo fece senza sfilarsi del tutto, raddrizzandosi appena sulle ginocchia, e le ripiombò subito dentro, fino allo stomaco, ma questa volta scivolando.
Fu un'inculata infinita e lenta come la notte.
Ellen era esausta, voleva dormire, ma non poteva con ottanta chili di marine sulla schiena e tre di cazzo in culo. Sognava d'essere stesa in spiaggia in riva al mare: i baci e le spinte del ragazzo spalmato su di lei erano onde che la lambivano e massaggiavano.
Non temeva d'innamorarsi. Voltava indietro la testa e cercava la sua bocca.
Nemmeno temeva s'innamorasse lui. Non ci s'innamora di una puttana e lei lo implorava di romperle il culo.

Martin si comprò tutte le notti indebitandosi da rovinarsi. Mama Flores non gli faceva sconti, ma Ellen sempre: una sera gli permise di legarla.
Arrivava presto e si sedeva davanti alla vetrina della figa danese, contando quanti erano in coda ed ascoltando i commenti dei marines su quanto fosse troia e su come andava scopata. Fermava quelli che scendevano e si faceva raccontare cosa le avevano fatto: era troppo eccitante pensare che in quel momento qualcun altro se la stava trombando su in camera.
Per prima cosa, una volta salito, l'avrebbe scopata in gola e le avrebbe fatto bere la sua sborra densa di tre ore d'attesa o gliel'avrebbe iniettata direttamente in culo. Questo fantasticava seduto al tavolino.
L'ultima sera si unì ad un gruppo di marines ubriachi e li sfidò a farsela nella cabina, davanti a tutti. Se la sbatterono in cinque, uno dopo l'altro, a novanta contro il vetro sporco di rossetto.
Quella notte le disse che avrebbe voluto essere ricco, così sarebbe stata sua; l'avrebbe comprata come una schiava.
“Ma dovresti essere molto, ma molto ricco.”, mormorò Ellen.
di
scritto il
2020-01-06
6 . 6 K visite
Segnala abuso in questo racconto erotico

commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.