Frocetto - storia vintage

di
genere
gay


«Meno male che sei arrivato, grazie…, stavamo in difficoltà sul serio questa volta. Quel poco che avevamo lo abbiamo mandato giù a casa per i figli… grazie»
«Dovere, figuratevi, vi ho portato i soliti pacchi di don Aldo, tutto merito suo»
«Ci fanno molto comodo, per una settimana non dobbiamo preoccuparci di fare la spesa» e sbirciando nella busta «bene, anche una stecca di sigarette, grazie. L’hai portata tu vero? Sei sempre gentile»
«Entra dai, ci fai piacere» disse Catello in tono gentile ma perentorio «non essere timido, sei tra amici» e mi spinse dentro. Su un divano sfasciato e sporco, al centro della baracca, c’era Mario, il suo amico, seduto scomposto con una gamba sul bracciolo; stringeva una sigaretta tra le dita e mi scrutava con aria seria e minacciosa.
«Come stai?» continuò facendomi accomodare sul divano vicino a Mario, «bene» risposi con tono tremolante, «Scusatemi ma ora devo proprio andare, ho da fare i compiti. Mi aspettano».
«Ma no dai, stai un po’ con noi, siamo amici ormai no? Non essere agitato, non devi preoccuparti, mica ti mangiamo.»
Da un anno circa portavo degli aiuti alimentari ed economici a delle famiglie povere che vivevano in baracche abusive costruite sull’acquedotto. Nessuno dei miei compagni aveva voluto andarci li ed avevano scelto zone più tranquille; ma per me era vicino casa e mi ero preso l’incombenza col professore di matematica, materia in cui non brillavo. In quella baracca, ci andavo sempre per ultimo, dopo aver visitato altre famiglie. Ci abitavano due uomini, sulla 50ina, Catello e Mario. Due brave persone intendiamoci, due emigranti siciliani che sbarcavano il lunario nei cantieri di periferia, inviando i loro guadagni a casa dove avevano le loro famiglie. Li a Roma erano soli e, oltre il lavoro, non avevano nulla, né, naturalmente potevano permettersi qualche svago.
«Ci fai divertire un po’?» disse Mario a bruciapelo, fumando l’ultima mozzicone della sua sigaretta, e sbuffandomi il fumo in faccia. Sapevo cosa mi avrebbero chiesto, non ne rimasi meravigliato, ma ero troppo impaurito ed imbarazzato da questa cosa
«No, ragazzi, vi prego, devo andare» e mentre mi alzavo di scatto, Catello mi rispinse sul divano vicino a Mario. «Devi stare tranquillo» continuò Catello «E’un segreto tra amici dai, non diciamo nulla a nessuno, che ti frega, ti piace pure a te no?»
«Vi prego ragazzi, non mi va di farlo…»
«Come non ti va, dai, una mezzoretta e vai via, non ti preoccupare» disse Catello.
«Senti stronzetto» iniziò Mario stringendomi per un braccio, mentre si accendeva una sigaretta «mi hai rotto il cazzo ogni volta fare tutte queste storie. Perdiamo solo tempo. Ci vieni apposta qui, non dire cazzate. Noi abbiamo le palle piene e dobbiamo divertirci, tu sei un frocetto e non vedo l’ora di farti scopare. Ci guadagniamo tutti.»
«Pure questa è una buona azione no?» cercò di indorare la pillola Catello, «Ne abbiamo bisogno… e ti piace pure a te, non ti devi vergognare, dai, che poi è peggio»
«Ma la scorsa volta mi avete fatto male… ricordi?» piagnucolai senza convinzione.
«Ma dai, non fare il ragazzino, brucia solo un po’, tutto qui. Ti metto il burro, dai»
Lo sapevo bene che quei due avevano ragione. Ogni volta mi ripromettevo di non andarci più, ogni volta mi presentavo lì con i miei bei pacchi e una stecca di sigarette per regalo. Era un anno circa che andava avanti la storia. Quasi tutti i mesi, al massimo quaranta giorni.


La prima volta era stata una trappola ben congegnata. Quel vino forte del loro paese a cui non ero abituato, tutti quei discorsi osceni, i giornali pornografici. Il cazzo di Mario era spuntato fuori all’improvviso, enorme, scappellato, violaceo, con quel forte odore di muschio e pesce che mi faceva arrostire il viso dalla vergogna. Non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso e mi sembrò del tutto naturale aprire la mia bocca ed accorglielo quando Mario mi spinse la testa su di lui.
«Apri bene sto cazzo di bocca che mi fai male coi denti, mi diceva mentre mi spingeva la testa sul suo cazzo» io ubbidivo cercando di fare come quelle ragazze che mi avevano mostrato sui giornaletti, tentando di controllare i conati di vomito, mentre Catello rideva rumorosamente mezzo brillo. «Dai puttanella ingoialo tutto!», urlava ridendo Mario «succhia bene, troia, fammi sburrare dai!». La sua eiaculazione arrivò quasi subito, improvvisa, tre fiotti caldi violenti che mi riempirono la bocca, il suo cazzo ancora duro. «Scusami ma avevo le palle piene, se no ti facevo divertire ancora un po’» si giustificò ridendo «ne avevo bisogno e pure tu, mi sa, brutta troia».
Non mi accorsi nemmeno che, sfilato il cazzo dalla mia bocca, al suo posto si era seduto Catello. «Dai, piano piano, leccalo tutto intorno sulla cappella, dai bravo, così, ahhh» il suo cazzo aveva un odore fetido, di pesce andato a male. Catello si accorse del mio disgusto ma continuò a ridere «dai puliscilo bene, così non puzza, bene. Ora prendilo tutto, così bravissimo, su e giù, su e giù… si così, non ti fermare dai…». Anche la sua sborrata arrivò subito, intensa e calda. Catello mi chiuse la bocca «bevi dai, inghiotti, questo è tutto tuo»
«E’ la prima volta che lo fai?» mi chiesero alla fine, mentre si rimettevano l’uccello nei pantaloni.
«Sì, mi vergogno da morire, scusatemi, non volevo…»
«Ma no, dai, mica lo diciamo a nessuno. L’avevamo capito che ti piace il cazzo, che sei frocio insomma»
«Ma no, cosa dite, è stato un errore dai…»
«Ma quale errore! Sei una brava puttanella bocchinara» intervenne volgarmente Mario. «Hai fatto il tuo dovere, ci hai fatto svuotare le palle, abbiamo diritto o no?» E giù risate.


«Spogliati nudo, dai! Che stai più comodo, vedrai» suggerì Mario seduto sul divano, la sigaretta tra le labbra ed un bicchiere di vino sul tavolino «è tanto tempo che non chiavo come si deve»
«Ma è solo da 20 giorni, non possiamo, magari… ti faccio una sega, come…»
«Ho detto nudo, mi hai rotto il cazzo, devi stare zitto»
«Dai, è meglio che collabori, smettila di fare sempre tutta ‘sta storia…» disse Catello «Vuoi che diciamo a Don Aldo che ti piace il cazzo? Tanto comunque lo prendi al culo, meglio che ti rilassi e te lo fai piacere». La minaccia che potessero raccontarlo in giro mi atterriva, era ciò che temevo di più. In pochi minuti mi spogliai nudo, come mi avevano detto. Mario mentre continuava a fumare e bere, si abbassò i pantaloni e le mutande fino ai piedi, mi fece inginocchiare davanti a lui. Il suo cazzo era già bello duro, leggermente scappellato; con due dita tirò giù la pelle a fatica, aprendolo del tutto, ed il suo odore mi investì violento. Nel solco del prepuzio un sottile strato bianco di materiale organico, causato dalla sua scarsa cura per l’igiene intima, mi mostrava tutta la sua naturalezza nel compiere quell’atto violento, il suo diritto di maschio a cui dovevo soccombere.
«Piano con quei denti» e giù uno schiaffetto, «piano apri bene puttana. Dai che ci sono quasi pronto, ti rompo bene il culo oggi».
«Mettiti in ginocchio, dai, testa sul divano, troia» continuò togliendomi il cazzo dalla bocca e facendomi mettere a pecora sul divano. Poi mi mollò uno schiaffo sulle chiappe, forte, e la sua mano callosa quasi mi graffiò.
«Mi fai male, ti prego» piagnucolai cercando di coprirmi con la mano, ma lui mi storse il braccio sulla schiena e giù, un’altra manata. Poi mi infilò un dito nel culo «stai fermo, più ti muovi e peggio è, lo sai». Rimasi fermo come una vittima sacrificale, prima la saliva, poi un dito, poi due, poi un po’ di burro.
«Adesso puttanella stai ferma» mentre mi appoggiava la cappella tra le natiche «Stai ferma, capito? È meglio per te che faccio prima. Se ti muovi e ti lamenti ci metto di più, capito?»
«Sì ok… ahia, Mario mi fai male, ti prego piano»
Mi strinse per i fianchi con forza, impedendomi di muovermi, finché il suo grosso cazzo non fu tutto dentro il mio culo. Improvvisamente, benché provassi dolore, sentii tutto il mio corpo infiammarsi di un calore piacevole, i capezzoli si gonfiarono oscenamente e, quando cominciò a scoparmi, ebbi di nuovo la sensazione, come la volta prima che fosse suo pieno diritto provare piacere con il mio corpo e che fosse un mio preciso dovere farlo sentire così virile, così dominante. Non ci mise molto, come aveva promesso. Lo sentii ejaculare dentro di me mentre si muoveva a scatti, violento, concentrato sul suo orgasmo. Prima uno schizzo, poi ancora, fino a che non si accasciò sulla mia schiena e lo tirò fuori.
Rimase quasi un minuto così. Il cazzo bagnato fra le mie natiche, mentre mi sbavava la schiena ed il suo sperma colava tra le mie cosce.
Mi lavai nella bacinella li in sala, mentre Mario me lo teneva in bocca, affinché lo pulissi per bene.
Catello, eccitato dalla scena che aveva visto, si stava menando il cazzo sul divano. «Vieni dai, che ora tocca a me».
Glielo leccai per bene, accuratamente. Dalle palle fino alla cappella, mentre lui gemeva di piacere. «bravo. Che puttana che sei» mi diceva, mentre il suo cazzo era diventato duro come il marmo, bollente come ferro fuso. Mi sedetti sul suo cazzo e lasciai che lentamente mi penetrasse tutto, fino in fondo. E solo quando sentii le sue palle bollenti sulle natiche, presi ad andare sue e giù sul suo palo, finchè non lo vidi tremare di piacere. Solo allora mi afferrò per i fianchi e mi mosse con forza sulla sua asta, al ritmo del suo piacere e degli schizzi del suo sperma.
Non mi lavai nemmeno. Mi rivestii velocemente, come per scappare da quel luogo, mentre loro mi sorridevano soddisfatti.

segue
di
scritto il
2019-09-02
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