Asiago - L'inseguimento

Scritto da , il 2018-12-28, genere dominazione

I due uomini, inferociti per l’inganno, corsero verso casa e gridarono al Lama di vestirsi. Quando fu messo al corrente della fuga, il capo banda ghignò ferocemente e salì sul furgone. Il motore, tossicchiando, partì al primo giro di chiave. Il mezzo fu maltrattato, ma riuscì comunque a portare il trio fino alla strada principale asfaltata.
- So dove porta quel sentiero – annunciò il Lama – adesso faremo una bella sorpresa al traditore e alla sua troietta.
Gas e Marina intanto proseguivano ignari lungo il sentiero che portava verso valle. Il buio e il fondo sconnesso consigliavano una velocità modesta. La notte limpida mostrava loro lo scintillio delle luci dei paesi della vallata e la loro mente vi leggeva il simbolo della libertà. Il faro della moto illuminò un oggetto metallico in fondo al sentiero e con orrore Gas si accorse che si trattava dello specchietto retrovisore del furgone. Non ebbe tempo di pensare a una via di fuga: un uomo sbucò dalla foresta e lo colpì alla testa con un ramo. Il colpo non fu forte, ma sufficiente per fargli perdere l’equilibrio e farlo cadere.
- Bene bene – sogghignò il Lama – abbiamo trovato i colombelli che voleva lasciare il nido, ma adesso li riportiamo a casa.
Marina fu trascinata sul furgone dal Lama, mentre Scheggia e il Grosso si occuparono di Gas.
Giunti a casa, i due prigionieri furono chiusi dentro due stanze separate con l’invito a dormire. Il mattino dopo Lama promise una punizione esemplare per entrambi.
Verso le dieci, Marina fu svegliata dal rumore della chiave che girava dalla toppa. Il Grosso spalancò la porta e riempì l’uscio con la sua stazza.
- Alzati e preparati. Ieri hai assaggiato l’antipasto: oggi tocca il piatto forte – sghignazzò.
L’uomo prese il polso di Marina con forza e la costrinse a muoversi.
- Devo fare pipì – si lamentò la donna – la stanza era fredda e mi ha stimolato.
- Ohhh povera piccola – la canzonò il Lama, imitando il tono dei bambini – adesso ti portiamo a farla subito. Togliti tutto!
Marina ubbidì e si denudò davanti al caminetto acceso. I tre uomini sorridevano in modo enigmatico. Gas non era con loro. Il Lama fece un cenno al Grosso e costui si avviò verso la stanza dove era imprigionato il quarto complice. Marina udì uno scambio di parole senza però capirne il contenuto. L’effetto fu comunque di far uscire Gas nudo dalla stanza.
La donna fu trascinata verso la porta e Marina strabuzzò gli occhi per il terrore. Un imprevedibile peggioramento del tempo aveva imbiancato la montagna con qualche centimetro di neve.
- No! Fuori no! Non nuda: datemi una giacca a vento! Almeno quella.
- Che castigo sarebbe dopo lo scherzo di stanotte! Dai! Meno storie: prima pisci e prima rientri.
Marina fu aggredita dai morsi del freddo montano e i suoi capezzoli si ersero immediatamente, facendole addirittura provare dolore per la turgidezza.
Gas fu trascinato fuori e legato con i polsi al palo di legno che sosteneva la piccola tettoia che proteggeva l’ingresso. L’effetto del freddo fece scomparire i suoi genitali.
I tre uomini, ben protetti da giacconi pesanti, si posero ai lati e davanti alla ragazza che a piedi nudi si accovacciò in mezzo al vialetto e con qualche spinta riuscì finalmente a svuotarsi la vescica.
- Aspetta – le disse il Lama, quando Marina accennò a rialzarsi – mettiti in ginocchio davanti alla pozza che hai fatto.
Scossa dai brividi, la donna appoggiò le ginocchia sul nevischio e le sembrò che fosse in realtà un pezzo di gomma irto di puntine da disegno. Alzò gli occhi verso il capo banda e vide che trafficava con la patta dei pantaloni, come pure i suoi due compari. “Mi tocca prenderli in bocca” pensò, ma poi vide che tutti si avvicinarono con il membro barzotto, senza puntare al suo viso.
Il primo getto caldo e dorato la colpì al seno sinistro e Marina lanciò un gridolino di sorpresa. Poi un secondo getto le colpì la faccia e il terzo sull’altro seno.
- Così non potrai dire che non abbiamo cercato di scaldarti, troia! – sghignazzò il Lama, imitato dagli altri due.
Quando terminò la minzione, il capo diede ordine ai due compagni di prenderla per i polsi e di portarla in bagno per farle fare una doccia. Gas fu invece liberato per essere poi nuovamente legato, inginocchiato a terra davanti a una sedia.
Marina si ristorò sotto l’acqua calda della doccia, sorvegliata a vista da Scheggia. Non poté nemmeno asciugarsi completamente: l’uomo la afferrò con brutalità per i capelli e la portò nel soggiorno dove il Grosso e il Lama erano già seduti sul divano senza pantaloni e slip.
- Succhiamelo per bene e guai a te se mordi – la minacciò il Grosso.
Scheggia la fece inginocchiare a terra davanti all’uomo e le spinse il capo verso il membro semi eretto. La ragazza emise un suono da rigurgito quando l’asta entrò fino a spingersi dentro la gola. Spaventata dalla totale assenza di pietà dei suoi rapitori, Marina pompò con energica lascivia il pene, leccandolo e succhiandolo con vigore.
- Così mi piace – commentò l’uomo – ci voleva così tanto a capire che ti volevamo troia? Dai, usa anche le mani. Non avere timore di toccarmi.
I complici risero di gusto, assaporando il momento in cui avrebbero potuto abusare della loro vittima, mentre la donna afferrò palle e sesso per stimolare maggiormente il Grosso. Accompagnava la discesa della mano con la bocca, così quando il palmo risaliva lungo il cazzo, lo trovava fluido e umettato di saliva.
- Preparate una macchina fotografica: voglio farmi una foto ricordo con lo sperma che galleggia in bocca alla zoccoletta.
- Sono pronto! – esclamò Scheggia, armeggiando con lo smartphone.
Marina non smetteva di leccare e succhiare. La sua lingua passava dai testicoli all’uretra, entrandoci per qualche millimetro. Lo schifo che provava era soffocato dalla paura di finire sgozzata e abbandonata nel bosco. Ripensò a tutte le scene di film pornografici che aveva visto nel corso degli anni e a ripetere mentalmente come un mantra “se l’hanno fatto loro, ce la farò anch’io”, “se l’hanno fatto loro, ce la farò anch’io”, “se ….”.
Un gemito più forte degli altri la avvisò dell’imminente orgasmo. Marina guardò fisso negli occhi il suo stupratore e aprì la bocca, solleticando il frenulo con la punta della lingua. Un grugnito accompagnò il primo fiotto che si riversò in bocca e un mugolio prolungato fu il sottofondo per i rimanenti getti che le riempirono il cavo orale.
Scheggia iniziò a fotografare. Marina si impose di rimanere con gli occhi aperti a guardare provocatoriamente l’obiettivo e i due uomini, che, per motivi diversi, stavano godendo per la sua prestazione. Quando il membro smise di spruzzare il seme, Marina si fece forza e ingoiò tutto, accompagnata da un’esplosione di grida e applausi.
Non ebbe tempo di riaversi perché il Lama si impossessò della sua bocca e in breve imitò il compagno. Le tenne la testa ferma finché la scopava con frenesia. Rallentò solo al momento dell’orgasmo e volle però che i complici riprendessero la gola di Marina, mentre ingoiava e nel frattempo la bocca restava incollata al proprio sesso.
Scheggia era eccitatissimo. Preferì rimanere in piedi e far sedere la donna sul divano prima di stuprarla in bocca con veemenza. La tortura durò poco perché l’uomo resistette meno di un minuto. Marina si trovò nuovamente nella vomitevole situazione di bere sperma per guadagnare la stima dei suoi rapitori.
Si sforzò enormemente a mantenere i liquidi seminali nello stomaco. Lo schifo che provava la stava facendo rigurgitare tutto, ma ancora una volta pensò “se l’hanno fatto loro, ce la farò anch’io”, “se l’hanno fatto loro, ce la farò anch’io” e fece un rutto degno di un navigato bevitore di birra.
- Salute! – urlarono all’unisono i tre uomini, sghignazzando senza pudore né vergogna per quanto avevano fatto subire alla ragazza.
- Adesso tocca a Gas – disse il capo banda – indossa questo.
Marina si vide porgere uno strap on nero da indossare. Si alzò dal divano e agganciò le cinghie per tenere fermo lo strumento di sopraffazione.
- Adesso vogliamo vederti rompere il culo allo stronzo che ha tentato di fotterci. Lui voleva incularci e noi inculeremo lui, tramite te.
Marina si avvicinò a Gas mentre il Grosso e Scheggia afferrarono il prigioniero e lo sistemarono su una poltrona, in ginocchio. Il Lama prese la lattina dell’olio di semi e ne versò quel poco che servì per riempire il palmo della mano racchiusa a coppa. Avvolse poi la mano attorno al fallo finto, facendolo luccicare.
Invitò Marina a mettersi dietro a Gas e a penetrarlo. La giovane donna appoggiò la punta del grosso glande contro l’ano dell’uomo e spinse lievemente, ma senza risultato.
- Bisogna aprirlo un po’ – suggerì Marina – altrimenti non ce la faccio a infilarlo.
- Ok – confermò il Lama – prendi un po’ di quest’olio, ungi un paio di dita e allargagli il culo.
Sconcertata per l’aggressività dell’uomo, la ragazza fece quanto gli aveva suggerito il capo banda.
Si rimise in posizione dopo un paio di minuti, spinse nuovamente il fallo contro l’ano e stavolta l’anello di carne cedette.
La donna spinse lentamente in fondo e poi ritrasse il giocattolo quasi sino a farlo uscire. Pensò bene di ungere nuovamente il fallo prima di reimmergerlo nel retto dell’uomo. Gas soffiava rumorosamente per rilassarsi ed evitare di lacerarsi durante l’andirivieni dell’intruso.
- Meno attenzioni e più energia – la richiamò Scheggia – non siamo mica qui a vedere te che vuoi fare la carina con uno stronzo. Vogliamo che lo sfondi per bene, chiaro?
La ragazza pensò a quanto aveva fatto quell’uomo per lei. Le aveva dato consigli preziosi e aveva fatto di tutto per farla scappare, ma era stato anche complice di quegli animali a due gambe che l’avevano violentata e umiliata come mai le ero successo prima.
Scattò in lei un furore vendicativo che crebbe al pari della velocità con cui possedeva l’uomo inginocchiato davanti a lei. Gas iniziò ben presto a gemere e le sue lamentele influirono sull’azione devastante di Marina. Il ritmo e l’energia della sodomizzazione crebbe. I gemiti si trasformarono in grida sincronizzate con gli affondi subiti. Marina si divertì anche a regalargli sonore sculacciate che arrossarono vistosamente le natiche glabre dell’uomo. Ad esse alternò vigorose strizzate ai testicoli e schiaffi al membro. Rallentò e si fermò solo quando la sua vittima scoppiò in singhiozzi irrefrenabili.
- Brava! Hai fatto proprio quello che volevamo. Però lui è sempre uno della banda e non avevi diritto a divertirti con lui, sculacciandolo e strizzandogli i coglioni, ma solo di obbedire ai nostri ordini. Adesso ne pagherai le conseguenze.
Nel toglierla dal corpo di Gas, Marina si accorse di avere lo strap on striato di sangue.
Lama la trascinò verso il caminetto, dove erano stati fissati due anelli metallici, mentre il Grosso le sfilò la mutandina fallica.
I polsi della donna furono legati ad essi e così Marina si trovò con il ventre e i seni riscaldati piacevolmente dal calore della legna che ardeva. La posizione era un po’ scomoda perché le braccia erano aperte, ma il peggio arrivò quando una scudisciata la colpì al sedere. Urlò per l’improvviso dolore che partì dai glutei e le esplose nel cervello. Ad esso fecero seguito venti colpi cadenzati dai cori dei tre uomini che si alternavano a fustigare la ragazza e a conteggiare le scudisciate.
Gas vide con un misto di orrore e di eccitazione il sedere tornito di Marina divenire ben presto di un color cremisi. Dopo le scudisciate, i tre uomini presero dei gatti a nove code costruiti artigianalmente con dei tronchetti di legno a cui avevano annodato pezzi di fune e iniziarono a frustare la schiena di Marina. Non risparmiarono energia nel colpire la schiena levigata della donna che gridò a ogni colpo ricevuto. Ancora una volta ricevette trenta colpi, dieci da ciascuno dei carnefici.
Impossibilitata a muoversi per non far soffrire la pelle martoriata, Marina fu quasi sostenuta di peso da Scheggia e il Lama quando fu sciolta da quella posizione per essere ruotata di fronte. Ora erano il sedere e la schiena che ricevano il doloroso calore del caminetto, mentre i tre uomini si dedicarono a frustarle i seni, cercando di colpire soprattutto i capezzoli, poi il ventre e infine la parte superiore delle cosce.
Il candore della pelle si trasformò in un intreccio di strisce rossastre che rendevano Marina simile a un quadro di Kandinsky.
La sua mente era pietrificata da quanto stava accadendo e ormai il terrore di una morte imminente a suon di frustate cominciava a far capolino tra i suoi pensieri. Contò mentalmente trenta, quaranta, cinquanta colpi e i tre carnefici sembravano ancora inappagati nel vedere il suo corpo gonfiarsi in strisce color corallo.
Continuarono per un tempo indeterminato: la donna non sapeva quanto tempo fosse passato. Si fermarono per ammirare la loro opera oscena. Lama accarezzò ripetutamente le tracce gonfie lasciate sulla pelle martoriata della sua vittima. Marina rimase con il capo chino, incapace di tenere sollevata la testa per l’inimmaginabile dolore che le assorbiva ogni energia.
Gas udì i suoi flebili lamenti che instillavano dolore nelle sue orecchie al pari delle lacerazioni che Marina le aveva inferto alle viscere. In quel momento sentì un insostenibile senso di colpa per avere contribuito a rapire la giovane e farle subire uno stupro che le avrebbe segnato la vita per sempre.
Marina era inebetita e quasi si augurava che uno sparo pietoso mettesse fine alla sua esistenza.
Un botto improvviso sembrò la risposta ai suoi lugubri pensieri, ma assieme ad esso vi furono grida incomprensibili e uno strepito di scarponi che calpestavano il pavimento.
- Polizia! Fermi tutti – udì in mezzo al frastuono di colpi e di ordini urlati a squarciagola.
La tensione evaporò come acqua sull’acciaio incandescente e Marina si lasciò andare di peso, rimanendo appesa per i polsi.
Quando riaprì gli occhi, sentì che qualcuno le stava parlando e il bruciore della pelle era stato mitigato da creme emollienti.
Sforzò di sorridere all’uomo che le stava chiedendo se riusciva a sentirlo e con un cenno affermativo del capo lo rincuorò.
Girò il viso attorno a sé e vide Gas seduto sulla poltrona coperto da un telo pesante e con la testa ciondoloni. Nella stanza c’erano tre poliziotti oltre all’ufficiale in borghese che la stava sorreggendo.
L’incubo era finito.
La vita, segnata da una profonda cicatrice, sarebbe continuata.

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