Le mie estati nella cascina dei nonni. 2: mi accorgo dell'esistenza di Faust

Scritto da , il 2018-05-26, genere zoofilia

Come vi dicevo nella prima parte di questo racconto, fino ad oggi, non avevo mai guardato Faust, il grosso meticcio dei miei nonni con occhi concupiscenti.
In realtà era un gran bel cane, dal fisico prepotente, pelo mediamente lungo ma duro e ispido, di un colore variabile e indefinibile, che andava dal nero della schiena al color cammello della lunga e soffice pelliccia sotto la pancia.
Quattro zampe robuste e muscolose, classiche del cane abituato a vivere in campagna.
Un grosso prepuzio peloso che avrebbe fatto pensare ad un altrettanto grosso pene.
Un bel paio di testicoli pendevano tra le sue cosce sballottando a destra e sinistra quando si spostava camminando di qua e di là per l'aia.
Ma purtroppo, a causa del fatto che lo avevo conosciuto da cucciolo, lo vedevo più come uno di famiglia che come un possibile amante.
Quel giorno però, dovetti scoprire che le cose stavano per cambiare.
Della mia passione per gli animali, per il sesso degli animali intendo, vi ho già raccontato.
Certo ora in rete si trova di tutto, ed è relativamente facile reperire immagini o filmati di donne che si fanno scopare da cani di qualsiasi razza, da cavalli e addirittura da maiali.
Ma alla fine degli anni settanta internet non esisteva, e tutto quello che avevo imparato, lo avevo visto sul campo, o meglio nelle varie cascine che si trovavano intorno a quella dei miei nonni paterni, dove passavo tutte le mie estati da quando ero una bambina.
Anche quella lontana estate dei miei diciassette anni ero da loro e mi godevo senza pensieri i mesi di vacanza.
Passavo la maggior parte delle giornate aiutando la nonna, andando a spiare i vari animali che si trovavano nelle fattorie vicine o facendo delle lunghe passeggiate nei campi.
In genere quando partivo per una passeggiata mi facevo accompagnare da Faust, un po' per la sicurezza che mi dava essere con lui, ma anche per avere compagnia.
Ci divertivamo sempre un sacco insieme io e Faust, lui correva avanti e poi tornava da me come per dirmi "sei proprio una lumaca".
Alcune volte andavamo ad esplorare le rive di una specie di canale di irrigazione che passava li vicino.
Faust faceva gli agguati alle rane o ai roditori e a volte ne catturava qualcuno, che poi mi portava tutto fiero perché gli facessi i complimenti.
Allora mi congratulavo con lui dandogli delle pacche sulle spalle e magari ci scappava anche un bacio.
A volte, quando faceva particolarmente caldo, soprattutto nel pomeriggio, Faust si buttava in acqua per rinfrescarsi, poi usciva e si scrollava l'acqua di dosso come fanno i cani, bagnandomi tutta e facendomi urlare e ridere come una matta.
La volta che le cose tra noi cambiarono cominciò proprio così.
Quel giorno indossavo un leggero vestitino blu scuro a fiorellini bianchi, lo reggevano due spalline di filo intrecciato, era molto corto e quando camminavo rischiavo di mettere in mostra le mie innocenti mutandine da liceale di cotone bianco.
Ai piedi calzavo un paio di semplici infradito in cuoio che i miei genitori mi avevo comperato in Grecia l'anno prima.
I capelli biondi e sottili erano raccolti in due piccole treccine ai lati della testa.
Faceva un caldo fottuto e non tirava un filo d'aria.
Dopo una camminata di più di un'ora arrivammo finalmente al famoso canale.
Faust che ormai aveva un metro di lingua che gli penzolava fuori dalle fauci corse avanti e si buttò nell'acqua fresca con un tuffo da vero olimpionico.
Io, ero stanca più di lui, lo raggiunsi con calma, mi sciacquai la faccia con l'acqua fresca e mi sedetti nell'erba a guardarlo giocare, riposandomi sotto le fronde di un salice piangente.
Mi stavo infilando delle pratoline nei capelli quando vidi che Faust si era fermato con le zampe nell'acqua e mi guardava con la testa un po' inclinata da un lato, come se pensasse o progettasse qualcosa, poi con due lunghi balzi mi raggiunse sulla sponda e senza darmi il tempo di schermarmi si scrollò energicamente.
Ovviamente mi bagnò tutta e mi fece ridere e urlare per lo shock termico che l'acqua ghiacciata provocò sulla mia pelle accaldata.
La cosa dovette divertirlo molto perché mi balzò addosso tutto fradicio cominciando a leccarmi la faccia, e bagnandomi ancora di più.
Aveva il classico odore di cane bagnato, ma la cosa non mi dava fastidio, amavo il suo odore.
Lo allontanai con i piedi ridendo e lui tornò alla carica, cominciammo a fare questo gioco di finti assalti e respinte che gli piaceva sempre e ci rotolammo all'ombra dei rami del salice, nell'erba ormai fradicia.
Questa volta qualcosa però girava in modo diverso dal solito, più allontanavo Faust più lui si eccitava.
Sembrava che i suoi assalti fossero meno spensierati e assai più focosi del solito.
Sarà stata la calura estiva, sarà stato che probabilmente la mia passerina emanava degli odori particolari dovuti forse al fatto che fossi in piena ovulazione, fatto sta che ad un tratto vidi che il suo pene rosa faceva capolino tra il pelo sotto la pancia.
Faust si fermò a guardarmi tutto teso con la lingua di fuori, e fu allora che per la prima volta lo guardai con degli occhi diversi.
Passavo i miei pomeriggi girando come una cretina per tutte le cascine del vicinato nella speranza di trovare un animale maschio e non mi ero mai accorta di aver sempre avuto a portata di mano il più cane più sexy del mondo!
Lo guardai meglio sotto la pancia, come diamine avevo potuto non accorgermi di quanto fosse dotato, un grosso pacco ricoperto di corta pelliccia e un bel paio di testicoli gli penzolavano virilmente tra le cosce possenti.
Che stupida oca ero stata.
Mi sfilai dalla testa il leggero vestitino a fiori, lo gettai a un metro da me e mi avvicinai a Faust muovendomi a carponi, lui drizzò le orecchie e mi guardò perplesso poi fece un balzo verso di me e cominciò a leccarmi la faccia tutto esaltato.
Lo respinsi con uno spintone e Faust tornò alla carica, lo respinsi ancora ridendo cominciando ad eccitarmi anche io.
Adesso era chiaro che il nostro gioco, da innocente che era sempre stato, si stava caricando di tutt'altro significato.
Faust mi girava intorno come fosse uno squalo, cercando il modo per montarmi, si approcciava provando a saltarmi in groppa, ma io mi divincolavo e lo respingevo con le mani e con i piedi, con il risultato di eccitarlo sempre di più.
Il suo pene rosso e lucido ormai era mezzo fuoriuscito dalla guaina di pelliccia e dalla sua punta partivano ritmicamente degli schizzi di liquido trasparente che mi colpivano, le braccia o le gambe nude.
Erano caldi e vagamente vischiosi.
Nella immobile calura pomeridiana potevo chiaramente sentire l'odore acre e pungente di questa sua eccitazione umida.
E se io potevo sentire l'odore del suo sesso immaginavo cosa non potesse captare il suo sensibile olfatto canino degli odori che producevo io: il sudore che traspirava dai pori della mia pelle accaldata, i feromoni che io non potevo percepire ma che la mia ovulazione sicuramente produceva, per non parlare degli umori mielosi che colavano sempre più copiosi dalla mia fichetta eccitata.
Doveva essere un vero supplizio per il mio povero amico.
Forse era ora che lo lasciassi avvicinare, ma non mi sentivo ancora pronta per essere montata, così mi appoggiai di schiena sull'erba e lasciai che tuffasse il suo muso caldo e bavoso tra le mie cosce.
Oddio! sentire il suo naso umido che spingeva contro il mio sesso e frugava forsennatamente cercando di arrivarci attraverso le mutandine.
Non avevo mai provato niente di così arrapante e libidinoso.
mi abbandonai per qualche secondo alla sua scatenata ricerca mordendomi una mano per non urlare, poi allontanandogli a fatica la testa mi sfilai le mutandine ormai fradice dalle gambe e rimasi completamente nuda, offrendo per la prima volta nella mia vita la mia fica alla bocca di un altro essere, in questo caso di un cane.
Faust impazzì di gioia, era famelico, scatenato, la sua bocca sbavante, la sua lingua fremente, umida e calda mi portarono in breve al settimo cielo.
Lui leccava avidamente ed io mugolavo e guaivo come una cagnolina in calore.
Stavo godendo da morire, se queste erano le premesse del fare sesso con un cane, non osavo pensare a cosa sarebbe stato scoparci veramente.
Faust continuava a leccarmi come un forsennato, come se volesse mangiarmi la figa, spingeva col naso per allargare le labbra cercando di andare sempre più a fondo con la lingua, e ci andava, la sua lingua si insinuava in profondità del mio sesso che non avevo mai nemmeno raggiunto con le dita quando mi masturbavo.

Sentivo che stava per arrivare un orgasmo, lo sentivo arrivare da come mi formicolavano le dita dei piedi, e infatti arrivò, il formicolio risalì rapido lungo i polpacci e le cosce e come una mazzata mi scosse da capo a piedi, mentre la sua lingua bollente raggiungeva profondità del mio essere donna che non avevo mai neppure sognato di avere, una serie di lampi mi esplose nel cervello e urlai, quasi spaventata dal piacere che stavo provando, singhiozzai per la tensione appena esplosa, cercando di fermare le leccate di Faust, ma lui non ne voleva assolutamente sapere, sempre più infoiato dagli umori che nel momento dell'orgasmo avevo prodotto non la smetteva di assaltarmi con quella sua lingua bollente.

Mi girai sulla pancia, sulle ginocchia e alzai il sedere in modo da metterlo all'altezza del suo muso, Faust continuò con le sue leccate per lubrificarmi a dovere e poi mi zompò in groppa.

Non mi sentivo ancora pronta per un rapporto sessuale completo, e soprattutto non mi sentivo pronta a perdere la mia verginità.
Per fortuna il suo pene non riusciva a trovare la giusta angolazione, nonostante i mille tentativi, la punta della sua cappella agitata convulsamente sbatteva con colpi casuali contro i miei glutei o contro la mia figa, ma non riusciva a spingere nel punto giusto per farsi largo tra le labbra della vagina.

Faust saltò giù per l'ennesima volta, mi leccò nuovamente la passera, si leccò il cazzo venato e sempre più rosso e riprovò a montarmi, a questo punto, per evitare che finalmente trovasse la strada giusta e mi deflorasse, presi la sua cappella con una mano e me la indirizzai tra le cosce, lui ebbe la percezione di avermi finalmente penetrata, perché si mise a spingere coi lombi come un forsennato, col cazzo che andava e veniva in mezzo alle mie gambe.
Mi stava scopando come fossi una cagna, o almeno questo era quello che credeva.
Andò avanti in questa copula simulata per una decina di minuti, poi il nodo che aveva alla base del cazzo si ingrossò ancora mentre passava per un ultima volta a fatica tra le mie cosce, sempre più bagnate del suo seme, finché non lo senti fermarsi, ormai gonfio oltre ogni limite, cominciò a pulsare ritmicamente e finalmente il primo getto di sborra bollente schizzò e mi colpì la base delle tette, e poi un altro e un altro ancora, sempre più forti, caldi densi e odorosi.
Dopo una trentina di secondi il pulsare e gli schizzi diminuirono di frequenza e intensità e infine cessarono del tutto.
Allargai le cosce e lui si staccò facilmente smontando dalla mia schiena.
Col cazzo ancora gonfio mi leccò ben bene le figa, mangiandosi lo sperma che mi colava dalle cosce fradice e dandosi alternativamente qualche leccata all'attrezzo, come volesse ripulirlo.
Poi grazie al cielo si chetò.
La testa mi girava, mi sentivo sporca e appiccicosa.
Mi gettai nell'acqua fresca per lavarmi di dosso tutto quel seme appiccicoso e quella bava odoranti di cane, di sesso, di proibito.
Uscii e mi sdraiai al sole, Faust si venne ad accucciare di fianco a me ancora ansimante.
Riposammo esausti una buona mezzora prima di essere in grado di rimetterci in marcia verso casa, il sole era ancora caldo, arrivammo alla cascina dei nonni stanchi morti, lo legai alla sua lunga catena e sperando di non incontrare la nonna corsi a farmi una bella doccia.
Mi lavai come una forsennata, cercando di eliminare al meglio ogni traccia degli umori e degli afrori pungenti del cane, del suo pene, della sua sborra.
Sotto il getto di acqua calda pensai alla pazzia che avevo fatto e a quanto era stato bello.
Una volta uscita ed asciutta mi sembrava che l'odore di Faust persistesse sulla mia pelle arrossata e ancora irritata dalla ruvidezza del suo pelo.
Mi passai una pomata lenitiva sui graffi che le sue unghie avevano lasciato sui miei fianchi durante i focosi assalti e mi misi una leggera tuta di cotone per evitare che si vedessero.
Avevo il terrore che i nonni potessero percepire qualcosa, soprattutto la nonna che era dotata di antenne speciali.
Ma per fortuna non si accorsero di nulla e dopo cena mi rifugiai rapidamente nella mia cameretta al piano superiore.
Quella notte in camera, sdraiata nel mio lettino, mentre i grilli coloravano con i loro friniti l'aria calda e immobile, non riuscivo a prendere sonno, esaltata ed eccitata come non mai, mi torturavo la povera passerina, rivivendo sotto il leggero lenzuolo le meravigliose scene che avevo vissuto nel pomeriggio.
Con gli occhi della mente vedevo il venoso cazzo di Faust, vibrante di eccitazione che mi sfregava tra le cosce, umide dei miei e dei suoi umori, mentre lui mi serrava in una morsa poderosa tra le zampe anteriori e cercava di fottermi come un forsennato.
Decisi che non potevo addormentarmi senza dargli la buonanotte, così scesi quatta-quatta la scala di pietra grezza, uscii in cortile e mi avvicinai silenziosa a Faust, lui vigile come sempre mi attendeva sveglio, sembrava aspettarmi e mi fece delle feste incredibili, lo baciai sulla bocca e gli sussurrai nelle orecchie che presto avremmo fatto veramente l'amore.
Ormai lo avevo trovato e non lo avrei più lasciato andare. (continua)

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