Fabiola l'architetto - (7) Tuoni di sesso

Scritto da , il 2011-01-29, genere etero

Aspettai Fabiola per oltre mezz'ora. Tra condoglianze e saluti vari il suo ritardo era più che giustificato. Quando arrivò rimase sorpresa nel non vedere Anna. Le spiegai la situazione e lei capì. Si erano nel frattempo fatte le 14 e le proposi di andare a mangiare qualcosa. Accettò.  

Scegliemmo un ristorante a Civitavecchia. Non era molto loquace, ma sicuramente più simpatica di quanto non lo fosse stata sino ad allora con me. Optammo per un pranzo a base di pesce. Aveva classe anche nel mangiare, con quei suoi modi raffinati e mai volgari. I pasti sciolsero ulteriormente la tensione tra noi due. Volava ora anche qualche sorriso e il suo sguardo ne risentiva evidentemente in meglio. Era dolce e bella, sensuale e affascinante allo stesso tempo.  

Il discorso scivolò sul professionale: mi parlò del casale e delle idee che le erano venute sinora in mente. “Credo ci dovrò tornare presto”, mi disse. “Vacci tutte le volte che vuoi: tanto hai le chiavi” risposi io. “Magari la prossima volta avverto, visto quanto accaduto la scorsa volta...”, replicò lei. Mi venne spontaneo allora aggiungere con una provocazione, accompagnata da un sorriso: “Beh dai in fondo non hai fatto un viaggio a vuoto, anzi...”. Ridemmo, forse per la prima volta veramente complici. All'improvviso mi lanciò una proposta: “Ascolta e se ci andassimo ora? In fondo la giornata è più o meno persa e siamo già sulla strada per la Toscana”.

Non aveva tutti i torti: in un'ora saremmo arrivati a destinazione e sicuramente sarebbe stato un tempo meglio impiegato che altrove. Per me poi c'era il plus di una fantasia erotica da alimentare. Salimmo quindi in macchina e partimmo alla volta del casale.  

Si era fatta più loquace e tra noi c'era un'atmosfera meravigliosamente complice. Le sue cosce abbronzate e lucide mi stavano ora di fianco e lei certamente apprezzava gli sguardi che mi scappavano. Lo capivo dai sorrisini che le scappavano, girando il volto verso il suo finestrino. Aveva anche tolto la giacca, rendendo ancor più evidente il suo prosperoso seno. Indossava infatti una magliettina a mezze maniche, scollata il giusto per far ammattire un uomo. La cosa che di lei però più di tutte mi faceva impazzire era il suo modo così naturale e sensuale di toccarsi i capelli.

Il cielo si stava riempiendo di nubi che non promettevano niente di buono. Puntualmente dopo cinque minuti si scatenò un vero e proprio nubifragio. “Mi sa che sto casale è maledetto per me..”, disse lei. Proseguimmo quasi a passo d'uomo e tra mille difficoltà arrivammo al casale. Scesi per aprire il cancello e mi inzuppai. Attraversato il cancello e fermata la macchina nello scendere fummo colti da una paurosa secchiata. Entrammo in casa di corsa, bagnati come pulcini.  

Lei bestemmiò e per la prima volta uscì fuori da quel suo personaggio così severo per il quale si era fatta conoscere. Provai ad accendere la luce, ma al mio tentativo ci fu una scintilla e poi il buio. Un colpo di vento chiuse la porta ed anche quello spiraglio di luce che proveniva da fuori svanì.  

Il buio ci avvolse, amplificando la sensazione di oppressione che i vestiti bagnati e appiccicati al nostro corpo ci davano. Né io, né lei proferivamo parola. Sentivo il suo respiro nitidamente. Il suo corpo emanava calore. Era lì, a portata di mano. Avrei potuto allungare un braccio e toccarla. Fu lei a farlo. Sentii la sua mano sul mio fianco, posarsi involontariamente. “Scusa”, mi disse. “Tranquilla”, replicai io afferrandole la mano. Non scappò dalla mia presa, anzi. Si avvicinò un po' di più ed il calore del suo corpo diventò più forte.  

Il suo profumo colse le mie narici. Quel aroma sensuale che proveniva dal suo corpo travolse insaporì il mio respiro, donando a quella situazione così poco piacevole, una magia straordinaria.  

Le cinsi un fianco, per rassicurarla. Non le dispiacque tanto che anche lei passò il suo braccio sul mio fianco. I suoi vestiti erano bagnati, ma la mia mano era intenta ad esplorare quel corpo, che tanto avevo bramato e che ora era a pochi centimetri da me.  

La sua mano non era più sul mio fianco, ma accarezzava il mio petto, non so quanto volontariamente. Accompagnai la sua mano sfiorandola con la mia. Tremava. Cercai di essere più fermo di lei e fermai la sua mano suo mio petto, sopra la mia camicia bagnata. Lei approvò e si avvicinò ulteriormente. Eravamo ora abbracciati. Lei tremava, per il freddo, ma forse ancor più per la paura.  

Annusavo i suoi capelli, quelli che con la mano così sapientemente e sensualmente si toccava. Tuoni e lei si stringeva più forte a me. Sentivo le sue sode forme aderire al mio corpo. Era meraviglioso. Il suo respiro sulla spalla mi eccitava: sembrava ansimare e la cosa mi provocò un erezione piuttosto evidente.  

Smise di tremare, rassicurata forse dal mio abbraccio. Si accorse dell'erezione, ma non fu dispiaciuta. Anzi, sembrò quasi sistemarsi meglio per saggiarne meglio la consistenza. Le mie labbra si posarono sul suo capo: le diedi un dolce bacio. Scostò il capo dalla mia spalla e cercò il mio sguardo. Lei sapeva bene che era su di lei, lo era da tempo, da quel incontro nel suo studio. E lo era anche ora. Mi stava guardando e decisi di cercare la sua bocca.

La trovai a metà strada.  

Fuori un lampo, poi un tuono pauroso, da far tremare tutto...

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