L'ora tarda 1

di
genere
orge

Erano stati 40 anni di amore. Quello che si dice un matrimonio riuscito, nonostante i 18 anni di differenza di età. Lo avevo conosciuto all’università: il mio primo esame. Lui di là, a spiegare i tanti perché e le tante formule, io di qua a prendere appunti. Sei mesi di corso e poi l’esame: l’unico sentimento che provavo nei suoi confronti era paura, anzi angoscia. Aveva solo 37 anni, ma era già un luminare: qualcuno diceva che sarebbe arrivato al Nobel con le sue ricerche!
“Signorina, come prima cosa le chiedo di smettere di tremare e di avere quello sguardo allucinato! Non sarò un Adone, ma finora non ho mangiato nessuno. Facciamo così: ci prendiamo 5 minuti 5, ci facciamo portare un caffè e poi riprendiamo!” mi lasciai sfuggire un sorriso.
Superai l’esame brillantemente, ma i nostri occhi non riuscirono a lasciarsi più: fui io a cercarlo, non ricordo più con quale scusa, ma ricordo che lui mi invitò a parlarne davanti ad una birra e, siccome il discorso si fece lungo, ci facemmo portare anche una pizza.
La cosa più difficile fu dirlo ai miei, per la differenza d’età.
Mi laureai col massimo dei voti: mi piaceva la materia, ma ancor più non volevo far fare brutta figura a lui.
Non lavorai un solo giorno.
O meglio: lavorai sempre per lui, accompagnandolo ai convegni in tutte le parti del mondo, anche dopo la nascita dei nostri due figli.
Poi i figli crebbero, costruirono la loro vita lontano dall’Italia, tanto lontano e, otto mesi fa, anche lui ha deciso di andare via, di notte, in silenzio. Al mattino al mio fianco c’era il suo corpo, ma lui non più!
Mi aveva lasciata! Ricca sfondata, ma sola a sessantadue anni.
Non avevo preoccupazioni di sorta: avrei potuto prendere della servitù, ma mi sentivo ancora giovane e volevo vivere. Mi imposi, quindi, di ricominciare ad uscire. Per una alla mia età, cosa meglio del fare la spesa? Certo: avevo anche altri interessi, ma scelsi di fare la mia piccola spesa tutti i giorni, senza accumulare provviste.
All’ingresso, Franck mi dava il suo buongiorno tutte le mattine. Lui non chiedeva l’elemosina: la accettava se tu gliela proponevi, in silenzio, a testa bassa, ringraziava con un sorriso.
Un giorno, tre mesi fa, mentre mi aggiravo tra i banche dell’ortofrutta, sentì un dolore lancinante al petto. Poi ricordo solo il buio, fino al bianco latte dell’ospedale in cui mi ero risvegliata, con indosso solo il camicione della UTIC, entrambe le braccia occupate da aghi e braccioli vari, il saturi metro al dito e il terribile cicalio delle macchine intorno a me.
“Bentornata nel mondo dei vivi, dottoressa!” fu il saluto del medico che mi si avvicinò. “Si ricordi di ringraziare il moretto del supermercato: senza di lui ed il suo massaggio cardiaco il nostro intervento sarebbe stato inutile.”
Me ne ricordai appena uscita dall’ospedale.
Mi venne incontro:
“Signora, è bello rivederla!”
“Pare che sia merito tuo!”
“Ho fatto solo quel che potevo!”
La spesa passò in secondo piano: volli sapere come conoscesse la pratica del massaggio cardiaco e fu così che scoprì che Franck era laureato in medicina, ma che la sua laurea, presa in Camerun, non aveva valore qui in Italia, se non fosse stata confermata. Mi appassionai al suo racconto e mi accorsi di quanto poco sapevo di una persona che vedevo tutti i giorni.
Mi raccontò della sua baracca, della necessità di usare il bagno di un bar vicino il cui proprietario, di buon cuore, gli permetteva anche di far la doccia a casa sua.
“Ora è il mio turno di far qualcosa per te!” dissi. “Abito in una casa che per me è troppo grande e vuota. Verrai a stare da me!”
“Non posso!” la sua risposta era disarmante.
“Perché?”
“Nella baracca, vivo con mio fratello. Ha 18 anni e non posso lascarlo da solo.”
“Vorrà dire che verrete entrambi!”
“Non deve sentirsi obbligata, signora!”
“Non sei tu che devi dirmi cosa fare. Io ho un tetto troppo grande ed a voi ne serve uno: non c’è nulla di cui discutere.”
Si trasferirono a casa mia in serata. Louis, il fratello di Franck, aveva il corpo di un uomo, ma il volto acerbo di un ragazzino. Era gentile ed educato come il fratello. Non parlava l’italiano nel modo corretto del fratello, ma se la cavava sia a capire che a farsi capire.

Volevo solo sdebitarmi, saldare il mio debito di riconoscenza. Ma la situazione precipitò poche ore dopo che i due giovani si erano sistemati in casa mia.
Passando davanti alla porta del bagno, casualmente il mio sguardo si intrufolò nello spiraglio di quella porta accostata. Riflesso nello specchio, potei vedere Franck, appena uscito dalla doccia, con un accappatoio vecchio di mio figlio addosso, aperto. Gli addominali scolpiti furono un richiamo forte e mi fermai ad osservarlo, scendendo lentamente lungo quel corpo di ebano lucido. Un’espressione di sorpresa mi sfuggì dalle labbra, quando i miei occhi si posarono sul suo bacino: un enorme randello di carne penzolava tra le gambe. Improvvisamente, il mio essere femmina si risvegliò: desideri sopiti da un tempo lunghissimo (mio marito aveva perso di virilità già molto tempo prima di morire) si ridestarono prepotenti e incontrollabili. Mi sembrava di sentire la mia gattina pulsare come ai bei tempi andati.
Mi costrinsi a distogliere lo sguardo ed a proseguire per la mia strada.
Cenammo, guardammo un po’ di televisione e mi commossi quando sottolinearono quale grande novità fosse per loro quella tranquilla normalità.
Poi andammo a letto: io nella mia camera e loro in una accanto, che un tempo era stata di mio figlio maschio. Ma il letto non mi diede riposo. Il mio pensiero tornò a quel che avevo visto e il ricordo si tramutò in desiderio. Cominciai a toccarmi tra le gambe, a sgrillettarmi: ma nulla serviva ad appagarmi. Mi addormentai sfinita dal desiderio.
Ma nel cuore della notte mi svegliai, scossa da una mano forte: la luce sul mio comodino era accesa e Franck era in piedi accanto al letto, chinato su di me.
“Franck! Che ci fai qui?”
“Signora, ti lamentavi e mi chiamavi. Ho avuto paura che non stessi bene: ora torno a letto, se è tutto a posto.”
“S’, certo! È tutto a posto.”
“Meglio così! Perdonami se sono entrato nella tua camera. Comunque se hai bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa, chiamami!”
Aveva calcato l’accento su quel “qualsiasi cosa”, o cosa mi era sembrato.
“D’accordo, grazie!”
Si allontanò in direzione della porta.
“Franck!”
“Sì, signora?”
Tentennai un’ultima volta, poi cedetti al comando della fica, che reclamava giustizia.
“Qualsiasi cosa?”
“Qualsiasi, signora!”
“Ti andrebbe di dormire con me!”
“Questa è la cosa che più speravo mi chiedessi!”
“Dici davvero?”
“Puoi giurarci, signora!”
“Non sono troppo vecchia?”
“Sai cosa non ti ho detto? Quando ti ho fatto il massaggio, ho aperto la tua camicia e, se fossi stato solo, avrei baciato quel seno stupendo!”
Il seno, in effetti, è la parte del mio corpo che più attira l’attenzione: un’ottava piena.
“Ti piacciono le mie bocce?”
“Le divorerei!”
“Ti conviene cominciare, allora! Ti ci vorrà tempo.”
“E tu, invece?”
“Io….”la sua lingua sul mio capezzolo mi tolse il respiro. Non ricordavo più quali sensazioni potesse dare il corpo di un uomo steso accanto al mio. La mia mano scivolò a cercare quello, la cui visione aveva dato inizio a tutto. Quel che prima penzolava moscio, ora si ergeva duro e minaccioso. Ed ancora più grande! La sua minaccia non mi faceva paura, faceva solo crescere il mio desiderio. E mi spingeva a superare ogni confine di pudore, per naufragare in un baratro di lussuria. Mai avrei pensato che i miei freni inibitori fossero così labili, che avessi una tale inclinazione alla troiaggine. Ed ero solo all’inizio.
“Io non ho mai visto un bastone così lungo, così largo, così duro! Lo voglio sentire dentro.”
“E’ un dono di famiglia, signora!”
“Agata! Chiamami Agata. Vuoi dire che anche tuo fratello…” parlavo, mentre la mia mano scivolava sul suo cazzo, restituendomi sensazioni sublimi. Avevo le cosce larghe e sentivo le lenzuola sotto di me inumidirsi dei miei umori.
“A casa e tra amici lo chiamiamo Dumbo!”
“Chi? Louis?”
“Sì! Come l’elefantino.”
“Perché?”
“Non lo immagini!”
“Vuoi dire…? Più di te?”
“Molto più?”
Dovetti fare una faccia piena di meraviglia, tanto che continuò:
“Non ci credi?”
“Sinceramente? No1”
“Vuoi vedere?”
“Perché no?”
Lo guardai, mentre si avviava a chiamare il fratello. Il suo corpo tonico e armonioso esaltava le dimensioni di quel tronco di carne che presto sarebbe stato mio. Quando tornò, seguito da suo fratello, aveva la mano sull’uccello e se lo menava.
“Forza, Louis! Agata ci vuole ospitare, stasera.”
Il fratello non se lo fece ripetere. Cominciò sfilando la maglietta: il suo corpo acerbo contrastava con quello maturo e muscoloso di Franck. Lo guardavo spogliarsi, con l’indice in bocca, mentre Franck si era steso di nuovo accanto a me. Sentivo il suo cazzo appoggiato sulla mia coscia, ma ora volevo vedere cosa nascondeva nelle mutande Louis. In verità, qualcosa si poteva già immaginare, ma non quello che scoprì un attimo dopo. Abbassò gli slip, piegandosi in avanti e rendendo, quindi, difficile fare una valutazione. Ma quando si rialzò, fin quasi alle ginocchia, le gambe erano tre. Con gli occhi pieni di stupore, mi voltai verso Franck: era ora! Lo bacia sulla bocca, infilandogli la lingua ben a fondo, mentre con la mano invitavo il fratello ad avvicinarsi. Ora volevo prendere la mazza di Lois in bocca, volevo sentirla diventare dura sotto la mia lingua. Con i suoi coglioni in mano, mi portai la cappella alla bocca e la ingoiai: avrei voluto prenderlo tutto, ma molto più della metò rimase fuori, per quanto mi sforzassi, fino al punto di avvertire i conati con cui la mia gola cercava di espellerlo, contro la mia volontà.
“Non ti dimenticherai di me?” protestò Franck e per tutta risposta, senza lasciare il cazzo di Louis, mi girai sul fianco, offrendogli la visione del mio culo e della mia fica, oscenamente offerta a lui, perché ne facesse ciò che voleva, purché mi facesse godere. Non ebbe bisogno d’altro e il suo cazzo, che si faceva spazio dentro di me, mi eccitò ancora di più, sollecitandomi ad impegnarmi ancora di più su quel tarello pulsante che si manifestava così contento della mia bocca. Il cazzo di Franck mi pulsava nella fica, quello di Louis batteva nella mia bocca. Ero felice, come da tanto non lo ero più. Louis si irrigidì, provò a ritrarsi, ma io volevo il suo seme giovane in bocca. Volevo sentirlo scendere nella mia gola, denso, caldo. Ed era proprio come lo aspettavo: un sorso infinito di sborra si riversò nella mia bocca e strinsi forte le labbra intorno al suo cazzo, per evitare che qualcosa potesse andar perduto, mentre, rischiando di soffocare, deglutivo quel meraviglioso nettare dal sapore acidulo. Godendomi il ritmo di Franck, che aveva preso a spingere più forte e più veloce, fino ad inondarmi l’utero. Mi asciugai con i pantaloni del mio pigiama e feci posto a Louis nel letto.
“Abbiamo tempo domattina per dormire! Che ne dite di un bis?”
Avevo già le loro teste sui miei seni, a martoriare di morsi e suzioni i miei capezzoli. Avevo un arretrato enorme da soddisfare e sapevo di aver trovato le persone giuste. Invertì i ruoli, prendendo in bocca il cazzo di Franck ed offrendo la fica a Louis alla pecorina. Doveva tendere le braccia in avanti per aggrapparsi alle mie chiappe, mentre la cappella sbatteva sulle pareti dell’utero, con gran parte del cazzo costretto a star fuori.
Ad un tratto, Louis si fermò.
“Tu non ancora baciato me!”
“Rimedio subito, amore!” risposi, lasciando il cazzo del fratello e, tirandomi sulle ginocchia, mi voltai verso di lui e lo baciai.
“Noi pisello grande, tu tette grandi! Così è bello!”
“Ho anche una fica grande! Proviamo a farli entrare tutti e due?”
Franck si stese sotto e fece scivolare il suo cazzo nella mia fica. Louis, in piedi davanti al letto, si fece spazio: avevo la fica spalancata a dismisura e godevo. E l’unica cosa che riuscivo a pensare era che ne avrei voluto ancora e che avrei avuto tante volte l’occasione di rifarlo. Mi pomparono a lungo, ma quando sentì che si avvicinava il momento, volli essere troia fino in fondo e bere tutta la loro sborra. Il pieno fino al mattino dopo, quando al risveglio ero sicura mi avrebbero festeggiata ancora.


di
scritto il
2018-02-04
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