L'Oblò

Scritto da , il 2018-10-28, genere trio

Mentre affondavo ancora una volta l'asta fra le sue carni, alzai gli occhi su Claudia, che a sua volta fissò un punto alle mie spalle, poi tornò a rivolgermi lo sguardo in un muto cenno d’assenso; allora scivolai fuori, afferrai l’erezione e presi a masturbarmi. Dopo pochi colpi il fiotto di sperma disegnò una parabola arcuata atterrando fra i suoi seni. Claudia ne raccolse una parte col dito facendosela colare con ostentazione in bocca mentre allungava l’altra mano al sesso. Inarcò un paio di volte la schiena, poi si irrigidì come in preda alle convulsioni, infine emise un ultimo urletto di piacere e si rilassò, ansimante.
Mi stesi al suo fianco, pensando che poche volte avevo visto un orgasmo più fasullo. La baciai sentendo sulla lingua il gusto del mio seme, e quando le cifre dei minuti dell’orologio digitale scattarono sullo 00 mi allungai, spensi la luce e staccai i microfoni.
Il silenzio della stanza faceva percepire, al di là degli oblò a specchio che circondavano la stanza, i vari rumori animali che l’umanità emette quando è in preda al piacere: ansimi, risatine, farfugliamenti gutturali.
L’addetto alle pulizie della stanza bussò discretamente, tra un quarto d’ora sarebbe iniziato una nuova performance e la stanza andava ripulita, le lenzuola cambiate e il set degli accessori rifornito. Una delle prime regole che si impara in questo mestiere è che bisogna avere rispetto del lavoro di tutti, così raccattammo i pochi abiti di scena e di dirigemmo alle docce, pudicamente divise fra maschili e femminili.

Sotto la doccia c’era un tizio nuovo del giro, con un voluminoso attrezzo che gli penzolava fra le gambe, e che evidentemente, dopo lo spettacolo precedente, si era intrattenuto ulteriormente con la partner, e un paio di ragazzi muscolosi e tatuati che, immaginai, stessero per andare in scena. Uno dei due si stava lavando con cura il solco delle natiche mentre una peretta era appoggiata al ripiano, e ascoltava, annuendo, il secondo, che recitava come un mantra il loro plot.
Il plot, la nostra maledizione: un insieme di sceneggiature codificate, che dovevamo eseguire puntualmente nei tempi prestabiliti e che ci venivano comunicate solo pochi minuti prima dell’inizio, su richiesta dei clienti più affezionati e generosi.
E a proposito di generosità, uscendo dal locale trovai il cestino delle mance, questo venerdì sera particolarmente colmo; così, quando Claudia uscì con ancora i capelli umidi, optammo per una pizzeria lì vicina; l’indomani avremmo avuto due spettacoli e nessuno di noi era particolarmente propenso a spadellare.
Seduti davanti alle nostre pizze, Claudia reintrodusse il solito discorso: era stufa marcia di esibirsi davanti a maniaci bavosi, a coppiette in cerca di brividi clandestini o a qualche figlio di papà per il quale farsi le seghe davanti a youporn non era abbastanza eccitante. Come al solito le risposi che erano soldi facili, tanti soldi facili, e lei rispose che se i soldi non servono a vivere meglio, allora a che cazzo serve farsi spiare dentro le mutande da sti schifosi e le risposi che noi ci limitavamo a dare a questa spazzatura umana ciò che chiedeva, senza neppure sporcarci, separati come eravamo dagli oblò del set, poi la discussione si avviò secondo i soliti binari che, da lì a poco, ci avrebbe portato ad andare a letto biscicando di malavoglia una buonanotte reciproca.

Il giorno successivo, sabato, avevamo una matinee alle 11 con un plot senza difficoltà, che potevamo eseguire senza neanche prestarci molta attenzione: baci profondi, lei lo prende in bocca, io la lecco, un po’ di 69, poi lei sguscia da sotto, mi cavalca mentre io le massaggio i seni, mi prende dentro e veniamo assieme. 45 minuti facili facili, scivolati via in un istante.
Pranzo leggero, giro per vetrine in centro, fingendo allegria e sintonia pur di non tornare ai discorsi della sera precedente che comunque continuavano ad aleggiare fra noi.
La sera fu una tragedia: il plot era a trio, che è sempre emotivamente impegnativo, sia che il terzo sia una lei o un lui; la lei, Martina, alle prima armi e per la prima volta si sarebbe cimentata con questa sceneggiatura che prevedeva una prima parte lesbo fra le due ragazze, poi l’offerta, da parte di Claudia, della compagna alla mia penetrazione anale.
Fin dall’inizio Martina era tesa, contratta, e nonostante il prodigarsi delle mani e della bocca di Claudia, ancora nervosa per la discussione della sera precedente, la ragazza non riusciva a rilassarsi. Quando entrai in scena, il suo sfintere era così stretto che non ci sarebbe passato uno spillo; ci appoggiai il sesso, ma anzichè dilatarsi e farmi scivolare dentro si irrigidì ancora più; vidi negli occhi di Claudia la preoccupazione, il plot era sacro e non rispettarlo sarebbe significato deludere gli spettatori e perdere una parte consistente delle mance, per non dire la messa in discussione del contratto; così afferrai Martina per i fianchi e la forzai con violenza; nonostante il grido di dolore, di vero dolore che emise, io prosegui senza esitazione a montarla, cercando di salvare il salvabile mentre avevo la piena consapevolezza che, anche se consenziente, la stessi in qualche modo violentando; ormai la parte di scenografia che prevedeva che Martina leccasse il sesso di Claudia era irrealizzabile, così Claudia stessa, improvvisando, prese a baciarla profondamente per portare in qualche modo a termine lo spettacolo ma soprattutto per soffocarne i lamenti e le lacrime.
Alla fine, col sesso dolorante e la testa nel pallone, le venni faticosamente dentro, sentii Claudia fingere il solito orgasmo, le cifre dell’orologio scattarono sul doppio zero e la pantomima finì.
Mi alzai e me ne andai, lasciando Claudia a consolare Martina in lacrime.

Ero a letto, fingendo di dormire, quando Claudia arrivò a casa. Senza neppure accendere la luce, disse solo: e con oggi, basta.

Mentre la sentivo russacchiare, io non riuscivo a prendere sonno, fissando nel buio il soffitto. Avevo sempre pensato che gli oblò fossero unidirezionali, che i plot fossero solo la realizzazione delle loro fantasie, malate, aberranti, deliranti, ma fantasie, puro pensiero; e che noi fossimo solo degli attori che quelle fantasie mettevano in scena, dando loro corpo, gesti, parole; un po’ come i lottatori di wrestling, che se le danno di santa ragione senza mai procurarsi un livido.
Invece oggi gli oblò non avevano fatto tenuta, e quella sete di sopraffazione, di umiliazione, di dolore era penetrata dall’esterno e come un virus aveva infettato me, e poi Claudia, e infine avevamo contagiato Martina.
Essere simulacro delle depravazioni altrui, ci poteva stare. Essere depravati, no.
E con oggi, basta.

Claudia mi scrolla, forse la birra o il tepore del caminetto, chissà se stavo sognando o soltanto ricordando. Anche se sta facendo un autunno meraviglioso, d’ottobre qui in campagna il freddo si fa sentire, e vicino al fuoco c’è un bel tepore.
Il caminetto, la campagna, le coltivazioni biologiche, i laboratori con le scuole e d’estate la pensione per i cani. Ecco dove ci ha portato quel basta. Ed ecco dove sono finiti i tanti soldi facili.
Alzo gli occhi. La tavola è imbandita, oggi abbiamo un’ospite speciale, una persona che ci permetterà, finalmente, di sigillare quell’oblò e di dimenticare quella brutta storia.

Il campanello suona, i cani fuori abbaiano e Claudia, in tuta da casa e crocs rosa corre ad aprire: benvenuta, benvenuta! L’ospite entra emozionata e le stampa un paio di bacioni affettuosi; io mi strappo alla poltrona e bacia con calore anche me.
Claudia scompare in cucinino e ricompare con una teglia di lasagne fumanti. Stappo una bottiglia di vino e servo prima l’ospite, poi Claudia e poi mi servo. Il caminetto scoppietta.

Distesi sul divano, dopo il caffè, Martina si piega a leccare il sesso di Claudia; io le allargo le natiche, la lubrifico brevemente poi la penetro; lei sospira di piacere poi torna a deliziare Claudia con la sua lingua.
Al di là delle finestre, sporche ma trasparenti, si vede la pioggia bagnare la campagna.

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