Questa sera mi chiamo Giulia - 5

Scritto da , il 2019-08-31, genere etero

QUALCOSA DI STRAVAGANTE - Il salone si è riempito. E’ grande e di gente ce ne deve essere davvero tanta. Senza contare quella che circola nelle sale accanto. Vado al buffet e acchiappo qualcosa. Diciamo pure che mi riempio un piatto fino all’inverosimile. Perché ho una fame che non ci vedo e per togliermi il sapore dello sperma di bocca. Mando giù anche due bicchieri di bianco, che è un vino che in genere mi frega perché è fresco e va giù che nemmeno lo sento. Lapo e Bambi si aggirano allacciati, li vedo con la coda dell’occhio. Trilli si è già fatta agganciare da qualcuno con cui mi sembra entrata molto in confidenza. Nulla di speciale. Però sta ragazza è come una calamita, pur essendo la più bruttina, è quella che sempre, in qualsiasi situazione, aggancia qualcuno. Come cazzo faccia non è chiaro. Serena invece chissà dove è finita. E’ facilissimo che sia a dieci metri da me, che stia ballando, e che la calca me la renda invisibile.

Vabbè, pace. Mi riempio un’altra volta il piatto e un ragazzo che sta accanto a me con un cracker al salmone in mano mi lancia una di quelle battute che, in media, mi vengono rivolte una volta al mese: “Ahò, complimenti, ma dove la metti tutta quella roba?”.

E va bene, sono magra, pure troppo forse. Però cazzo, anche voi un po’ più di originalità ce la potreste anche mettere, no?

– Me lo dice anche mia nonna ogni volta che viene a pranzo da noi… – gli rispondo senza smettere, ostentatamente, di mangiare una tartina – cioè ogni domenica… Non è che mi passeresti quelle due mozzarelline rimaste? Grazzzie…

Ridacchia e me le passa. Bravo. Peccato che non sia davvero nulla di che. E questo è già fargli un complimento. Accanto a lui, invece, c’è un ragazzo davvero molto carino, sorride. Forse sono amici, non saprei. Vorrei però che la battuta scema me l’avesse fatta lui…

I miei pensieri sono interrotti dall’arrivo di una ragazza. Graziosa, non di più: bel visino e capelli corvini, culo probabilmente un po’ basso anche se da davanti è difficile dirlo, un décolleté nemmeno troppo generoso (Serena e Trilli, per dire, al confronto hanno praticamente le tette di fuori) ma comunque strizzato ed esibito, che un po’ di invidia me la provoca. L’abito con le paillettes, invece, mi sembra un po’ fuori luogo, qui dentro. Domanda ai due ragazzi: “Avete visto Roberto? E’ un po’ che lo cerco”. E con questo, mi conferma che i due ragazzi sono amici. Tra loro, con lei, e con questo Roberto. Comunque no, cara, negativo.

Roberto, peraltro, deve essere il nome all’anagrafe della Primula rossa, visto che dopo un quarto d’ora che siamo lì a parlare, la ragazza si materializza di nuovo: “S’è visto Roberto?”. Stessa risposta negativa dei due. Che non sono nemmeno antipatici, anzi. Quello più carino, proprio carino, si chiama Davide. L’altro il nome me lo dice, ma mi entra da un orecchio e mi esce dall’altro.

– Sto Roberto deve essere davvero interessante – scherzo.

– No, quella è la sua ragazza – mi dice Davide.

– E comunque anche nei tuoi confronti c’è una certa attenzione – aggiunge l’altro.

– Che tipo di attenzione? – gli faccio. Sarà una cosa buttata lì, ma dopo avere fatto un pompino al dj mi sento un po’ in soggezione, come se da un momento all’altro dovesse uscire fuori che lo sanno tutti.

– Beh… commenti, diciamo. Prima, quando ballavi con la tua amica.

– Ah… – rispondo un po’ rassicurata – e che tipo di commenti? Di chi?

– Ma dai, no… non si dice – risponde Davide.

Sto per replicare che se non si può dire significa che non erano proprio commenti, come dire, particolarmente educati. Proprio in quel momento però vedo Serena che da lontano si sbraccia per attirare la mia attenzione e invitarmi a raggiungerla. Dico ai due “ci si vede” e prima che mi allontani Davide mi fa “ci facciamo un ballo, dopo?”. Gli sorrido un “vedremo” che spero proprio che interpreti come un sì e mi avvio verso la mia amica che mi precede sculettando. La osservo nel suo vestitino corto e rosso, con i collant neri e le scarpe rosse. Non riesco a non pensare che, dato il contesto, sembra proprio una zoccola vestita da zoccola. Nemmeno il tempo di raggiungerla che mi prende per la mano e mi trascina fuori dalla sala. Ne superiamo un’altra e poi un’altra ancora, sempre più piccole, fino ad arrivare in uno spazio con un bancone di legno che probabilmente, nelle intenzioni di chi ha progettato questo mancato agriturismo, doveva essere la reception.

Mi spinge delicatamente contro un muro e mi bacia. Sto per protestare e dirle di non ricominciare quando sento nella sua bocca un sapore inequivocabile. Una ragazza ci guarda e fa un sorrisino. Più di meraviglia che altro.

– Sere… sai di sperma? – le faccio.

– E tu di maionese – risponde leccandosi un labbro.

– La maionese stava nell’insalata russa – le sussurro – ma lo sperma?

– Che domande fai? – risponde mettendosi a ridere – secondo te dove stava?

Prima di domandarle “chi?” le rivolgo un sorriso. Di quelli un po’ fintamente sconsolati, da interpretare come un “che troia…”.

– mmm… uno… poi te lo faccio vedere, te l’avevo detto che ho pessimi programmi per la serata… E tu?

Io? Beh, in un altro momento glielo avrei detto. Probabilmente sarei andata io stessa a cercarla, come lei ha fatto con me. Ma poiché mi ha presa alla sprovvista mi metto istintivamente sulla difensiva: “Io cosa? Io no!”.

Mi cinge per un fianco commentando “vabbè, la notte è lunga”, poi mi riporta in sala ricordandomi che tra un’ora c’è quel cazzo di sorteggio e quella cazzo di caccia al tesoro. Me ne ero già dimenticata. “Balliamo un po’?”, propone. La gente ha cominciato a darci sotto. C’è una folla che non mi aspettavo. Pensavo a una classica festa fatta mettendo assieme un gruppi di gente che non si conosce tra loro, ma tutto sommato omogenea. Qui invece sembra che abbiano diramato degli inviti pubblici, sembra di stare in discoteca.

Le dico “ok, andiamo” e, mentre ci avviamo, vedo i due ragazzi con cui parlavo prima al buffet (Davide-il-carino e Non-mi-ricordo-come-ti-chiami-il-brutto) che dialogano con un altro ragazzo. Se il dj che ho spompinato poco fa aveva una improbabile camicia arancione, questo ne ha una che stravagante è dire poco. Una che nemmeno il più frocio dei trapper indosserebbe come abito di scena. Non riesco nemmeno a descrivervela per quanto è assurda, non si capisce nemmeno se ci sia un colore di base. Una volta è il giallo, un’altra il viola. Di colori ce ne saranno duecento.

– Ah, eccolo – fa Serena.

– Chi?

– Quello con quella camicia strana – risponde.

– Strana? Alla faccia della cami… ma che, è quello???

– Eh sì…

– Ma come cazzo…

– Beh, non è un tipo che non si nota – mi anticipa lei.

Ora, è difficile spiegarlo e so che come al solito penserete che sono matta, però a vedere quel ragazzo mi sale dentro un moto di ostilità. Non verso di lui, verso Serena. Che cazzo ne so perché? Non fate domande sceme, ve l’ho detto che non lo so spiegare! So solo che quando mi ha detto che aveva fatto un pompino a uno non era successo nulla, ora che me lo ha fatto vedere un po’ mi sono incazzata.

Lei comunque nemmeno se ne accorge e, irrefrenabile come sempre, mi racconta tutto mentre ci buttiamo nelle danze, a volte parlando ad alta voce per non farsi coprire dal volume della musica, a volte bisbigliandomi all’orecchio. Mi dice che, in sostanza, è stata rimorchiata da questo tipo dopo avere appena posato su un tavolo il bicchierino, vuoto, di uno shot. Lui si è avvicinato non avendo capito che era stato proprio lei a svuotarlo, e gliene aveva offerto un altro. “Beh, adesso lo devi bere”, le aveva sorriso dopo avere chiarito l’equivoco. Le schermaglie erano state piuttosto brevi. Lui non aveva nascosto di essere lì con la ragazza e con degli amici, ma all’improvviso le aveva domandato se si stesse divertendo e cosa si aspettasse da una serata come questa. Alla risposta di Serena, che era stata “mah, non so, qualcosa di stravagante”, lui le aveva detto che cercava esattamente la stessa cosa. Una tattica, ovviamente. Serena avrebbe potuto dire “sono qui per verificare che le fette di melone e prosciutto abbiano tutte esattamente la stessa forma e lo stesso peso” e il ragazzo le avrebbe risposto che anche lui era proprio lì per quello. Invece Serena gli aveva chiesto “stravagante… tipo?” e il camicia-da-frocio aveva risposto senza battere ciglio, e anzi con parecchia faccia tosta, “prima di tutto, voglio vedere se riesco a combinare una cosa di nascosto dalla mia ragazza, poi si vedrà…”. Una sfacciataggine che in un altro momento, racconta Serena, sarebbe stata da punire con un bel “beh, allora auguri” e una altrettanto bella girata di tacchi. Ma poiché oltre a notarlo per la camicia le era anche parso, come dire, interessante a prima vista, mi confessa che anziché mollarlo lì gli aveva risposto con un sorriso “carino come programma”. A quel punto il “vuoi aiutarmi?” del ragazzo era un po’ venuto da sé. Un tipo sveglio e – commenta Serena – per niente male, camicia a parte.

– Sere, non sarà per niente male ma nemmeno tu sei male, come troia, intendo – la interrompo un po’ stizzita.

Lei sghignazza e slancia le braccia in alto continuando a ballare, poi lancia un “uaaaaaooooo!” ululato così forte che quelli che stanno accanto a noi si girano. Tra l’altro, qualcuno deve essersi fatto delle idee su di noi proprio in quel momento. Cioè, qualcuno: più d’uno, visto che sento due mani strisciarmi sul culo quasi in contemporanea.

Nella calca in cui siamo strette lo considero quasi normale, un pegno da pagare. Piacevole, persino. Poiché però c’è una mano che non solo resta lì ma cerca anche di farsi strada per esplorare meglio, a un certo punto mi volto e lancio un urlo alla folla indistinta: “Ahò! E c’è un limite a tutto!”. Mi guardano come una matta, ma tanto chi deve capire ha capito. Anche Serena l’ha capito, sbotta a ridere e mi dice “con quel culo scoperto te lo sei cercato”.

E anche questa considerazione, che in ogni altro momento avrei preso a ridere, un po’ mi infastidisce.

– Sai che mi hai fatto venire un’idea? – le dico allontanandomi.

– Ehi, dove cazzo vai? – domanda.

– Ho sete – le faccio.

Scivolo tra la gente che balla e mi avvicino ai due di prima. Stanno ancora parlando con il tipo cui lei, a quanto mi ha detto, ha appena succhiato il cazzo. Dico loro “ciao ragazzi, avete visto Roberto?”, imitandone la fidanzata. “E’ lui!”, mi fa Davide ridendo per la mia parodia. Il Roberto in questione, naturalmente, non capisce un cazzo. Sta lì nella sua camicia da frocio e mi guarda stralunato domandandosi chi sia questa biondina e come faccia a conoscere il suo nome. Serena esagerava. Secondo me Davide è molto più carino. Roberto non è un mostro ma, insomma, nulla di che. Davide mi chiede “allora, balliamo?”, ricordandosi della vaga promessa precedente. Io mi gioco il tutto per tutto e gli rispondo “aspettami qui, ho voglia di qualcosa da bere, torno subito”. Spero proprio che Roberto adotti con me la stessa strategia che ha portato Serena a mettersi in ginocchio davanti a lui. Mi dirigo sculettando a cercare un bicchiere dopo avergli lanciato un’occhiata furtiva.

Mi sento una zoccola in questo momento, ma non nel senso che conoscete. E che, in definitiva, spesso e volentieri mi fa sentire bene. Mi sento una zoccola con anche un po’ di senso di colpa addosso, se non proprio di vergogna. Mi vengono in mente pensieri osceni verso un tipo che non mi piace nemmeno tanto, solo per il gusto dello sfregio verso Serena. E’ solo per vedere se sono capace di prendermi quello che si è presa lei, tutto qui. Io, di mio, non è che abbia nemmeno tutta sta voglia. E’ uno sfregio, appunto, solo per dimostrarle che non ha fatto tutta sta conquista. E infatti, proprio per questo, oltre a sentirmi troia mi sento anche un po’ stronza. Un po’ parecchio. Il fatto che Roberto mi stia dietro e mi stia osservando il culo non mi fa nessun effetto. Figuriamoci. Se è per questo, ho appena incrociato in un specchio un altro tipo che aveva chiaramente lo sguardo concentrato sul mio fondoschiena. Un personaggio assurdo: basso, ciccio, con la facciona incorniciata da una barba tipo hipster e i capelli cortissimi, la montatura nera degli occhiali. Forse molto più grande di me. Un sorrisino ironico stampato sul viso che non ha disarmato nemmeno quando nel riflesso dello specchio ho visto i suoi occhi nei miei. Un secondo, forse due, poi il suo sguardo si è posato di nuovo, e senza nessun imbarazzo, sul mio sedere. L’effetto? Ma dai… va bene essere apprezzate, ma conta anche chi ti apprezza, no?

Ecco, con questo Roberto, è più o meno la stessa cosa. Magari non è un tipo così drammatico, camicia a parte. Ma non è certo uno che mi fa fare dei pensieri. Chissà Serena cosa ci ha trovato, io e lei abbiamo talvolta gusti così diversi… Già, Serena. Mi sorprendo a domandarmi: non sarò gelosa? E di che? Perché ha fatto un pompino a questo qui? Ma su, Annalisa… anzi Giulia, devo ricordarmelo io per prima che stasera mi chiamo Giulia.

Di cosa dovrei essere gelosa, dunque? Del fatto che si è scopata quella troia cinese con tanto di cazzi finti, corde, bende e chissà cos’altro? Del fatto che avrei voluto che lo facesse a me o che io lo facessi a lei? Del fatto che vuole Lapo per sé? Anche se, ecco, c’è una cosa che mi dà fastidio. Mi dà fastidio che non sia carina con Bambi. Cioè, sì, lo posso capire, intendiamoci. Che la ragazza di quello con cui vorresti stare non sia esattamente la persona che adori di più sulla faccia della terra lo capisco, però…

O forse no, forse ce l’ho con Serena, e ne sono gelosa, perché vuole una cosa, come ve lo posso dire?, normale. Un ragazzo, stare insieme a un ragazzo che le piace. A Lapo, certo, che male c’è? Magari se ne è innamorata… Ma sì che se ne è innamorata. Oddio, è un po’ contraddittorio il fatto che vada in giro a sbattere cinesine lesbiche e a succhiare cazzi agli sconosciuti, questo è vero. Cioè, vero per i canoni normali. Ma in fondo sticazzi. Il problema sono io, non lei, ammettiamolo. Prima mi eccito al racconto di come si è chiavata Li e adesso mi incazzo? Mi incazzo perché si è innamorata? Ma no, su… Cioè, sì, insomma, un po’ sì. Ma non è gelosia. E’… è che lei almeno cerca qualcosa e io non cerco niente, non voglio niente. Il problema è che certe volte mi sento il vuoto intorno, mi sento sola.

E’ passato un anno, cazzo. E un anno fa c’era Tommy, per esempio. Che l’ultima volta che l’ho sentito… mamma mia non l’ho mai sentito così strano. E comunque non c’è più, quella puttana di Sharon se l’è… lei e chissà quante altre. Un anno fa, mancano due giorni per fare un anno esatto, ho conosciuto Giancarlo. E anche lui chissà dove cazzo è finito, è una vita che non lo sento. E poi Edoardo, il Capo. Anche quello… sbattuta fuori dalla sua vita senza nemmeno un calcio nel sedere… Lapo, figuriamoci, sta con la sua bella… Cazzo, l’unico che tiene un minimo a me è Fabrizio e, vaffanculo se n’è andato a lavorare in Arabia Saudita. Non che sia innamorato, eh? Nemmeno io lo sono di lui. Ma almeno è l’unico che mi cerca ogni tanto. Cioè no, per la verità mi cerca anche Rami, il diplomatico tunisino, ma quello ho l’impressione che mi cerchi perché si è messo in testa di farmi il culo, vabbè… Insomma, è possibile che tra i tanti che mi piacciono o mi potrebbero piacere continui a mandarmi WhatsApp, un giorno sì e l’altro pure, solo quel coglione di Pierluigi, il mio compagno di corso? Ma cosa ho, la peste?

Scusate. Sì, d’accordo, vi sembrerò stronza e umorale ma che c’è? Almeno una volta ogni tanto non posso essere pure io stronza e un po’ umorale? E che cazzo… Vabbè, ho perso il filo del racconto come spesso mi capita. Ma riprendo subito. Anche perché, mentre questa raffica di pensieri inconcludenti e confusi mi frullano per la testa, il mio piano fa un piccolo passo in avanti. E nello stesso momento in cui fa questo piccolo passo in avanti vengo colpita, come solo una sberla può colpirti, da un pensiero così schifoso che mi vergogno persino a confessarlo. E sì che di cose ne ho confessate tante.

– Che bevi? – dice la voce alle mie spalle.

So che è lui. Non posso vederlo ma so benissimo che è lui, Roberto. E il pensiero schifoso che mi colpisce come una sberla mentre penso alla risposta da dargli è esattamente il seguente: dopo avergli fatto un pompino, Serena gliel’avrà pulito per bene il cazzo? O sarà rimasta qualche traccia di sperma? Perdonatemi. No, davvero, è una cosa che ora che la scrivo dà un vago senso di ribrezzo anche a me. Non perché non mi piaccia lo sperma, lo sapete. Ma perché… ecco, sì, insomma, ci sono momenti e momenti per pensarle, certe cose.

– Bollicine, possibilmente, è ancora troppo presto per ubriacarsi ahahahah – rispondo senza nemmeno voltarmi.

Mi porge il flute, lo ringrazio con un sorriso che in altre circostanze sarebbe un invito quasi esplicito, ma che forse lui non coglie. Gli dico “adesso però devi bere anche tu”, esattamente come aveva detto lui a Serena. Poi gli spiego come facevo a conoscere il suo nome, e il fatto che mentre parlavo con i suoi amici una ragazza sia a venuto a cercarlo un paio di volte. Ovviamente, non gli dico che conosco benissimo anche il motivo per cui lei non lo trovava.

Ed esattamente come aveva fatto lui con la mia amica, gli domando se si stia divertendo e cosa si aspetti da una serata come questa. Per un attimo resta in silenzio. Forse l’ho spiazzato, perché bofonchia un “mah, nulla di speciale, tu?”. Io? Io non aspettavo altro che questa domanda.

– Divertirmi, ballare, anche ubriacarmi un po’… – gli rispondo – e magari fare qualcosa di stravagante.

– Tipo? – chiede.

La parola “stravagante”, la stessa che aveva aleggiato tra lui e Serena, gli ha fatto brillare gli occhi. Onestamente, deve essere bello carico (o leggermente cretino) per non capire che lo sto prendendo per il culo e che sto replicando per filo e per segno la sua strategia di approccio. Oppure l’ha capito perfettamente e non gliene frega nulla, anzi. Anche questo può starci, è vero.

– Mah… non lo soooo… – sorrido facendo la smorfiosa e evitando di guardarlo negli occhi – niente di eccessivo, eh? Cose un po’ così… E poi tra tre quarti d’ora c’è il sorteggio delle coppie e la caccia al tesoro… chissà, magari conosco qualcuno ahahahah…

– Ah già, il sorteggio – dice come se non gliene fregasse un cazzo – Parlami della tua idea di stravaganza, per stasera almeno.

– Uh… ci dovrei… Cioè, sai cosa mi piacerebbe? Non è che ci sia partita da casa con questa idea, eh?, mi è venuta un po’ così – gli rispondo lasciando in sospeso la spiegazione per qualche secondo – cioè, non so… qui c’è un sacco di gente, no? Ecco… eeeehm… qualche piccolo flirt clandestino mi piacerebbe… Ma così, giusto per giocare…

– Ahahahah… di nascosto dal fidanzato? – domanda illuminandosi ancora più di prima.

– Nooo… no, no, non sono qui con il mio fidanzato. Sono con degli amici e delle amiche. Per la verità, nemmeno ce l’ho il fidanzato…

– No? – chiede sinceramente sorpreso – e allora in che senso clandestino? Che te frega? Sei libera di fare quello che vuoi…

– Ahahahaha… sì, certo – rispondo fingendo un po’ di imbarazzo – no, vedi, dicevo clandestino nel senso che… cioè, insomma scoprire se c’è qualcuno che ha voglia di combinare qualcosa di nascosto dalla sua ragazza… ma non per combinarlo davvero, eh? Così, per divertirmi.

Touché. Colpito e affondato. Shot down. Quello che volete voi. Sta di fatto che la citazione letterale della sua avance nei confronti di Serena lo stende. Lo vedo, materialmente, vacillare davanti a me. Io metto su un’aria da sedicenne zuccherosa di un film della Disney e sbattendo gli occhi gli dico “sai quelle cose… sguardi… sorrisi… guardare uno e poi distogliere gli occhi quando ti accorgi che lui ti guarda…”. Cazzo, devo sembrare Lindsay Lohan prima che diventasse pazza, cioè appunto a sedici anni.

Passa all’attacco con un moderato “sei così carina, strano che non abbia il ragazzo”. Ok, lo posso capire, sta tastando il terreno. Decido di spingere sul pedale del compatimento. Non che l’avessi preordinato, eh? Lo faccio così, improvvisando. Lo sapete che sono bravissima a inventare cazzate lì per lì. Gli dico che “oh, ce l’avevo fino a un po’ di tempo fa”, aggiungendo un velo di tristezza nella voce e sul volto.

– Mi dispiace – fa lui non so quanto sincero – a volte capita che le storie finiscano.

– Oh sì, soprattutto se lo becchi insieme a una tua amica… – gli rispondo un po’ sconsolata.

– Ah, cazzo! Dove li hai beccati?

– Eh… nel bagno di un pub… sti deficienti si erano pure scordati di chiudere la porta…

– E che stavano a fà? – domanda. Si vede benissimo che deve reprimere un ghigno, ma non posso dargli torto. Faccio fatica pure io a non ridere.

– E beh no… i particolari no, dai… – replico come se improvvisamente da una parte mi vergognassi e dall’altra l’onta subìta mi facesse ancora male.

– Ok, ok scusa, non volevo… quindi – mi dice allargandosi in un mezzo sorriso – sei in cerca di vendetta, eh?

Vabbè, è un modo di ragionare un po’ da carciofo, lo ammetterete. Che cazzo c’entra la vendetta? Tuttavia il terreno che ho scelto è questo e mi tocca continuare a giocarci.

– Ma no, ma no… nessuna vendetta… Però sai com’è… un po’ di gioco. Per l’autostima, più che altro, sta cosa mi ha buttata un po’ giù…

– Da quanto è successo?

– Eh… un mese più o meno… – rispondo.

Mi mette con finta nonchalance un braccio intorno alle spalle dicendomi cazzate tipo “vabbè, è ancora troppo poco tempo”, “ora devi pensare a te”, “non c’è nulla di male nel cercare di divertirsi un po’…”. Insomma, un campionario di stronzate. Sempre le stesse, peraltro.

Tuttavia, non sono le stronzate che contano. Conta il fatto che mentre le dice mi stringe sempre di più le spalle e avvicina sempre più la sua testa alla mia, abbassando il tono della voce. Conta che, mentre recito la parte di quella che tanto per darsi un tono assicura “oh, ma mica sono così depressa, eh?”, lui mi proponga di allontanarci ancora un po’ dal nucleo centrale della festa “così magari, se vuoi, ne parli un po’ con me, se ti va”. Conta che, senza dire nulla né dare l’impressione di cedere, io gli faccia capire che mi fido. Anzi, mi affido. Alla sua stretta, alle sue dita che dalla spalla cominciano a fare su e giù per il braccio.

Mi dice “l’hai visitato questo posto? Vieni, ti faccio vedere, è enorme”, e mentre la sua mano scivola, diciamo così, casualmente dalla spalla al fianco svoltiamo un angolo, dove ci sono delle scale che portano di sotto, al buio. Con il dj sono stata di sopra, con camicia-da-frocio nel sottoscala. Nell’arco di un’ora. Mi viene da sorridere e da commentare “Annalì, e meno male che stasera non avevi voglia…”. Forse Annalisa no, ma Giulia sì, mi rispondo.

Gli dico “dove mi porti?”, ma lui non mi risponde. Comincia a parlare del mio inesistente ex fidanzato per dirmi che, sì, magari sarà stato un po’ stronzo, ma che alla nostra età certe cose capitano, che non devo sentirmi rifiutata, che ce ne sono tanti, che una come me… Insomma, riparte con la fiera delle banalità. Tante, messe una in fila all’altra. Nemmeno le ascolto tutte, mi limito a pensare che se le banalità potessero fare luce, qui sotto sarebbe una centrale elettrica. Il buio, al contrario, è quasi totale. Si intravedono le sagome di tavoli e divanetti che dovrebbero arredare i locali che attraversiamo, ma non molto altro. E’ per questo che mi stupisce la sicurezza con cui mi conduce. Ormai sul pavimento di cotto i nostri passi fanno molto più rumore della musica che proviene dal piano di sopra.

Si ferma davanti a una porta. Sento la sua mano risalire lenta dal fianco su per tutta la schiena, fino al collo. Sulla pelle del collo, sotto i capelli. Fa per attirarmi a sé, vicino al suo viso. Anzi, mi ci attira proprio e mi sussurra “dai, dimmi che non sei triste”. Svicolo un po’, gli metto le mani sul petto per mantenere un po’ le distanze e ridacchio “ma no, davvero!”, mettendo però un po’ di timidezza nella voce. So perfettamente che la sua prossima mossa sarà quella di ricordarmi che stasera – stando a quello che gli ho detto prima – ho deciso di lasciarmi un po’ andare.

– Se volevi fare qualcosa di stravagante – sussurra – ora te la faccio vedere io una cosa stravagante davvero…

Abbassa la maniglia di una porta e, quasi nello stesso istante, accende la luce. La prima cosa che mi viene da pensare è che questo sia lo stesso posto dove pochi minuti fa ha portato Serena. Probabile, vista la sicurezza con cui si è addentrato nella rete dei corridoi e la velocità con cui ha trovato l’interruttore. La seconda cosa che penso, invece, è che mi sembra un bagno stranissimo, stravagante davvero. Nel senso che, messo lì dove sta, nei pressi di salottini e stanzette da pranzo, non c’entra nulla. E’ più un bagno che starebbe bene in una camera di lusso di un resort. Marmo grigio alle pareti e sul pavimento, una doccia incassata nel muro e nella quale quattro persone di corporatura normale starebbero comode, una vasca altrettanto enorme e dello stesso marmo del pavimento. I bordi sono bassi, forse una ventina di centimetri, non di più. Lunga, mi ci potrei stendere tranquillamente e allungare le gambe. Larga, anche qui ci starebbero almeno tre Annalise, anzi tre Giulie, una accanto all’altra.

– Che strano bagno! – esclamo – ma quanto è grossa sta vasca?

Con la fretta tipica che spesso hanno i ragazzi di farti capire che vorrebbero che le tue attenzioni fossero concentrate su una cosa sola, lui si avvicina e mi sussurra “in realtà non siamo qui per ammirare il bagno”. Sento in rapida successione il suo alito sull’orecchio, le sue labbra sul collo e la pressione delle sue mani sulle tette. A difenderle, la lana del gilet e la seta della camicetta. Ma il tocco lo sento ugualmente, avverto la presa di possesso e il brivido che accompagna l’indurimento dei miei capezzoli. Chissà se li sente anche lui, sti due traditori. Forse no. Io invece, se spingessi il sedere un po’ all’indietro, sentirei probabilmente la trasformazione del suo basso ventre. Mi piacerebbe farlo, arrivata a questo punto, lo ammetto. Ma mi dico che non è ancora il momento.

Gli domando “perché mi hai portata qui?”. E sì, ok, ammetto anche questo, è una domanda che solo una perfetta cretina può fare. O una perfetta oca. Solo un’oca può chiedere una cosa del genere dopo essersi lasciata scappare un sospiro e mentre una lingua le percorre il collo e due mani altrui le massaggiano i seni. Ma fare l’oca e fingere di tirarsela ancora un po’ ci sta bene. E poi dai, non siamo mica più ai tempi del liceo, quando mi ritrovavo in ginocchio ancora prima che il lui di turno avesse finito di chiudere la porta di uno dei tanti bagni in cui sono stata condotta prima di questo.

– Non volevi fare qualcosa di stravagante? – sussurra ancora.

– Sì… ma… non così… – gli rispondo mettendoci un po’ più di enfasi del dovuto.

Faccio crollare un po’ la testa verso il basso e cerco timidamente di divincolarmi. Cerco, più che altro, di trasmettergli la sensazione che sono una brava ragazza e che non dovrei stare dove sono ora, ma che mi piace quello che mi sta facendo e ho qualche difficoltà a rinunciarvi.

In realtà è solo poco più che piacevole, eh? Sia chiaro. Potrei ancora tranquillamente distaccarmi e andarmene dicendogli “ciao, al piano di sopra stanno organizzando un torneo di backgammon e non voglio perdermelo”. Ma a parte il fatto che a backgammon non ci so giocare, voglio proprio che sino all’ultimo momento non si renda bene conto di chi ha di fronte. Voglio che sia convinto di avermi conquistata, di essere stato talmente irresistibile da portarmi a essere indecente.

Chissà come è passato all’attacco con Serena, prima. Questo lei non me l’ha raccontato, nei dettagli. Si saranno addentrati nei meandri di questo sottopiano, entrambi con la stessa idea in testa, magari. Magari avrà detto anche a lei, come ha fatto con me, “cerchiamo un posto più tranquillo per parlare”. Vorrei tanto che lei le avesse risposto “difficile parlare con la bocca piena”, oscena e diretta come non io non ho potuto essere. Ma dubito che sia andata così. Ma sì, avranno limonato un po’ al buio, avranno abbassato qualche maniglia fino a trovare quella giusta. Il posto giusto. Saranno entrati baciandosi? E’ facile, penso. E immediatamente dopo penso anche che, cazzo, mi ha portata dentro un cesso e ha chiuso la porta senza nemmeno darmi un bacio.

– Non era questo che volevi?

Ancora la sua voce sussurrata e poi la lingua direttamente nell’orecchio. Stavolta il brivido è reale e il mio gemito pure, perché non me lo aspettavo. Sposto un po’ il culetto indietro, impercettibilmente, come se il contatto con il suo pacco ingrossato fosse assolutamente casuale. Mi lascio andare ad un sospiro anche troppo esplicito, che a me suona artificiale ma a lui probabilmente no. Un sospiro che diventa il miagolio di una ragazzina in calore quando mi stringe le tette con più forza e mi dice “sei un gran pezzo di fica, lo sai?”.

– No, ti prego – gli miagolo – io… io non sono… non cercavo questo e poi… poi tu hai anche una ragazza…

Vabbè, lo so che rischio di smontarlo, ma una volta, almeno una volta, dovevo fare la parte di quella che gli ricorda che è fidanzato. Lui per fortuna non mi risponde nemmeno e continua a dirmi che sono bellissima, che mi ha notata subito, che sarebbe disposto a fare qualsiasi cosa per me. E guardate, ve lo confesso, se non sapessi che si è appena fatto fare un pompino da Serena gli crederei pure, tanto è convincente. In ogni caso, poiché ho deciso che scoprirà solo a cose fatte la zoccola che sono, continuo a ripetergli i miei “no, dai”, i miei “io non sono quel tipo lì”. Con voce sempre più piagnucolosa e remissiva. Stando bene attenta a non sfuggire alla sua presa e a non ritornare più sul discorso della sua fidanzata.

– Sei così bella e dolce… io voglio solo farti stare bene – insiste.

Cioè, insiste… diciamo pure che, come aveva fatto il dj, mi sbottona la camicetta e si impossessa delle mie tette. Gli miagolo un “noooooooo….” così vezzoso che anche un ornitorinco capirebbe che il significato è esattamente l’opposto. Piagnucolo “no, no” e ribalto la testa all’indietro per guardarlo, appoggio la schiena al suo petto, lascio adagiare il sedere sul suo pacco.

Ok, sono in controllo. Ma non posso negare che inizi a piacermi la sensazione delle mie tette nelle sue mani, del bozzo nei suoi pantaloni che mi struscia sul culo. Lui non mi piace tanto, è vero, ma quello che mi fa sì che mi piace. Non al punto, però di permettergli tutto. Quando la sua mano si intrufola nei leggings e cerca la via del mio ventre la blocco, un attimo prima che arrivi all’elastico delle mutandine.

– No, dai, ti prego, non era questo… non così… no…

– Lasciami fare – sospira ancora – lascia che ti regali un po’ di piacere…

Ora, a parte la frase che sembra tratta da un’edizione porno-soft dei Baci Perugina, riconosco che per un attimo una mezza idea viene anche a me. E che cazzo, mica sono un robot. Però subito dopo mi dico no. No, dai, siamo seri. Finché si scherza, si scherza, ma quella no. Non mi sei così simpatico da darti la fica, andiamo. E’ vero che l’ho data anche a gente non proprio simpaticissima, d’accordo. Ma erano altre situazioni.

E’ una schermaglia di corpi incollati l’uno all’altro che dura anche un bel po’, eh? Un minuto, un minuto e mezzo. Con la sua voce che continua a ripetermi “dai Giulia, lasciati andare… da quanto tempo non ti lasci andare?… è il momento giusto…” e altre cazzate di questo tipo. La sua mano insiste nel tentare di intrufolarsi nelle mie mutandine, la mia nel bloccarla lì, un millimetro prima. I miei “no, ti prego” sono diventati dei più accondiscendenti “non fare così”, ho amplificato volutamente il rumore dei miei sospiri.

Tuttavia è come se fossimo arrivati a un punto di stallo e mi rendo conto che, se non si decide a fare almeno la mossa di spingermi giù, va a finire che in ginocchio dovrò mettermici da sola. A lui questo non sarà chiaro, ma a me lo è. Perfettamente.

E infatti è proprio quello che succede. Del resto, non possiamo mica passare qui tutta la sera…

Gli dico “sei un bastardo!”. Glielo dico piagnucolando rabbia, come se mi stesse forzando fisicamente. O come se mi avesse portata a un punto tale da non potere proprio fare altro, annullando la mia volontà. Glielo dico mentre mi volto, mi inginocchio e, quasi con lo stesso movimento, inizio a slacciargli la cintura dei pantaloni nascosta sotto quella ridicola camicia da frocio.

Mi aiuta a tirarglielo fuori. Cerco di controllarmi perché so benissimo che per me questo è sempre il momento più difficile. La vista del cazzo, il suo odore, la sua promessa di spietatezza. Tutto questo mi fa perdere la testa, sempre. Mi fa fare anche quello che non avrei programmato. Devo stare attenta, invece.

Alzo gli occhi quando lo sento dire un trafelato “tieni, non farti male”. Prende da dentro il lavandino un tappetino da doccia e me lo getta davanti alle ginocchia. E’ il gesto dello stronzo. Sì, lo so che secondo lui dovrei pensare che si tratta di una premura nei miei confronti. Ma non è così, è il gesto dello stronzo. Dello stronzo che passa il suo tempo a scaricare sperma nelle bocche di due zoccolette mentre la sua ragazza è almeno mezzora che lo cerca al piano di sopra. Stronzo e fortunato, diciamocela tutta.

Adesso sì che ho la certezza che, prima di me, qualche minuto fa in questo bagno c’era quella mignotta di Serena inginocchiata davanti a lui. Solo lui poteva sapere che quel tappetino fosse lì.

L’altra certezza che ho, arrivata a questo punto, è che il pompino deve essere spettacoloso, altro che quella troia che te l’ha appena succhiato… E’ stata brava però, gliel’ha ripulito proprio bene, bisogna ammetterlo. Mi viene quasi da piangere e da mollare tutto al solo pensiero di quanto ce l’abbia con lei in questo momento. Non sei solo una troia, Annalisa, anzi Giulia, sei proprio una stronza…

Poi però non mollo niente. E’ troppo tardi, e a questo punto va anche a me. Solo che per camicia-da-frocio deve essere uno choc vedere la biondina timida e vergognosa che dalle leccatine e dai bacetti passa a fargli scivolare lungo tutta l’asta mezzo litro di saliva per poi imboccarla fino in fondo senza difficoltà apparente. Del resto non è difficile, è un cazzo normalissimo. Un altro choc glielo dà la carezza che regalo ai suoi testicoli. Lo fa vibrare, muggire come un ridicolo vitello nel momento in cui soppeso le sue biglie e indirizzo loro un ideale “do your dirty job, boys”.

E se pompino spettacoloso deve essere, pompino spettacoloso sia. Rimane completamente soggiogato. E’ inerte, inizia abbastanza presto a tremare. Quando lo afferro per le natiche e lo tiro a me si può quasi dire che lo faccia più per impedirgli di crollare per terra che per ficcarmelo ancora più in gola. Il gioco lo conduco io, su questo non ci sono dubbi. E anche quando la sua virilità ferita gli fa dire un derisorio “certo che ti piace proprio succhiarlo, eh?”, non è che la sua posizione migliori di molto. Chissà come deve sembrargli questa ragazzina bionda che gli pianta gli occhi in faccia, guardandolo dal basso in alto, e gli fa “uh uh”. Con la bocca piena ma con il tono di chi commenta “non hai detto una cosa particolarmente intelligente, sai?”. Dammi retta, Robè, goditelo sto pompino, non ti capiterà tanto spesso una cosa del genere. Giusto quella cornuta della tua ragazza e quella rottainculo di Serena potevano trovarci qualcosa, in te. Non sei tanto interessante. Con quella camicia, poi. Una cosa sola apprezzo, in questo momento. Che non mi afferri la testa tra le mani cercando di scoparmela, ché quello preferisco che lo faccia chi sa davvero mettermi al mio posto.

Ci mette parecchio a godere. Tanto di quel tempo che la mandibola inizia a farmi male. E anche la quantità non è che sia proprio quella di un toro, due schizzi nemmeno tanto copiosi. Ma, almeno di questo, non posso certo fargliene una colpa. In fondo, si è svuotato nella bocca di un’altra giusto una mezzoretta fa. Sì, è vero che ci sono stati ragazzi con cui ho fatto dei bis a stretto giro che a momenti mi affogavano sia la prima che la seconda volta. Però dai, dipende no? Non è corretto essere così severe.

“Non mi hai nemmeno dato un bacio, e adesso è troppo tardi”, gli dico simulando il tono della vergogna e sollevando il mento, ma tenendo gli occhi abbassati. Spalanco un po’ la bocca per consentirgli di vedere che ho ingoiato il seme che mi ha riversato dentro. Il suo sapore, devo riconoscerlo, non è male, mi piace. Peccato fosse poca, Ho la testa che un po’ mi gira.

E poi è ridicolo: è davanti a me che ancora ansima e cerca di riprendersi. Vanagloriosamente convinto che io stia lì, in ginocchio e sovrastata dal suo corpo, ancora rapita dal suo cazzo, stordita dalla vergogna per essermi lasciata travolgere dalla voglia. Hai trovato una brava ragazza che voleva solo giocare a fingersi la puttanella che non sa essere, l’hai portata di sotto e gliel’hai ficcato in bocca. “Sapete, è una che ha scoperto il fidanzato che si scopava un’amica sua… c’era rimasta male”. Lo racconterai così agli amici? A quella cornuta della tua ragazza no, ok, ma ai tuoi amici di sopra? Glielo dirai subito? Mi indicherai con il dito? “E’ quella lì, timida all’inizio, ma fa certi pompini…”. Dirai questo? Beh no, bello mio, le cose non stanno esattamente così, ma chi se ne frega. Tra un po’ lo capirai da solo come stanno le cose. A me basterebbe che lo dicessi a Davide, quello carino, che razza di succhiacazzi che sono.

Mi fa “dai, torniamo su”. Certo, sì, torniamo su. “Sei stata bene?”. Beh, no, aspetta un attimo. Che cazzo di domanda è “sei stata bene”? Ti ho fatto un super pompino, me lo dovresti dire tu quanto sei stato bene, cazzo che megalomane che ho incrociato!

– Sono un po’ confusa… – dico tenendo gli occhi bassi.

– Non sembrava… – risponde lui mettendomi una mano sul culo e spingendomi su per le scale. Ha smesso di tremare, eh? Adesso rivuole il ruolo del macho che ha sedotto la brava ragazza.

Mancano pochi metri, in fondo. Ecco, diciamo che quel gradino lì va bene. Quando arrivo a quel gradino lì…

– Roberto, hai mai fatto parte di una giuria?

– Eh? Boh… no, perché? Che c’entra?

– Beh, perché adesso nei fai parte, anzi sei il giurato unico.

– In che senso, scusa?

– Nel senso cheeee… prenditi anche un po’ di tempo, eh? Nel senso che chi lo succhia meglio, io o la mia amica? Sai, noi due con i cazzi facciamo a gara…

Mi lancia uno sguardo allucinato. Mentre ritorniamo verso il salone principale mi domanda finalmente “ma che significa?”. Per fortuna non gli rispondo, perché appena svoltiamo un angolo incrociamo la sua ragazza.

– Ma dove cazzo stavi, amò? Chi è questa qui?

Chi è sta mignotta, voleva dire. Le passo accanto strabuzzando gli occhi, come a risponderle “ma chi cazzo sei? Chi vi conosce, come cazzo ti permetti?” e passo avanti. Ma un po’ mi vergogno a farlo avendo in bocca ancora il sapore del suo ragazzo. Sento la voce di Roberto dietro di me che dice “ma che ne so? È uscita ora dal bagno”. Poi non la sento più. Un po’ perché è coperta dalla musica un po’ perché non me ne frega più un cazzo. La sua domanda – “ma che significa?” – resterà senza risposta, forse. Però si è fatto fare due pompini da due ragazze diverse, uno dopo l’altro. Come chiusura dell’anno gli può stare bene, no? Manca un’ora e un quarto alla mezzanotte, sono un po’ triste e un po’ incazzata. Un po’ con tutti.

CONTINUA

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