ICO “Tribute” - Non ti lascio andare

Scritto da , il 2018-11-26, genere pulp

Davanti a loro, il mastodontico cancello di pietra e ferro emanava luce.
Ico si soffermò a contemplarlo con la bocca spalancata: dopo tutte quelle tenebre, quel cancello risultava uno spettacolo meraviglioso. Dopo Yorda, ovvio. Sembrava che miliardi di lucciole stessero strisciando sulla superficie in mille direzioni diverse.
“Wow...” Ico emise un sospiro a quella vista.
Portò lo sguardo verso l’alto: alle estremità dell’immenso portone vi erano due sfere, le sfere che lui e Yorda avevano attivato.
Erano loro occorsi tempo e fatica per farlo. Entrambe dovevano essere accese tramite un complesso congegno a base di aria e luce solare, attraverso due parabole che convogliavano l’aria all’interno di una struttura capace di trasformarla in luce.
La luce veniva poi proiettata verso le due sfere, le quali davano energia ai due lati del cancello.
Mancava solo qualcosa per aprirlo, o meglio qualcuno: Yorda.
Lei si avvicinò al portone con sicurezza. Sapeva bene cosa stava facendo.
Improvvisamente, saettarono dal suo corpo fulmini luminosi.
Fu così potente quello sfogo di energia che Ico volò all’indietro con il sedere per terra!
Yorda si sforzava non poco per emanare tanta luce: le sue mani erano strette davanti al suo petto, come se stesse cercando di trattenere un grande dolore.
Gli occhi chiusi come se dormisse e il corpo ripiegato verso il davanti e instabile.
I fulmini colpivano le pareti del cancello con grande velocità.
Cominciò ad aprirsi piano. Ico riusciva a vedere il mondo esterno e un gemito di sorpresa misto a stupore e meraviglia gli risuonò dai polmoni.
Il cancello si aprì del tutto e Yorda stramazzò a terra esausta, con un gemito di dolore, mentre i suoi capelli grigi si schiarivano piano fino a diventare completamente bianchi, come la sua pelle.
Ico si spaventò non poco nel vederla in quello stato. Evidentemente aveva consumato tutte le sue energie, i piccoli pilastri di pietra non erano niente a confronto con quell’impresa.
Si precipitò da lei: “Stai bene?” chiese lui chinandosi verso di lei.
“Umotysx” sospirò lei, quasi sollevata.
Stava meglio, adesso.
Un rumore di rulli di pietra attirò l’attenzione di entrambi, voltarono la testa verso il pavimento.
Da sotto il cancello, lentamente, fuoriuscì una lunga piattaforma di pietra. La stessa cosa stava accadendo dall’altra parte, sulla scogliera, dove i cavalli e i cavalieri si erano fermati prima di scendere lungo il sentiero scosceso.
Le due piattaforme si incontrarono proprio a metà tragitto, formando un ponte.
Dall’altra parte, idoli di pietra uguali a quelli già incontrati nella fortezza. Yorda poteva farcela a spostarli, si sarebbero riposati subito dopo aver raggiunto la terraferma.
Ico non stava più nella pelle! La libertà si trovava solo a duecento metri da loro! E la sua salvezza era accanto a lui, che si stava rialzando goffamente e con fatica.
La sua salvezza.
Ico la aiutò. Le porse la mano, come sempre, non l’avrebbe lasciata mai andare, specialmente in quel momento in cui avrebbe varcato le soglie di quella prigione insieme a lui.
Yorda si teneva una mano stretta sul cuore, probabilmente era ancora stanca e dolorante per via dei raggi di luce nati dal suo petto.
Ico la osservò meglio: sembrava più vecchia con quei capelli bianchi, ma rimaneva sempre bellissima. Il contorno delle sue labbra carnose era più marcato e le sue splendide ciglia nere sembravano le piume di un pavone.
Si guardarono beatamente per qualche secondo, occhi negli occhi, mano nella mano, il cuore di lei nelle mani di lui che batteva.
Cominciarono ad incamminarsi. Ico avrebbe corso a perdifiato, ma era evidente che Yorda facesse fatica perfino a stargli dietro in una semplice camminata.
C’erano quasi.
Erano esattamente a metà.
Un bagliore accecante partì dalle due sfere. Saette simili a quelle che la sua amata emanava. Saette che, come artigli di falco, tirarono a sé di poco Yorda, prendendola da mani e polsi. Lei cacciò un gemito di dolore, prima di svenire, di crollare a terra.
Ico fece un passo e le due piattaforme cominciarono a staccarsi.
Yorda su quella verso la fortezza e lui verso la costa.
Il movimento della pietra gli fece perdere l’equilibrio, facendolo quasi cadere giù.
Si aggrappò con tutte le sue forze al bordo, mentre si rendeva conto con orrore che Yorda si allontanava sempre più.
Ico avrebbe potuto benissimo lasciarsi trasportare verso terra. Avrebbe potuto lasciare Yorda al posto a cui apparteneva e lui poteva guadagnare la libertà.
Ma non poteva.
Aveva giurato di proteggerla.
Di salvarla.
Di non lasciarla mai andare.
Ico si rimise in piedi, prese la rincorsa e con un urlo di sforzo si lanciò verso l’altra piattaforma.
Mancando la presa.
Una mano lo afferrò al volo per il polso.
Yorda si era ripresa e stava cercando di tirarlo su. Ma per quanti sforzi facesse, non riusciva. Yorda ci metteva tutte le sue energie, gli occhi strizzati e la stretta forte sul suo polso.
Ico perse la sua mazza chiodata, gli venne un attacco di vertigini guardando verso il basso, la mazza sembrava volteggiare nel vuoto. Cercava di trovare un altro appiglio con la mano libera, sbattendola come una mosca intrappolata dietro un vetro contro la roccia.
Quello che non sapeva era che una sfera di oscurità andava espandendosi dalla fortezza. E che la tenebra stava ricoprendo piano prima il piedino nudo di Yorda, poi la sua caviglia, la gamba...
E poi Ico la vide alle sue spalle: la Regina, che solenne, dietro alla sua maschera di buio lo osservava con sufficienza.
La tenebra arrivò anche alla mano di Yorda.
Perse la presa.
Ico precipitò nel vuoto.
“Nnmr” sospirò Yorda, vedendolo cadere verso le acque dell’oceano, prima che la tenebra le coprisse anche gli occhi.

Continua

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