L'amica di famiglia

Scritto da , il 2011-02-22, genere tradimenti

Ma quella la conosco, mi dico notando una signora di una certa età, che in quel momento mi dà le spalle. Siamo nell’anticamera di uno studio medico: lei sta parlando con la segretaria al banco accettazione.
“Signora Maria, che piacere vederla, come mai da queste parti?”
Le solite frasi banali di introduzione a un incontro occasionale.
“Antonio, caro, è vero: da quanto tempo non ci si incontra? da quando sei andato a vivere da solo….”
Due anni fa ho piantato l’Università e mi sono messo a lavorare. Sono un consulente finanziario. Con i primi guadagni e l’aiuto – a denti stretti - dei miei ho affittato un bivani, in un quartiere che sta dall’altra parte della città rispetto alla casa dove sono nato.
“Abiti da queste parti se non sbaglio…”
“Sì, a poche centinaia di metri. In questa zona ho molti clienti.”
“Il lavoro va bene, quindi…
“Non mi lamento. Il portafoglio è discreto. Guadagno già abbastanza.”
“Tua madre parla sempre di te. Così giovane, ma hai già successo…”
Ho venticinque anni, un appartamento mio, la macchina, un conto in banca che comincia a crescere, un fisico sportivo, non faccio fatica a rimorchiare: sì, in questo momento vado alla grande!
“Ma come mai sei qui?”
“Devo fare fisioterapia: mi sono stirato un tendine giocando a tennis. Ma lei, piuttosto, cosa ci fa in questo centro? E’ lontano da dove abita…”
“Mi hanno consigliato questo posto: devo fare delle applicazioni laser sulla pelle. Noi vecchietti….” ride.
“Bè, allora, arrivederci, ci rivedremo qui se gli orari coincidono.”
Sorride: “sì, a quanto pare sono gli stessi. Ciao.”

E’ davvero passato molto tempo da quando l’ho vista l’ultima volta, sicuramente a casa dei miei. Lei e il marito, che è un medico e che più grande di lei, sono vecchi amici dei miei genitori: per quanto vada in là con la memoria, hanno sempre frequentato casa nostra con una certa assiduità, anche se non li definirei intimi. Sono benestanti e senza figli
Lei ha qualche anno più di mia madre, diciamo 55. Non mi pare sia cambiata molto in questi anni. E’ una donna di classe, sempre curata e composta. Bassina, con un fisico minuto. Non sono mai stato in confidenza con lei, ma, fra le amiche di mia madre, l’ho sempre considerata la meno antipatica.

Torniamo a incontrarci qualche giorno dopo nello stesso modo.
La noto io per primo e mi avvicino salutandola: “Buon giorno”. “Buon giorno a te, come va?” “Mi fa un po’ male il polso”, dico con una smorfia, ruotandolo. “D’altra parte, spero che un po’ di dolore significhi che la fisioterapia fa effetto.” “Non ti preoccupare, un ragazzo sano come te torna a posto in un baleno.”
La signora Maria mi osserva: “Ma come sei elegante!”.
Ho un blazer blu, pantaloni grigi, camicia e cravatta. “Sa. è per il lavoro. Vado a trovare i clienti nelle loro case, devo presentarmi con un abbigliamento formale.” “Stai molto bene. E pensare che eri un ragazzino tutto sbrindellato.” dice ridendo.
Questo commento mi fa un po’ arrossire. Cerco di dare l’immagine del giovane professionista in carriera, ma temo di apparire un po’ ridicolo agli occhi di questa donna che mi ha visto crescere.
“Ho un appuntamento fra mezz’ora. Posso offrirle un caffè?” “Perché no?”
La scorto a un bar poco distante. Ci sono i tavolini così ci sediamo, uno di fronte all’altro.
Ha uno strano, enigmatico sorriso. La scruto interrogativo: “Perché sorride?” “Niente, Penso a quanto sei diventato diverso. Ora che sei un bel giovanotto, mi è difficile dimenticare quando eri un bambino.”
“Spero di non averla delusa, crescendo” “Assolutamente no. Un uomo fatto, disinvolto, con una posizione, anche bello. Non avevo dubbi che lo saresti diventato, ma mi fa lo stesso effetto adesso che ti ho davanti.”
Rido per nascondere il leggero rossore che mi imporpora il viso. Non se ne sarà accorta, ma la signora Maria mi ha fatto due complimenti in due frasi. “Lei è troppo buona…”
La guardo. Porta con nonchalance i capelli con riflessi d’argento, un po’ corti, che non le arrivano a toccar le spalle Sul viso, truccato con leggerezza, le rughe si vedono, intorno agli occhi, alle labbra, sul collo e sotto il mento, ma vi campeggiano un paio di vivacissimi occhi azzurri. Indossa un tailleur impeccabile, giacchino con reverse, camicetta, gonna, calze scure e scarpe a punta con i tacchi. La sua immagine conferma il mio ricordo di una donna sempre vestita con gusto inappuntabile. Ma, non potendo evitare di guardarle dato il modo in cui le ha incrociate accavallandole, scopro invece sorpreso che ha delle gambe piuttosto belle: insospettabilmente ancora snelle e tornite, dalle caviglie alle ginocchia appena scoperte dall’orlo della gonna. Come estimatore delle gambe femminili mi rallegro che la moda consenta anche alle signore di mezza età di indossare gonne al ginocchio.
Chiacchieriamo di banalità per un bel po’ e mi ritrovo a cambiare giudizio: piuttosto che “meno antipatica” la signora Maria è decisamente simpatica e allegra, con quella sua voce sottile e la risata che sembra il trillo di un campanello. Con lei si conversa piacevolmente, visto che a un certo punto mi accorgo di essere in ritardo per il mio appuntamento di lavoro.
“Devo proprio scappare” le dico. “Certo. D’accordo. Continuiamo la conversazione un’altra volta, visto che ci vediamo spesso adesso…” dice indicando lo sguardo l’ambulatorio poco distante.
Pago il conto e con galanteria le tengo la sedia mentre si alza. “Grazie, sei anche un giovane beneducato. Un fiore raro.”

Un paio di giorni dopo, uscendo dalla mia seduta, non la vedo ma la segretaria, che mi conosce, mi porge un foglio ripiegato dicendo: “Lo ha lasciato una signora per lei”.
Nel biglietto c’è scritto: “Mi hanno spostato la seduta che adesso finisce prima. Ti ho aspettato per un po’ ma devo andar via. Alla prossima. Maria”
Gentile a lasciarmi il messaggio, mi dico lì per lì. Però me ne chiedo il perché, poiché non mi sembrava che ci fossimo dati un appuntamento preciso.

La seduta successiva me la trovo, infatti, che mi attende nella sala d’aspetto. “E’ stata molto gentile ad aspettarmi”, esordisco io educatamente, e poi ricordando il biglietto, “ma non doveva sentirsi in obbligo”. “Nessun obbligo. Mi faceva piacere vederti. Non è che abbia appuntamenti di lavoro, io. Una volta che arrivo fin quaggiù la mattinata è bella e persa.”
Mi seggo vicino a lei. Noto subito che è più truccata dell’altra volta. “Ho ingannato il tempo leggendo questo” e mi porge un opuscolo sul Viagra. “Bè, pare che sia efficace per chi ha dei problemi” esclamo tanto per dire qualcosa. “Potrei provarlo con mio marito. Ma dubito degli effetti: in amore ci vuole la voglia, oltre la …. meccanica.” Lo dice abbassando per un attimo lo sguardo.
Quella improvvisa confidenza, peraltro detta con tono naturalissimo di chi dica cosa ovvia e risaputa, mi spiazza. Certo, mi dico: il marito dovrebbe avere settantanni, un’età in cui è probabile essere già in disarmo.
Non sapendo cosa dire, svio il discorso: “Non le ho mai chiesto come fa ad arrivare quaggiù da casa sua. E’ lui che l’accompagna?” “No, no. Prendo i mezzi pubblici o altrimenti un taxi.” “Ho qui la macchina: dovrei andare verso le sue parti. Vuole che l’accompagni?” “Saresti molto gentile, ma non devi disturbarti.” “Nessun disturbo.” “Sono sicura che allunghi di molto per essere carino con me”
In realtà ha ragione: ho un appuntamento di lavoro, è vero, ma portarla a casa significa fare un giro lunghissimo. Tuttavia insisto: sarà stato quel fugace accenno ai problemi con il marito, ma ho proprio desiderio di farle una gentilezza. “Accetto solo perché ho piacere di stare in tua compagnia” dice alla fine. Una frase educata, ma il tono sembra convinto e scopro che mi fa piacere pensare che sia vero.
Uscendo le tengo aperta la porta a vetri dell’ambulatorio e, nel passare, per un attimo la mia mano si ferma sulla sua schiena. Al contatto, per quanto istantaneo, ho come un tuffo al cuore, un brivido elettrico lungo la schiena.
Alla macchina, apro la portiera aspettando che lei si accomodi. Non posso fare a meno di notare che la gonna è forse anche più corta dell’altra volta e nel sedersi le ginocchia, velate di nylon blu scuro, restano scoperte.
“Però la signora Maria alla sua età si sente il coraggio sfoggiare una quasi minigonna!” penso fra me e me sorridendo facendo il giro della macchina per entrare al posto di guida.
“Un giovane come te per fortuna non sa che farsene” dice all’improvviso. “Di cosa?” “Del Viagra, no?”
La conversazione di pochi attimi prima mi è già uscita di mente, diversamente da lei, evidentemente. Che posso rispondere? Un po’ imbarazzato me ne esco con una banalità: “Fino a una certa età le funzioni sono integre, poi declinano.” “Per voi uomini”, ribatte pronta, “per le donne non cambia niente, anzi in alcuni casi il fisico è anche più vitale.”
Strani discorsi, mi vien da pensare. Che vorrà dire ? Che sia insoddisfatta del marito? Ma perché lo viene a raccontare a me?
Turbato e dubbioso, cambio ancora una volta discorso: “Ecco, stiamo passando proprio sotto il mio appartamento. E’ qui”, indico un portone, “al secondo piano.”
“Il tuo rifugio” commenta poi mi chiede com’è. Per un po’ le spiego com’è composto e parliamo di metri quadri, di affitti, di case e quartieri dove vivere.
Parlando con lei ogni tanto mi volto a guardarla. Sarà che nella mia coupè i sedili sono molto inclinati, ma lei ha assunto una posizione quasi sdraiata: la cosa non mi interesserebbe, se così la gonna non fosse risalita abbondantemente sopra le ginocchia. “Se vuole può raddrizzare lo schienale” “No, no, sto comodissima in questa macchina” risponde e, anzi, si mette ancora più comoda con il risultato che la gonna risale un po’ di più. Lei riporta prontamente l’orlo giù, ma non tanto velocemente da non avermi fatto intravedere una striscia appena più scura della calza, indizio che mi fa subito pensare che la signora Maria non indossi collant.
“Tua madre ti viene a trovare spesso?” L’improvvisa introduzione di quella nota mi distoglie da pensieri potenzialmente compromettenti.
“All’inizio sì: era convinta che da solo non me la sarei cavata, così cercava di capitare con ogni pretesto. Ma le ho detto di smetterla e di lasciarmi la mia libertà.” “La libertà! Per voi ragazzi significa fare ciò che vi pare e piace. Ai nostri tempi la parola libertà nemmeno esisteva.” “Non faccio niente di speciale. Ma non devo rendere conto ai miei di tutto quel che faccio, tutto qui.”
“Eh! non voglio nemmeno pensare a come la usi la tua libertà! Povera donna!” “Povera donna, chi?” “Tua madre! E’ sempre preoccupata per te. Mi fa ridere perché è convinta che tu viva più o meno allo stato selvaggio.” “Ah bene! allora ridete alle mie spalle.” Non abbandono il tono divertito, ma questa idea, che si pensi che non sia capace di mandare avanti una casa in realtà mi irrita terribilmente. “Pensa anche lei che casa mia sia infestata da ragni e scarafaggi - riprendo a dire dopo un poco - e che i cassetti trabocchino di biancheria sporca?”
La signora Maria, che si era persa a guardare attraverso il finestrino il traffico mattutino, si gira a guardarmi, me ne accorgo con la coda dell’occhio. “No,” dice improvvisamente più seria, “non lo penso. E non lo pensa nemmeno tua madre. E’ che a noi donne piace sapere che voi dipendete da noi. Per sentirci sempre un po’ mamme.”
“Comunque,” aggiunge, “a giudicare da come è ben stirata la tua camicia o sei un bravo uomo di casa o c’è una mano femminile dietro.” “No,” scuoto la testa, “nessuna donna mette le mani nei miei cassetti. Viene un paio d’ore la settimana una domestica a far le pulizie, ma le camicie me le stiro da solo,” preciso con orgoglio. “Sicuro? non ci sarà una bella ragazza desiderosa di accudire questo giovane uomo?” “No. E’ una scelta precisa. Se permetto a una ragazza di mettere la mani fra le mie cose, potrebbe illudersi di avere il diritto di fermarsi più di una notte. E questo non voglio.” Mi giro a guardarla con aria provocatoria, sotto sotto desideroso di trovarla scandalizzata. “Idee molto chiare e precise, questo giovanotto…” è il suo commento.
Per un po’ cade il silenzio. La osservo, mentre lei è tornata a girarsi verso il finestrino, persa in chissà quale pensiero. Mi chiedo che tipo di donna veramente ci sia sotto quell’immagine borghese. Non proprio felice e soddisfatta, scommetterei. “Ai miei tempi,” soggiunge all’improvviso, “gli uomini non erano capaci di lavarsi da soli nemmeno un calzino. Avevano bisogno di una donna accanto per non morire di fame: prima la mamma, poi la moglie. E le donne erano educate per diventare prima mogli e poi madri.” “Non pensi che non sia in parte ancora così. Anch’io conosco tanti coetanei che escono dalla casa dei genitori solo per sposarsi. Ma la maggior parte degli uomini ormai sanno essere autosufficienti. E anche più bravi delle donne, In cucina per esempio.” “In cucina? non dirmi che sai anche cucinare?” “Certo,” rispondo punto sul vivo, “detesto la favoletta dello scapolo che non sa attaccare un bottone alla camicia e si nutro solo di scatolette. Io sono abbastanza bravo ai fornelli. Parecchie … alcune ragazze che l’hanno provata, hanno fatto i compimenti alla mia cucina.” “Questo davvero, Antonio, stento a crederlo. Cucinare richiede attenzione, pazienza. Da ragazzo mi pare fossi abbastanza maldestro.” “Allora vuol dire che sono cambiato. Le assicuro che sono un discreto cuoco. Venga a fare la prova.” “Dove?” “A casa mia. Potrei cucinare, per darle una dimostrazione”, “E’ un invito?” “Perché no?” aggiungo. Lei improvvisamente scoppia a ridere. Ha questa risatina argentina, come un campanello, ma che in questo momento mi dà ai nervi, perché mi sento canzonato. “Che c’è da ridere,” faccio serio, “non sono all’altezza di invitarla a pranzo?” “No, no,” dice smorzando il riso e poggiandomi la mano sul braccio, “Non ridevo di te. E’ che credo sia la prima volta in vita mia che un uomo si offre di cucinare per me. E, devo confessarti, che non mi fido molto. Dovrò portarmi un panino?” e riprende a ridere.
Mi fermo perché nel frattempo siamo arrivati alla fine del tragitto. Lei ridacchia ancora e le si vede il seno addirittura ballare sotto la camicetta. “Accetti,” le dico, “se non dovesse piacerle quel che preparerò mi impegno a portarla in trattoria sotto casa.” “Va bene, ci guadagno comunque.” “Cosa?” “La compagnia di un giovanotto piacevole come te. Quando facciamo?”
Mi sento orgoglioso di averla convinta. “Mi dica lei, all’ora di pranzo non ho mai appuntamenti, mi serve giusto saperlo un giorno prima per fare la spesa.” “Vediamo,” dice lei pensierosa, “potrei far spostare la seduta, così mi trovo già dalle tue parti. Facciamo così: dammi il tuo cellulare che ti chiamo.”
Mentre lei scrive il numero su un’agendina che ha tirato fuori dalla borsetta, esco dall’auto per aprirle la portiera. Per uscire dall’auto compie una rotazione un po’ goffa. E’ costretta ad aprire le gambe. La gonna stretta e la visuale favorevole fanno il resto: non posso giurarlo ma mi sembra davvero che la signora Maria porti le calze o le autoreggenti. Però!
“Ma che galante! Con queste attenzioni le donne ti cadono tutte ai piedi” “Ma certe attenzioni non sono per tutte!” ribatto, “le riservo solo alle signore. Alle belle signore!” preciso, giocando a fare il cascamorto. Per tutta risposta mi lancia uno sguardo civettuolo da sotto il rimmel. Poi mi ringrazia per il passaggio e va via. Però, mi ripeto osservandola allontanarsi, per la sua età mette delle gonne davvero corte!

Ho perso una mattinata per accompagnarla e punto sul vivo dai dubbi sulla mia capacità di cavarmela mi sono anche fatto scappare questo invito a pranzo. Chi me lo ha fatto fare, mi dico.
Sono praticamente convinto che non se ne farà nulla: le donne come lei e mia madre sono sempre pronte a entusiasmarsi e poi a trovare un sacco di scuse per rinviare indefinitamente.
E invece, la conferma dell’appuntamento mi arriva due giorni dopo, per l’indomani: mi chiama per dire che ha fatto spostare la sua seduta di laserterapia, così finirà poco prima di venire da me. Un po’ sorpreso non so cosa dire, ma non posso certo rimangiarmi l’invito, né sono pronto a trovare una scusa. Così le ripeto l’indirizzo e le spiego come arrivare, dicendo che l’aspetterò a casa.
Quell’invito fatto senza pensare così è diventato un motivo di imbarazzo. Avere a casa la signora Maria. E da sola. E che dico, che faccio. Penso per un attimo di dirlo anche a mia madre, ma scaccio l’idea: troverebbe tante cose da ridire su quello che preparo, su come lo preparo, per carità, uno stress…
Ma lo stress c’è lo stesso perché quella mattina sono colto da una inattesa ansia da prestazione. Ho spesso usato le mie capacità culinarie come arma per sedurre: ma si trattava di ragazze assai più imbranate di me nelle faccende domestiche.
Con l’amica di mia madre, invece, non posso barare: so quanto le donne di quella età tengano all’ordine e alla pulizia e io ci tengo a fare bella figura con la signora Maria.
Cancello addirittura un appuntamento di lavoro per attardarmi a pulire e riordinare e anche in cucina mi dedico con grande attenzione alle ricette che ho deciso di realizzare. Sono pronto per tempo, mi sbarazzo del grembiule e in bagno, mentre mi rinfresco, decido che camicia e jeans è la giusta tenuta.
All’una, puntualissima, suona il citofono.
“E’ questo lo scannatoio?” Un’espressione così cruda, da lei, mi lascia interdetto. Se ne accorge e cerca di rimediare: “Scusa, volevo fare dello spirito… Non è così che dite voi ragazzi?”
“Bè! diciamo che è il covo dove attiro le mie prede, allora,” rispondo per alleggerire e toglierla dall’imbarazzo per la gaffe. “E lei non ha paura di entrare?” “Nooo! Sono troppo stagionata per avere paura di te. Poi tu sei un ragazzo molto educato…..”
E’ una mia impressione o la signora Maria mi ha saettato un’occhiata maliziosa accompagnando queste parole? Sarà… Mentre le mostro rapidamente il mio bilocale la osservo. E’ truccata, stavolta, in modo più vistoso del solito, con molto ombretto intorno agli occhi e le labbra sottili evidenziate di rosa acceso. Indossa un tailleur elegante, con una giacca attillata e scollata, senza camicetta e una gonna lunga sotto il ginocchio, ma con uno spacco sul davanti. Le calze sono nere, e non molto velate, e ai piedi porta della scarpe di vernice, del tipo alla moda, con un cinturino alla caviglia, e tacchi decisamente alti.
“Lei è molto elegante, ma si tratta di un pranzo alla buona. Io stesso non mi sono cambiato….” dico indicando la camicia dalle maniche arrotolate e i jeans un po’ stinti. A queste parole la signora Maria distoglie gli occhi da alcuni poster affissi alla parete e per un attimo mi squadra: “Stai benissimo”, è il suo unico commento.
“Cominciamo dall’aperitivo.” La scorto verso l’angolo cottura, che è separato dal resto dell’ambiente da un tavolo alto con gli sgabelli, tipo bancone da bar. Verso in due calici del prosecco. Lei si inerpica con un po’ di fatica su uno dei due sgabelli. Lo spacco della gonna, che è piuttosto lungo, a questo punto si apre. A me, che sono rimasto in piedi con i bicchieri in mano, mi si apre una buona panoramica sulle sue gambe. La signora Maria cerca di chiuderlo e cambiare posizione, ma nonostante i tacchi è troppo bassa per sedersi con disinvoltura appoggiando un piede a terra. Alla fine rinuncia e si accoccola in qualche modo. Nel prendere il bicchiere che le porgo, deve lasciare i lembi della gonna che tornano ad aprirsi. Questo mi permette di osservarle l’interno della coscia velata dal nylon, un triangolo di pelle nuda e perfino il bordo più scuro della calza che disegna una lieve curva nel punto in cui è agganciato.
La signora Maria porta un reggicalze e pare che non si curi in fondo troppo di nasconderlo! Com’è che prima d’ora non mi sono soffermato sulle sue gambe? La situazione è intrigante e mi vien voglia di giocare a fare l’audace. “Cin, cin” propongo. Ricambia il brindisi e beve. Dopo un attimo d’imbarazzo le dico che mi mette in imbarazzo. “Oh, bella! Perché?” “Perché penso che prima d’ora non c’è mai stata qui dentro una donna della sua classe e del suo fascino.”
Mi fermo, la guardo, continua a sorridere. “Scusi. Non mi prenda per sfacciato. Non vorrei mai esserlo con un’amica di mia madre.” “Eeeh! Puoi risparmiarti con me queste smancerie. Sono troppo anziana ed esperta per abboccare!” Solleva ancora il bicchiere guardandomi negli occhi.
Non so cosa, ma qualcosa mi elettrizza. Sarà il fatto che lei non si preoccupa più della sua gonna e per quanto io mi sforzi di non tenere lo sguardo puntato dentro il suo spacco, le sue gambe sono ancora generosamente esposte sotto i miei occhi.
“Lei scherza sempre sul fatto di essere vecchia. Lo fa per farsi dire che non è affatto vero.” “No. Lo dico proprio perché lo sono. Una vecchia signora.” Ridacchia e beve ancora un altro sorso di prosecco. “Ma via, lei ha più o meno l’età di mia madre.” “Non proprio. Qualcosina in più, direi. Ma adesso sei tu che mi stai prendendo in giro. Sentiamo: quanti anni ho secondo te?”
Vediamo: mia madre ha quarantotto anni; lei è più grande, è vero, direi un 55, togliamone qualcuno per galanteria… “Cinquantatre”, azzardo.
Lei sorride e scuote la testa. “Secondo me lo sai benissimo e menti solo per essere carino. Ne ho quasi sessantuno, caro il mio Antonio.”
Resto letteralmente a bocca aperta. Sessantuno! E chi l’avrebbe detto! “Non li dimostra affatto, signora. Li porta davvero bene” “Grazie, Antonio, sei molto dolce nel dire queste cose che fanno piacere. Piuttosto, adesso che conosci il mio segreto, perché non la smetti con questa “signora Maria” e mi dai del tu?”
“Ecco…io…” la richiesta mi coglie impreparato, come la rivelazione sulla sua vera età. “Sì, perché no….”, non vorrei offenderla ma mi sento un po’ imbarazzato, “è che … sono abituato a darle del lei!” “Non è vero. Quando eri più piccolo mi chiamavi “zia”. Poi da grandicello hai cominciato a chiamarmi “signora”. Ma non t’azzardare a chiamarmi zia: mi farebbe sentire ancora più vecchia del “lei”,” dice ridendo. “D’accordo,” mi arrendo “… Maria!” Oh! bene!” batte le mani come per un piccolo applauso e con un saltello scende dallo sgabello. “Ma in questa casa non si mangia? C’è un profumino che mi ha messo appetito.”
Servo le portate al tavolo apparecchiato e cominciamo a mangiare. Il “tu” ha creato un’atmosfera ancora più rilassata anche se io non mi ci abituo subito. Ma durante il pranzo è come se flirtassimo leggermente. Lei non risparmia i complimenti per le mia qualità di cuoco, facendomi arrossire. Attraverso il tavolo, l’occhio mi cade dentro lo scollo della giacca, sotto la quale si intravede il pizzo del reggiseno. Nonostante l’età, è una donna ancora attraente. Diciamo pure scopabile. E subito dopo averlo pensato, mi rendo conto che il sangue è andato tutto sulle guance, che saranno colore del peperone.
Dopo il dolce le propongo di accomodarsi sul divano mentre preparo il caffè.
Poggio il vassoio con le tazzine sul tavolino davanti a lei. Lei poggia la mano sul sofà invitandomi a sederle accanto. Così faccio e appena mi seggo le narici sono colpite dal suo profumo intenso. Con le gambe accavallate, attraverso lo spacco posso riprendere a sbirciarle la coscia.
“Mi sembri un po’ nervoso…” “No,” in effetti lo sono ma non ho nessuna intenzione di ammetterlo, “penso così..” “A cosa?” “A questa …. situazione, un po’… strana.” “Strana? Perché strana?” “Voglio dire, ehm…” mi schiarisco la voce, “non avrei mai pensato di ritrovarmi con lei…con te, cioè qui a casa mia, ti ho invitata a pranzo, ci diamo del tu, cioè tu per me eri l’amica di mamma…” “Lo sono ancora, se è per questo, anzi ti consiglio di non far vedere che si è creata tutta questa confidenza se ci dovessimo incontrare alla presenza di tua madre. Chissà cosa penserebbe!” aggiunge con un risolino. “Già!” “… magari – prosegue – potrebbe pensare che sei un tipo capace di corteggiare le sue amiche.” Nel dire questo porta alle labbra la tazzina ma io riesco lo stesso a scorgere le labbra che si increspano in un sorriso.
Io invece lì per lì non dico niente, e comincio a sentire un certo caldo. “Che ci sarebbe di male a corteggiare una donna anche se è amica della madre?” osservo in modo che spero passi per disinvolto. “Come? avresti il coraggio di fare il cascamorto con una donna sposata? con una donna più vecchia di te? magari con una che ti ha visto crescere, che ti ha tenuto sulle ginocchia?” Nel dire questo, disincrocia le gambe e poi le accavalla nuovamente dall’altra parte. Il movimento fa ondeggiare i lembi della gonna. Il ginocchio sfiora il mio. Mi sta mostrando sfacciatamente le gambe!
“Non direi di te che sei una vecchia signora!” mormoro con gli occhi spudoratamente fissi sulla sua coscia velata di nylon. “No? Ho l’età di tua nonna!” “Non è vero. E’ poi mia nonna non è certo come te!” “Cosa vuol dire? come sono?” “Sei … una donna ancora piacente…” Ho usato un filo di voce: l’emozione mi sta giocando uno scherzo tanto quanto lei sembra padrona della situazione.
Mi guarda. Mi guarda intensamente, negli occhi. “Sei un bel ragazzo, Antonio. Sei carino e gentile. Ma penserei che sei un bugiardo, se il modo in cui mi guardi non fosse la prova che dici la verità!” “Il modo… in cui ti guardo…?” Lei allunga una mano e con le dita mi sfiora la guancia. “Mi stai spogliando con gli occhi da quando sono entrata. E non hai allontanato lo sguardo dalle mie gambe nemmeno un secondo.” “Come faccio a toglierlo …” dico questo con il cuore che mi batte in gola, mentre lei le scioglie di nuovo e le schiude leggermente. “Hai delle belle gambe” Lei non risponde e sorride. Mi chino su di lei con le labbra protese. Cerco la sua bocca, la trovo. Lei schiude le sue labbra, lascia che la mia lingua scivoli dentro, trovi la sua, le si avvinghi in una danza erotica. Ci guardiamo. Mi infila la mano tra i capelli. Quando parla, ha la voce roca: “Lo hai fatto perché ti piaccio o per fare una buona azione?” “Sei … sei…tu sei molto attraente…” “E allora trattami come si tratta una femmina….” La sua mano scivola dietro la mia nuca, attira il mio viso contro il suo. Sento che l’altra sua mano prende la mia, la guida sulla sua coscia, poi me la fa risalire, finché sento il bordo della calza, e a quel punto i polpastrelli trovano il gancetto del reggicalze e poi sfiorano la sua pelle nuda. Poggia con forza le sue labbra sulla mia bocca ed è lei, adesso, a spingere la sua lingua, a ricacciare la mia all’indietro, a esplorare con prepotenza il palato, le guance, l’interno delle labbra. Quando anche il secondo bacio finisce, sento che l’emozione mi taglia il respiro. La sua mano va a cercare l’inguine, trova la mia erezione violenta, la accarezza attraverso la stoffa. Anche la mia mano è ancora sulla sua coscia su cui strofino languidamente il palmo. “Ho voglia di fare l’amore con te…”, sussurro. “Non ti vergogni?”, è la risposta che mi lascia sconcertato. Ma è un gioco, un vezzo: lei ha voglia quanto me, non molla il mio arnese ormai duro come il ferro e, anzi, comincia a sbottonarmi i pantaloni. Tira giù la zip e poi lo fa sgusciare attraverso l’apertura dei boxer. Il mio pene svetta all’aria aperta e lei comincia ad accarezzarlo delicatamente. “Ce l’hai proprio bello…” è il suo commento, mentre lo fissa quasi ipnotizzata. Mi piace. Mi piace che lei mi tocchi. Mi piace continuare a sentire il calore della sua gamba. Mi piace che sia lei a prendere l’iniziativa. Sto per fare l’amore con una donna che potrebbe essere mia madre, una donna che appena poche ore prima mai e poi mai avrei considerato per fare del sesso. “Andiamo di là?”, le propongo. Intendo la camera da letto. Maria fa cenno di sì, anche lei troppo emozionata per parlare. Appena entro, mi libero di pantaloni e boxer, restando nudo mentre lei è ancora vestita. La stanza è in penombra, vado per accendere la luce. “No!” mi ferma, “non accendere la luce: non voglio che mi vedi le rughe.” Sorrido intenerito da questa confessione. Mi siedo sul letto, lei in piedi davanti a me e comincio a spogliarla. Prima la giacca, poi lascio cadere la gonna. Lei resta con un corpetto, cui sono agganciate le calze. Indossa una mutandina sgambata. C’è ciccia sulle cosce e sul culo, ma non m’interessa. Protendo il capo fra le sue gambe e prendo a baciarle con foga le cosce nude e tutt’intorno alla fica. “Fermo, fermo” mi dice prendendomi per i capelli. “Così mi romperai le calze. Come torno da mio marito?” Si siede a sua volta e si sfila le calze. Io resto a guardarla affascinato. Toglie anche le mutandine e poi mi si butta fra le braccia. Ci baciamo di nuovo. Le mie mani le abbrancano il culo. Le sue strappano i bottoni della camicia che ancora indosso e mi percorrono il torace, si fermano sui miei capezzoli, li stuzzicano e poi proseguono. Mi sento eccitato come un toro. La mano di lei scende a tastarmi l’uccello: il suo palmo è caldo, si stringe intorno al pene e l’attira dentro di sé. Scivolo fra le sue cosce spalancate. Dentro, ci trovo un lago.Ha la fica calda e morbida. E’ la fica più invitante che abbia mai incontrato. Sono sopra di lei. Sento le sue cosce che mi stringono i fianchi. Ci muoviamo l’uno dentro l’altra. Lei mi geme nell’orecchio. Con i denti le strattono il corsetto finché non le tiro fuori le tette. Sono flaccide e grinzose ma quando comincio a succhiarli i capezzoli diventano duri ed enormi.
“Ah, sì, ah, sì, ah, sì”, lei ripete come un mantra, “scopami, sfondami, riempimi…” A un certo punto urla dal piacere. Affonda le unghie nelle mie spalle. Non rallento il ritmo. Sto per venire anch’io. D’improvviso mi spinge indietro il viso e mi guarda negli occhi. Sento la sua mano sul mio sedere, lo accarezza e con un dito mi stuzzica tra le natiche. Le esplodo dentro un autentico fiume di sperma, continuando a spingere e a sfondarla. Maria mi abbraccia, mi tiene dentro di lei. La bacio. Avrà sessant’anni ma è una delle scopate di maggior piacere della mia vita. Glielo dico. “Nessuna mi ha mai toccato il sedere mentre faccio l’amore.” aggiungo. “Le donne della mia età devono compensare con l’esperienza la bellezza che se n’è andata,” risponde scompigliandomi i capelli, “se no con quali argomenti potevo indurre un giovane bello come te a portarmi a letto?” “Gli argomenti, direi che non mancano… E poi mi hai fatto capire che eri disponibile: le gonne corte, le battute su tuo marito…” “Ah sì? Hai pensato che ci potevo stare solo perché ti ho fatto guardare un po’ le gambe in macchina?” Arrossisco, anche se era ovvio che lei si fosse accorta. “Sì, lo pensavo, però….” “Però eri timido perché ero l’amica di famiglia, vero?” Mi bacia: “Se ti dicessi che mi sei sempre piaciuto? Da quando avevi diciassette, diciotto anni. Ho sempre pensato che fossi un bellissimo ragazzo. Ce l’ho fatto più di un pensierino su di te. E’ da allora che sei un protagonista delle mie fantasie. Quando ti ho rivisto ti ho desiderato subito. Ma fino a quando non mi hai baciata non ero certa di riuscire a fare l’amore con te.” Quella confessione mi eccita. Il pene riprende vita dentro di lei. “Ullallà, che sta succedendo?”, dice divertita. Succede che ci mettiamo a fare ancora l’amore, a un ritmo, adesso, più lento, assaporando meglio il piacere che provano i nostri sessi. Mentre vengo di nuovo, penso alla faccia che farebbe mia madre se le dicessi quanto scopa bene la signora Maria! “E’ tardi, devo andare. Non dimenticare che sono una donna sposata!” Si rimette le calze, osservandomi con la coda dell’occhio. La osservo affascinato. Per tutta risposta allunga un piedino e mi accarezza il cazzo che nonostante le due scopate sembra pronto a tornare in tiro. Lei ridacchia e scappa in bagno per rivestirsi. Ne esce truccata e impeccabile, nemmeno un capello fuori posto, come se non avesse fatto nulla questo pomeriggio: ah, le donne! Io mi infilo i boxer e l’accompagno alla porta. “Ci rivediamo…”: è per metà un’affermazione per metà una domanda. Non so se lei voglia che questa storia abbia un seguito ma, soprattutto, nemmeno io son sicuro di volerlo.
Ma lei mi abbraccia forte: “Speravo che tu lo dicessi”, e, poi, ridendo, “Anche perché, dopo quello che mi hai fatto provare, se non l’avessi detto tu, ti avrei sequestrato io per violentarti!”

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