Questa sera mi chiamo Giulia - 6

Scritto da , il 2019-08-31, genere etero

COMPLETAMENTE PAZZI

– Tu… sei… completamente… Pazzo!

Avete visto? Ci ho messo il punto esclamativo. Sta a indicare che è una esclamazione. Facile. Ciò che non riesco a trovare sulla tastiera dall’iBook è il simbolo della sorpresa-mista-a-incredulità. Dove cazzo l’avranno messo? Perché non ci hanno pensato?

Comunque, è così. Guardo questo tipo e, da una parte, non ci posso credere. E’ l’incredulità, appunto. Dall’altra, con una bella dose di sorpresa, mi rendo conto che sì, è completamente pazzo.

Non è che ci sia arrivata subito, eh? Prima c’è stata tutta una serie di passaggi. All’inizio, ho pensato che fosse un maniaco. In seguito un maleducato. Dopo, un coglione e, immediatamente a ruota, un coglione-maleducato. Per un attimo ho pensato anche che scherzasse, che fosse un provocatore, uno che si diverte così. Poi che fosse ubriaco, fumato, strafatto di roba anche più pesante.

Solo adesso mi rendo conto che sì, la cosa più probabile è che sia completamente pazzo.

In un primo momento non l’avevo inquadrato, ve l’ho detto. Ma avevo le mie buone ragioni. Ero appena tornata dal sottoscala, dopo il pompino fatto a quel Roberto. Aggirata con una certa classe l’ira funesta della sua fidanzata che gli chiedeva conto di essere sparito per un’ora (mica solo con me, eh? prima si era fatto succhiare il cazzo anche da Serena, il mandrillone), ero planata nel salone principale.

“Quella cazzo di caccia al tesoro”, mi ero detta osservando che tutti avevano smesso di ballare e ascoltavano un tizio che dava le ultime istruzioni. Doveva essere la seconda o terza volta che lo faceva, ma di questo me ne sono resa conto soltanto dopo.

“Cosa cazzo bisogna fare, ora?”, ho chiesto a un ragazzo accanto a me. Lì ho capito la malattia mentale di chi ha organizzato questa festa: hanno addirittura messo su, intendo dire aperto, una pagina Facebook. Ma non avete proprio un cazzo da fare nella vita.

Comunque, su Facebook c’era tutto, compreso il regolamento della caccia al tesoro e un link necessario per giocarci.

Ho anche appreso in quel momento che le coppie per la caccia al tesoro e per i giochi successivi erano già state sorteggiate. Cazzo, ecco una cosa di cui mi ero totalmente dimenticata.

Faccio scorrere il display e nello stesso tempo cerco gli altri. Lapo, Trilli, Serena… Vedo Bambi. E se c’è Bambi deve esserci anche Lapo. E infatti è con lei. Accanto a loro c’è Trilli con due ragazzi. Uno dei due è proprio strafigo, l’altro decisamente meno. Sembra che stia facendo le presentazioni. Mentre mi avvicino, lo strafigo mette la lingua in bocca a Trilli e le dà una strizzata di quelle che ti lasciano con la testa che ti gira e il desiderio che qualcuno ti passi le mani dappertutto, poi si allontana sorridendo. Arrivo accanto a Lapo e mi accorgo che per la caccia al tesoro lui e Bambi sono stati sorteggiati insieme. “Naturalmente è una coincidenza, vero?”. Mi risponde facendo l’occhiolino.

Io invece sono stata sorteggiata con un certo Brenno. Confido che non mi venga a cercare, o che almeno non mi trovi. Sono sempre un po’ triste e avrei voglia di starmene per cazzi miei, magari osservare quelli che giocano da una poltrona, fumando una canna. Possibilmente da sola. Sono a quota due pompini e la serata non è nemmeno entrata nel vivo, dovrei riposarmi. Invece mi guardo per un po’ intorno e scopro che c’è qualcuno che sta anche peggio di me, ovvero Serena. E’ accanto a un tipo, che probabilmente è il suo compagno di gioco. Ha le braccia conserte e un’aria vagamente incazzata. E, per giunta, il ragazzo che la sorte le ha riservato è proprio un cesso. Naturalmente il motivo della sua incazzatura è un altro, è il fatto che Lapo e Bambi sembrano attaccati con il Vinavil, stasera più che mai. E poiché ce l’ho ancora un po’ con lei – anche se non mi ha fatto nulla, sono io che sono una stronza – sono contenta.

Mi avvicino e le faccio “ma bisogna giocare per forza?”. Lei, che ovviamente non sa niente della mia animosità nei suoi confronti, mi rivolge un’occhiata implorante. Poi, come se si risvegliasse improvvisamente, mi fa “ehi, ma dove cazzo eri finita?”. Nemmeno mi presenta il suo cavaliere, a me del resto non me ne frega un cazzo. Lui, invece, si vede che ci terrebbe.

Anyway, decido che non è il caso di raccontarle di fronte a questo qui che mi ero imboscata a fare un pompino a Roberto e che gli ho persino chiesto di giudicare chi tra noi due è la più brava. Vorrei risponderle che… boh, sono andata a fare un giro, a ballare, che ho incontrato un amico. Una cazzata qualsiasi, insomma. Lei invece mi precede e mi chiede “scusa, ma Trilli come cazzo fa?”. Capisco al volo che si riferisce al tipo figo e sto per sospirarle un “eh…” che vorrebbe significare “non l’ha mai capito nessuno”, ma lei aggiunge “cioè, cazzo, fino a mezz’ora fa limonava con un altro, appena un po’ meno manzo, ma appena appena, eh?”.

– Eh… non l’ha mai capito…

Non riesco a finire la frase perché sono arrivata al punto di sopportazione del dolore. Non so se sia la terza, la quarta o la quinta botta, ma c’è un tipo dietro di me che mi sta picchiettando forte la spalla con un dito. E cazzo se fa male, ora. Quando me ne accorgo mi rendo conto che mi sta pure gridando una cosa come “Oh! Dico a te! Sei tu Giulia, no? Giulia-senza-numero?”. Mi volto tenendomi la spalla e gridando “Ahia! Ma sei scemo?”, pensando però allo stesso tempo che questo qui chissà da quanto chiamava Giulia-Giulia e io non me lo inculavo di pezza. Devo ricordarmelo meglio che questa sera mi chiamo Giulia. Quando con quel sorrisino del cazzo mi fa “è mezz’ora che ti chiamo” lo riconosco. No, porco cazzo, speriamo di no.

Gli chiedo timidamente “sei Brenno?” e lui senza smontare quel sorrisino mi fa “eh, sono Brenno, e tu sei sorda?” guardandosi in giro, come se cercasse un pubblico per la sua battuta. Poi stende la mano con aria solenne e cambia completamente tono di voce, dall’irridente allo stentoreo ostentato, dal semi falsetto al vocione: “Sono Bree-eeennoo!”. Gli stringo la mano e penso “questo è tutto scemo”.

– Che significa Giulia-senza-numero? Mica sono un taxi…

– Eh… significa che sei Giulia e che non hai il numero, lo sai cosa significa? – risponde indicandomi il badge – figa, qui saranno arrivati a Giulia 16… Pensavi di essere l’unica Giulia? Pensi di avercela solo tu?

Guardo Serena, allibita. Serena guarda me, allibita. Poi prende per un braccio il suo partner gli fa “’namo, và…” e si allontana, sta troia vigliacca. Resto a tu per tu con questo che, cazzo, è il tipo che mi osservava spudoratamente prima che scendessi al piano di sotto con Roberto. Ve l’ho descritto, no? Basso, ciccio, con la facciona incorniciata da una barba tipo hipster e i capelli cortissimi, la montatura nera degli occhiali. L’avevo giudicato più grande di me e invece no: è mooolto più grande di me. Indossa un paio di pantaloni grigio scuri di lana che, a occhio, devono provenire da un completo costoso. Sopra, una Lacoste verde a maniche corte che non c’entra assolutamente un cazzo. Ma la cosa davvero impressionante è la colluttazione tra il punto in cui le maniche finiscono e il braccio, che sembra voler strabordare fuori. E non sto parlando di bicipiti, sto parlando di adipe.

A proposito, no, scusate, la cosa davvero-davvero impressionante è lo stomaco. A prima vista non sarebbe nemmeno tanto in sovrappeso, sto Brenno. Cioè, sì, lo è, ma non troppissimo. E’ la prominenza dello stomaco che colpisce. E le braccia. E poi mi sa che ha anche più tette di me. A pensarci bene è proprio troppissimo in sovrappeso.

Dice “ti stavo guardando, prima”. Gli rispondo “no, per la verità mi stavi guardando il culo”. Mi pento subito per la troppa confidenza che gli concedo, ma non se ne approfitta. Anzi, si mette a ridere. Ha una risata strana, che gli fa strizzare gli occhi e lo fa ingobbire, peggiorando la sua situazione. Però ha bei denti e l’espressione di uno che non ride per compiacerti.

Mi fa “andiamo?” e io gli domando “hai davvero voglia di fare la caccia al tesoro?”. Il mio sottotesto sarebbe: cazzo, non sei un po’ cresciuto? Però vi giuro, mica glielo domando. Lui, come se l’avesse capito, mi dice “guarda che nemmeno tu hai sei anni” e poi aggiunge: “Non me ne frega un cazzo della caccia al tesoro, se eri un cesso nemmeno mi avvicinavo, ma poiché sei una bella figa…”. Segue una ammiccata che secondo me vuol dire “mica sono cretino”.

Resto un attimo in sospensione, come un aerosol. Cioè, non so nemmeno se dirgli “grazie” o “ma chi cazzo ti credi di essere”. Però, vedete, da questo momento in poi accade qualcosa che non mi era mai capitato prima: vengo travolta da una valanga di parole alla quale io, semplicemente, non riesco ad oppormi. Parla, racconta, divaga, insulta, anticipa le mie domande e mi fa sentire un’idiota. Mi piacerebbe farvi un resoconto completo. Ma a parte il fatto che ci sarebbe voluta una stenografa, è proprio un bombardamento a tappeto, qualcosa che non ha un filo, non ha un inizio e non ha una fine, impossibile da rendere su una pagina. E’ flusso di coscienza allo stato puro. Non ci capireste un cazzo. Come me, del resto.

Dopo avermi dato della bella figa, tanto per cominciare, aggiunge che “certo, se c’era quel figone della tua amica, con quelle bocce… (penso che parli di Bambi) si vede che quella è abituata a prenderne di ogni, sai che significa di ogni?”. Io mi irrigidisco un po’, sia per il linguaggio che per il pensiero di Bambi abituata a prenderne di ogni. Ma non ho neanche il tempo di starmene tanto così, perché subito dopo mi arriva un “anche tu devi essere popolare qua dentro, eh bimba?”.

Gli faccio “scusa?” ma è come se non avessi parlato. Anzi, un po’ sì perché riparte borbottando come una pentola dell’acqua cui sta per saltare il coperchio. Ma la sua allusione sul fatto che io sia una che la dà in giro si inabissa così come si è manifestata, passa ad altro.

– Scusa-scusa… scusa un cazzo, vengo qui a caccia di figa e mi capita una quindicenne!

– Io ho diciannove anni! – protesto.

Che poi, non lo so nemmeno io perché protesto invece di mandarlo affanculo. Però è uno dei pochi momenti in cui riesco a interromperlo.

– Diciannove anni?

– Eh… – gli faccio – e quattro mesi. Tu piuttosto, quanti cazzo di anni hai? Che ci fai qui?

Ecco, non gliel’avessi mai chiesto. Da questo momento in poi parte il bombardamento di cui vi dicevo prima. Non smette mai, letteralmente mai, di parlare.

E’ così che vengo a sapere che ha trentasei anni, è avvocato e che sì, è sposato, ma la moglie non è con lui perché fa l’attrice e che in questo momento starà recitando in teatro (“Ci sei mai stata a teatro? Col cazzo, eh?”) sempre che non abbia finito e che non si stia facendo scopare dal regista. Poco probabile, aggiunge, perché che cazzo vuoi che ci trovi in mia moglie. Una piece che peraltro ha scritto lui. Che no, bimba, lo vedi che non capisci un cazzo? Non il regista, l’ho scritta io. E no, nemmeno, davvero non ci arrivi? Io non scrivo commedie, scrivo piece teatrali, sai cos’è una piece teatrale? Lo fa a tempo perso, e dice che ne ha una in questo momento a Berlino e un’altra a Boston. Boston, hai presente dov’è Boston? E hai presente che rottura di coglioni sia fare l’avvocato? Che se non ci fossero il teatro e la figa ci sarebbe da buttarsi nel Po. Penso che tu sappia dov’è il Po, almeno la terza media l’avrai fatta…

Poiché il Po è abbastanza lontano ne approfitto di domandargli di dove cazzo sia, visto che il suo modo di parlare mi ricorda tanto quello di Tommy. Risponde che è di Cremona, sai dove cazzo è Cremona bimba? Gli dico “beh, vicino Parma”, perché appunto Tommy è di Parma e perché, soprattutto, in questo momento proprio non riuscirei a collocare Cremona sulla cartina d’Italia. Un risolino quasi sprezzante accompagna il suo “see… vicino Parma… quei culattoni”. Avrebbe anche potuto dire “ma visto che non sai un cazzo di un cazzo com’è che i tuoi ti fanno uscire da sola?” e sarebbe stata la stessa cosa. “Non hai visto B: The Beginning su Netflix? Sai cos’è Netflix, no? E’ la citta del salame, la città di Stradivari, sai chi è Stradivari?”. “No, cioè sì, quello del…”. Non mi viene la parola “violino” e gli faccio il gesto dell’archetto che suona. Brenno ridacchia e dice “brava, sì, anche se con quella manina per te è meglio il salame, mi sa”. Resto interdetta più che per la volgarità per il modo in cui parla incessantemente di sé, di me, degli altri. Di qualsiasi cosa gli passi per la testa. Cambiando continuamente registro. Ora ironico, ora quasi rabbioso, ora suadente. Proprio con un tono suadente mi dice “guarda quello che culattone, pure la ragazza gli hanno dato…”. Seguo il suo sguardo e vedo Roberto, con addosso la sua camicia onestamente da frocio, che compulsa il telefono insieme a una tipa. Giusto per dimostrargli che spara un sacco di fesserie, e per smontarlo un po’, mi verrebbe quasi da rispondergli “culattone mica tanto, gli ho appena succhiato il cazzo”. Naturalmente non lo faccio. E’ lui, invece, che con l’intonazione di chi dice “ma guarda dove sono capitato” aggiunge “ma meglio così, magari poi ci vado io da quella troia e mi faccio praticare una fellatio”.

Non pensiate che sia diventata improvvisamente morigerata nel linguaggio. E’ lui che dice proprio così: praticare una fellatio.

Tuttavia, al di là di quello che dice e di come lo dice, ci sono altre due cose che devo chiarire. Almeno altrettanto importanti.

La prima è che mentre parla, tra l’altro ad alta voce e strafottendosene di chi ci sta intorno, cammina a passo spedito per le stazioni della caccia al tesoro. Legge i quiz sul telefono e mi detta le soluzioni da scrivere su un form “che tu sei una ragazzina e sei abituata a ste stronzate”. Io lo seguo a un metro di distanza quasi correndo, ascoltando il suo profluvio di parole scombinate e le risposte, immediate, alle domande e agli indovinelli scemi posti dal gioco: “Marco Van Basten”, “Le anime morte”, “Oliver Cromwell”…

Sembra la scena di un film. Lui il Capo che irrompe dentro l’open space in piena luce di una grande multinazionale tra i salamelecchi dei sottoposti, io la segretaria goffa e stupida che inciampa prendendo appunti e fa fatica a stargli dietro ripetendo ogni tanto “come?”.

La seconda cosa, anche più importante, è che mai, ma dico proprio mai, mi dà l’aria di un tipo bavoso, mellifluo. Mai. Cafone, ubriaco, megalomane, povero coglione o sedicente dongiovanni e autore teatrale. Tutto quello che volete, tutto e il contrario di tutto. Ma viscido mai. E inoltre, mi sembra talmente autoriferito che non ha nemmeno bisogno di dirti “io faccio così, se ti va bene ok sennò vaffanculo”. Lo fa e basta. Non ha bisogno che tu sia d’accordo o meno. Ha solo bisogno di un pubblico, ma non per recitargli davanti, per essere come è. Lo percepisco così, sincero ed eccessivo. E di una intelligenza fulminante.

Certo, poi il momento in cui mi viene da tirargli un calcio nei coglioni arriva. E’ quando, dopo essersi fermato un attimo per orientarsi, mi fa “andiamo”. Gli dico “no, però vorrei prima bere qualcosa, ho sete”. Mi chiede se voglio dell’acqua, ma a me l’acqua non va. Afferra da un tavolo una bottiglia di Keglevich alla pesca e un, isolato, bicchiere di carta di quelli piccoli, da caffè. Probabilmente già usato. Lo annusa, lo riempie e me lo porge. Bevo un goccetto e piagnucolo “cazzo, ma è calda, a me fa schifo la vodka calda, soprattutto se è alla frutta”. Mi lancia uno sguardo in modalità dio-che-scassacazzi-che-sei e si allontana senza una parola. Torna dopo un po’ mentre io sto ancora lì con il bicchierino in mano indecisa se augurarmi o meno che non si faccia più vedere. Mi porge un flute pieno di vodka – stavolta pura – con l’espressione di chi ci tiene a farmi sapere che se dico che il bicchiere è sbagliato me lo rompe in testa. Resto muta e tracanno tutto. Sorrisino del cazzo e smorfietta da parte sua come a dire “però…”.

– Seeenti… – dice sempre senza dismettere quel sorrisino.

– Eh…

– Ma perché non la piantiamo con questa cazzata e non mi fai un pompino? Sai come si fa un pompino, vero?

– Ma sei impazzito? – gli domando. Non sono scandalizzata. Sono… sono stupefatta.

– E non fare quella faccia, non ti ho mica chiesto un bonifico. Per quello sì che ti saresti offesa, lo sai quanto mi rompe il cazzo con lo scoperto il direttore della mia banca? Dai, scherzo…

Mi lascia davvero come una cogliona, indecisa se lo scherzo fosse sul pompino o sul bonifico, con il flute vuoto in mano e la mezza idea di tirarglielo dietro. Poi improvvisamente si volta e torna verso di me smanettando sul telefono: “Cazzo, adesso c’è da vedere un video, ma quanto ci hanno lavorato su sti coglioni?“. E subito dopo aggiunge una cosa in dialetto che non so scrivere ma che, a occhio, dovrebbe significare “se la mattina andassero al cantiere…”.

Porta il suo display davanti ai miei occhi per farmelo vedere, sto video. Pigio sul link sul mio telefono e gli dico “faccio da sola”. Non sono arrabbiata, ma una reazione la dovrò pure avere, no?

Nel video ci sono dei numeri che appaiono uno dopo l’altro. Appaiono e scompaiono a intervalli di uno-due secondi. Zero, poi uno, poi ancora uno, poi due, tre, cinque, otto…

– Cazzo, ma questo è Fibonacci! – esclamo.

– Chi è sto culattone di Farinacci? Un amico tuo? Uno che ti si… – fa una specie di fischio accompagnato da un gesto del pugno inequivocabile e dal solito sorrisino ironico.

Lo guardo stordita per un momento e penso che adesso sì che è arrivato il momento di una ginocchiata sulle palle. Poi però penso anche che sia meglio lasciar perdere e umiliarlo sul piano intellettuale, almeno una volta.

– Fibonacci, sai chi è Fibonacci? – gli sorrido imitando il suo intercalare fatto di “sai cos’è questo e sai chi è quello” – è un matematico medievale… questa è la sua… la sua successione… Il numero aureo, l’impronta di Dio… Oh cazzo, ho capito!!!!

Stavolta sono io a partire. Mi fermo dopo qualche metro e lo vedo imbambolato che mi fissa. “Andiamo?”. Mi chiede dove e gli rispondo che ho capito cosa dobbiamo cercare, anzi che so dov’è. Domanda come faccio a saperlo e io perdo la pazienza e gli rispondo che so qualcosa anche io, che avere una cultura sui pompini è una bella cosa ma che anche la matematica non è male. Non so nemmeno io perché gli dico così, probabilmente è la vodka. Ma c’entra anche qualcosa Fibonacci e il fatto di avere risolto fulmineamente l’indovinello. Nel video i numeri continuano a scorrere e, secondo me, posto che qualcuno già lo stia guardando, nessuno ha ancora capito un cazzo. Siamo un secolo davanti a tutte le altre coppie. Mi sento potente. Mi è anche passata la tristezza.

– Che cazzo ne sai di matematica?

– Io la studio, la matematica – rispondo ricominciando a camminare. Stavolta è lui che mi sta dietro.

– Cazzo sei, la figlia di Margherita Hack? E di pompini che ne sai?

– Quella era un’astrofisica, e avrebbe potuto essere mia nonna… E comunque – mi volto a guardarlo negli occhi dopo essermi fermata di botto – anche i miei pompini sono l’impronta di Dio, ma certamente non a te…

Pensate che si sia offeso? No, manco per niente. Ride di gusto, sincero. Come quando poco prima gli avevo detto che mi ero accorta che mi stava guardando il culo.

Mi volto e lo porto quasi di corsa attraverso le sale dell’agriturismo. Sono certa di esserci passata davanti, non può essere tanto lontano. A un certo punto mi blocco e torno indietro, svoltando nel corridoio dove ci sono delle scale che portano di sopra. Quelle scale che ho salito insieme al dj prima di inginocchiarmi ed aprire la bocca davanti al suo cazzo, visto che siamo in tema di pompini e di prove dell’esistenza di Dio.

Nel corridoio c’è un quadro che rappresenta una scala a chiocciola vista dall’alto, con la sua spirale che si fa man mano più stretta. Ma quella spirale è, appunto, la spirale di Fibonacci, disegnata con i quadrati dai lati corrispondenti ai numeri della sua successione numerica.

“Eccola”, dico. Lui mi fa “ecco cosa?”. “La spirale di Fibonacci”, replico orgogliosa. “E cosa ci facciamo?”, domanda. “Ah, non lo so, ora lo scopriamo… e poi il genio sei tu, no?”.

– Senti, bimba – dice con un’espressione di compatimento, quasi sconsolata direi – ma tu ti rendi conto di dove siamo? No? Te lo spiego. Siamo a una festa di capodanno. Qui si viene per bere, ballare, scopare… è pieno di studenti, ragazzini dell’età tua o poco più che non vedono l’ora di infilarlo dentro qualcuna e ragazzine come te o un po’ più grandi che non vedono l’ora di farsi portare da qualche parte e farselo sbattere nel culo… Una massa di deficienti ignoranti preda dei loro ormoni. E secondo te ci può essere un gioco per questa poltiglia umana che contempla la conoscenza di questo culattone del medioevo… com’è, Farinacci?

– Aridaje… Fibonacci. E comunque non siamo mica tutti come dici te…

– No, ok, scusa. Tu no, i tuoi amici nemmeno, la tua amica con le bocce grosse men che meno. Tutti gli altri sì – risponde ironico.

Sto per rivolgergli un freddo “e allora?” quando vedo che sullo schermo del mio telefono il video è arrivato alla fine e campeggia, sì è proprio lei, la foto di questo cazzo di quadro che abbiamo davanti. Gli porto il telefono davanti alla faccia senza dire nulla.

– Ho capito cosa dobbiamo cercare – dice dopo avere dato un’altra occhiata al quadro.

– Cosa hai capito? – gli chiedo.

– Ora te lo dico, ma prima devo farti una domanda.

– Cioè? – gli faccio.

– Un pompino no, ok. E poi ho pure il cazzo piccolo. Ma la figa te la faresti leccare? Sono bravissimo… è una specie di compensazione della natura…

Per un attimo resto senza fiato. Poi deglutisco. Infine capisco.

– Brenno… tu. Tu… sei… completamente… Pazzo!

– Ma sono puuu-roooo! – risponde con la stessa voce stentorea e solenne con cui si era presentato. Credo che non sia la prima volta che lo fa con qualcuna, anzi penso proprio che sia una specie di gag. Ma se lo è, c’è da dire che gli riesce bene.

In ogni caso, fregandosene altamente del mio lieve sconcerto, mi dice che dobbiamo cercare un pesce. Strabuzzo gli occhi e lui mi indica la firma del dipinto: G. Pesce. “E’ l’unico indizio che può fornire sta crosta”.

– Dove lo troviamo un pesce, scusa? – gli chiedo.

– Figa, che ne so? La specialista in pesci sei tu! – risponde accompagnando le sue parole con un gesto eloquente almeno quanto quello di prima.

– Sei… sei la persona più volgare che io abbia mai conosciuto… – rispondo.

Non sono nemmeno scandalizzata, né incazzata, né altro. Glielo dico così, come mi viene. Come una semplice e incontrovertibile constatazione.

– Eh… comunque proviamo in cucina – dice cambiando discorso.

Il pesce effettivamente è in cucina. Ma non è un pesce. Cioè, è un tagliere a forma di pesce che campeggia in bella vista su un ripiano di marmo. Lo solleviamo e, sotto, c’è uno stampato con sopra scritto “complimenti!”, la bandierina a scacchi e un elenco numerato dove mettere le firme. Siamo i primi, non c’è partita con nessuno. Non sono nemmeno le undici e mezza, la caccia si chiude a mezzanotte meno un quarto, per lasciare spazio al brindisi. Non so quanti ce la faranno, non era poi così facile.

– Beh, questa stronzata è finita – dice Brenno con un tono spazientito.

– Meno male – convengo – ma posso chiederti una cosa?

– Ci hai ripensato?

– No. Non ci ho ripensato – gli dico dopo averlo guardato a lungo e in silenzio – Vorrei sapere: ma che cazzo ci fa uno come te ad una festa come questa? Voglio dire, qui siamo tutti ragazzini e studenti, come dici te…

– Col cazzo che siete tutti studenti, qui c’è anche gente seria… comunque te l’ho detto, mi avevano assicurato che c’era figa. Purtroppo a me è capitato un genio della matematica, ma vedrai che dopo qualcuna la trovo. Non vorrei cominciare l’anno andando a troie…

– Vai pure a troie? – gli chiedo.

– Certo, sempre andato, sin da ragazzino… Adesso vado sui siti di escort, sai cos’è una escort?

– Vagamente…

Per fortuna, non mi passa nemmeno per l’anticamera del cervello l’idea di rivelargli che una volta un tipo in un autogrill mi aveva presa per una escort, che con Edoardo a Nizza ho giocato a essere la sua escort, che poche settimane fa mi sono ritrovata cinquecento euro nella borsa dopo essere stata scopata da tre tipi.

– Vagamente… – fa lui – ma che cazzo ne vuoi sapere… ci sono certe… No, dico, una giapponese, l’hai mai scopata una giapponese?

– Una cinese fa lo stesso? – domando.

Giustamente, lui pensa che lo stia prendendo per il culo. Mi rivolge il solito sorrisetto, ma stavolta sembra voglia dire “ok, mi sono lasciato prendere la mano”.

– Sei fidanzata? – chiede.

– No.

– Cioè scopi con chi ti capita? Perché non con me allora?

– Ma la pianti?

– Non combini un cazzo, eh? Lo sapevo che millantavi. Ma sbagli, la patata deve girare e tu sei anche una bella fighetta. Sei ancora vergine? Non ci credo…

– Ma quando millantavo? – gli faccio.

– Quando dicevi che i tuoi pompini sono l’esistenza di dio… ma lascia perdere, dai, sei simpatica…

Mi sembra, improvvisamente, stanco. Come se si stesse spegnendo. Non so, è una cosa strana, gli cambia completamente l’espressione del viso. E anche lo sguardo. Ora mi guarda in modo meno fiammeggiante, anzi è quasi paterno.

– Pensavo che mi avresti tirato qualcosa dietro… – mi dice sorridendo. E anche nel sorriso adesso leggo la sua stanchezza. Ma forse non è nemmeno stanchezza. Forse è noia.

– Avrei dovuto farlo – rispondo.

– Magari l’avessi fatto subito, ti avrei mandato affanculo e ci saremmo evitati questa idiozia.

– Però siamo stati bravi – obietto – abbiamo vinto.

– Sì, sì… – risponde con un tono sempre meno interessato.

Di colpo, dicendo “vabbè”, si volta e mi molla lì, senza spiegazioni. Gli grido dietro “ehi, dove cazzo vai? Tra un po’ ci sarà la premiazione, poi il brindisi”. Lui ripete “sì, sì…” ed esce dalla cucina piantandomi lì.

A mezzanotte meno un quarto in punto un suono che sembra una sirena e che viene da chissà dove annuncia la fine della caccia al tesoro. Ho controllato, solo altre tre coppie sono riuscite a completarla. Lo dicevo che non era così semplice.

Torniamo nel salone principale, convocati da alcuni ragazzi, gli organizzatori immagino, che ci sollecitano a sbrigarci. Quando annunciano i vincitori e quelli che passano alla gara successiva Brenno ancora non c’è. Appare per magia proprio mentre chiamano i nostri nomi, accanto a me. Gli è tornata l’espressione strafottente ed esuberante di prima. Anche il sorrisetto sarcastico che porta stampato in volto è lo stesso. Allarga le braccia davanti ai pochi applausi come se uno stadio di calcio strapieno gli stesse tributando un’ovazione. Poi mi prende un braccio e lo alza annunciando urbi et orbi “ahò, sta ragazza c’ha i cojoni!”. Con il solito accento ridicolo che hanno quelli del nord quando vogliono imitare la calata romana. Ce l’aveva anche Tommy. Nei miei riguardi gli applausi sono più convinti, soprattutto da parte della metà maschile della festa. Parte anche qualche fischio. Arrossisco, mi sembra normale arrossire. Vengo circondata da Trilli, Bambi, Lapo, Serena… Baci e abbracci. Serena si rivolge a noi sottovoce: “ahò, m’è capitato un deficiente”, Trilli le fa “dovevi vedere il mio” a voce non così bassa. Cerco Brenno con lo sguardo e vedo che si allontana di nuovo. Stavolta gli vado dietro e gli dico che credo che sia previsto che il primo brindisi, a mezzanotte, debba essere per noi. Cioè, che per tutti è così, per le coppie sorteggiate. “Non che ci tenga particolarmente”, gli chiarisco un po’ per scherzo e un po’ sul serio.

– Lo facciamo dopo, vado a telefonare a mia moglie… E poi ho adocchiato una troia, la vedi quella laggiù?

-Quale? – domando. Tra noi e un ipotetico “laggiù” ce ne saranno venti, di ragazze.

– Quella brutta con le calze a rete, che si struscia. Mica è il suo ragazzo… Figa, quella ha una voglia di prenderlo che…

La osservo. Per essere brutta, obiettivamente lo è. Ossuta, disarmonica, vestita anche un po’ volgare. Però, voglio dire, anche sticazzi. Contento lui…

– Meriti di meglio – gli dico per prenderlo per il culo.

– Eh… ma me ne sono anche scopate di peggio.

Stavolta sbotto in una risata. Non lo so perché, mi avrà presa per sfinimento. O forse sarà il sollievo perché va ad importunare un’altra.

– Ci vediamo dopo, bimba – mi fa prima di allontanarsi – ma dammi retta, dalla. Ti diverti anche tu, vedrai…

Per la seconda volta mi molla lì come una cogliona. E, contrariamente ad ogni mia aspettativa, devo dire che mi dispiace. Probabilmente sono stata solo il suo pubblico, nemmeno la sua spalla, ma iniziavo a divertirmi.

Mi sento prendere la clavicola da una mano che arriva alle spalle. Una cosa leggera, che però mi distrae dai miei pensieri. Mi volto e vedo Davide, quello carino, l’amico di Roberto. E’ un bel vedere, obiettivamente. Mi sorride, dice “brava” e mi dà due bacetti sulle guance, che io ricambio. Aggiunge “ricordati che mi hai promesso un ballo”. Ah sì, ok, ora che me l’hai detto me lo ricordo, bel ragazzo. Gli sorrido e, giusto per darmi un tono, replico “ok, ok, te la sei proprio segnata quella promessa, eh?”. Lui, per tutta risposta, mi prende per un braccio e mi porta tre metri più in là. Non ne capisco il motivo ma lo seguo. Per un momento incrocio lo sguardo, tra il perplesso e il divertito, di Trilli.

– Ci terrei, mi piaci molto – mi dice quando siamo faccia a faccia e un po’ isolati. Per quanto si possa essere isolati in un salone pieno di gente che sta per festeggiare la mezzanotte, ovvio.

– Ah…

Sì, lo so che non è un granché come risposta. Ma capitemi, a tutto pensavo meno che a lui, fino a trenta secondi fa. Non me lo aspettavo proprio. E inoltre, passare dai modi di Brenno ai suoi un po’ mi spiazza.

– Allora? – mi fa.

– Beh… ma si, certo… – replico. A me le insistenze di questo tipo mi danno sempre un po’ di fastidio.

– Posso dirti una cosa? – domanda.

– Eeeeeh… sì, sì certo.

– Sono completamente pazzo di te!



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