Incesto richiesto

Scritto da , il 2017-04-27, genere incesti

Oggi, a quarant’anni, posso ritenermi una donna abbastanza agiata. Vivo in una grande villa, con mansarda abitabile, dove vive mia figlia di diciannove anni, con il suo impareggiabile cane Boxer. A vent’anni, quando sposai mio marito, ci indebitammo fino alla gola per acquistare la villa, pertanto, quando lui fuggi con una sudamericana, tre anni fa, io e Giada restammo completamente al verde, impossibilitate a pagare il mutuo. Lei studiava ed io, visto che mio marito guadagnava molto bene, non avevo mai pensato di cercarmi lavoro. Disperata, mi ero rivolta al datore di lavoro di mio marito chiedendo di assumermi al posto suo, nell’ufficio, come segretaria, telefonista o qualsiasi cosa intendesse farmi fare di lavoro. ” Tuo marito era un eccellente tecnico informatico ”, mi disse, dandomi subito del tu. “ Lo sapresti sostituire degnamente? ”, mi domandò a bruciapelo. “ No ”, risposi io, “ ma posso fare molte altre cose …”, affermai, senza specificare. “ Non ne dubito affatto, ma in questo momento ci serve soltanto un tecnico capace ”, proseguì lui, congedandomi subito dopo, non senza chiedermi di lasciargli il numero del telefono. Tornai a casa affranta e disperata, e con l’intenzione di andare a fare la prostituta, se non avessi trovato un lavoro che mi permettesse di non perdere la casa. D’altronde, ero ancora abbastanza piacente, in confronto a certe che avevo visto battere il marciapiede. Normalmente, attiravo ancora parecchi sguardi ingordi e anche commenti, soprattutto da dei ragazzi giovani. L’unico problema, sarebbe stato quello di acquistare i preservativi. Io mi sarei vergognata a morte ad andare in farmacia a richiederli, o nei supermercati, dove li avevo notati appesi accanto alle casse. Per fortuna, appena giunta a casa, ricevetti la telefonata dell’ex Boss di mio marito che: “ Domani mattina, ti aspetto qui da me alle dieci, vestita in modo molto provocante, senz’essere volgare, poiché devo ricevere rappresentanti di aziende assai importanti. Mi devi fare da segretaria personale ”, terminò, ricordandomi la puntualità e l’abbigliamento. Consigliata da Giada, alla quale avevo detto della strana richiesta, indossai un tubino celeste a mezza coscia, stretto da sembrare una seconda pelle, ed una t-shirt, in seta bianca, senza il reggiseno fintanto che i miei capezzoli, piuttosto pronunciati naturalmente, puntassero sulla stoffa in modo sensuale. E appena un corto giubbino leggero a coprire l’audacia del mio busto, mentre mi spostavo col Bus di linea per raggiungere l’ufficio. Quando il boss mi vide, apprezzò molto il mio abbigliamento ma subito mi fece levare il giubbino. “ Così sei davvero molto affascinante . A proposito, ricordati di accavallare le gambe, lentamente, ogni tanto, quando ti accorgi che i miei ospiti diventano troppo attenti al programma che io gli esporrò. Sarebbe ideale se togliessi le mutandine, per distrarli davvero in modo perfetto. Le hai indosso? ”, mi chiese con naturalezza. “ Si, è evidente …! ”, esclamai io, sott’intendendo che una signora in genere non esce di casa, se non le mette, normalmente. “ E allora toglile …! ”, m’impose, continuando ad osservarmi in modo curioso. Incerta sul cosa fare, rimasi lì alcuni momenti a pensare se fosse logico che mi chiedesse tale azione proprio di fronte a lui. “ E’ un ordine, ragazza, che non voglio ripetere, se vuoi mantenere il posto di lavoro ”, suggerì con tono di comando. In un attimo mi passò per la mente la banca, l’ufficiale giudiziario e la forza pubblica addetta allo sgombro per eseguire il pignoramento, e un momento dopo, ero senza il mio triangolino. L’avevo tolto girandomi di spalle e sollevando appena la gonna sul davanti, in modo che lui non vedesse nulla. “ Non capisco proprio perché nascondi la merce che pagò profumatamente, cinquemila euro al mese, affinché tu la metta in mostra, al servizio dell’azienda. Il tuo è un lavoro, mia cara, anche se non in linea con le richieste sindacali. Ma se non lo vuoi fare, basta dirlo. Troverò certo decine di donne disposte a sostituirti ”, concluse, sott’intendendo il, “prendere o lasciare …! ”. La decisione istantanea fu di prendere, pertanto, quando mi disse di mostrare prima di tutto a lui la merce, tolsi la gonna, la t-shirt e rimasi nuda di fronte a lui, che non ancora soddisfatto, mi fece segno di mostrare anche il sedere. “ Vedi che non è poi così difficile …? Oggi ti sei già guadagnata il primo stipendio anticipato, sei contenta? ”, disse, appoggiando sul ripiano della sua scrivania in vetro, la mazzetta di denaro promessa. Un tuffo al cuore quasi mi fece svenire nel vedere tutto quel ben di Dio a portata di mano, o meglio, di borsetta, dove li riposi con gioia immensa.
“ Ora rivestiti, ma invece della t-shirt, indossa la camicetta che troverai appesa nell’armadietto del bagno, poi, ti siedi sulla sedia di sinistra che c’è dietro la scrivania e fingi di lavorare al computer ”, mi ordinò come se fosse la cosa più naturale del mondo. Quando tornai dal bagno, vestita di tutto punto, e con la camicetta che mi aveva detto d’indossare, prima che mi sedessi si avvicinò e la sbottonò di due asole mettendo ancor più in evidenza il mio seno. A quel prezzo, lo lasciai fare, nonostante che, dentro di me, un senso di rimorso, mordeva il mio amor proprio. Alle undici circa, l’usciere annunciò, tramite l’ interfono, l’arrivo dei quattro manager attesi, tre italiani, importanti dirigenti di industrie nostrane, ed un giapponese, accompagnato da un suo conterraneo, che sembrava più una guardia del corpo che un traduttore della nostra lingua. “ Prego, signori: accomodatevi …! ”, li accolse con gentilezza estrema, il mio boss, indicando a loro le poltroncine in stile barocco che, qualcuno, mentre ero a vestirmi, aveva posizionato a semicerchio di fronte alla scrivania. D’impulso, in modo naturale, mi venne da accavallare le gambe …, e, mentre lo stavo facendo, ricordai ciò che mi aveva suggerito il mio padrone, così, l’accavallamento, durò un tempo molto più lungo di quello che sarebbe stato necessario, attirando su di me, o meglio sulla peluria scura che mi contornava il pube, tutti gli sguardi degli attenti dirigenti d’industria. E’strano come il pudore riesca a stuzzicare l’eccitazione in modo così intimo. Infatti, il gesto, metà naturale e l’altro voluto, e la conseguente reazione visiva degli ospiti, mi aveva agitata non poco. A dire il vero, avevo sentito un fremito percorrermi la schiena mentre l’umore mi aveva inumidito le labbra della vagina, lievemente, per fortuna, visto che quando mi accadeva, mi bagnavo come se mi fossi fatta la pipì addosso. Quando l’ingegnere iniziò la sua relazione, notai subito che gli ospiti erano disattenti e persino annoiati. Ogni cinque minuti guardavano l’orologio o mi sorridevano, quando io, dopo avere accavallato nuovamente le gambe, fingevo di abbassarmi la gonna. Notando che gli ospiti non gradivano più continuare quella noiosa conferenza, Il Boss suggerì di andare a pranzo in una trattoria da lui conosciuta, dove a parte la modestia dell’ambiente, il menù era davvero impareggiabile. “ Dopo che avrete gustato i manicaretti che servono li, escluderete qualsiasi grande ristorante ”, ci assicurò mentre telefonava alla proprietaria della trattoria, prenotando sette posti. “ Nella saletta laterale privata …! ”, si raccomandò.
Mentre scendevamo con l’ascensore privato per recarci a pranzo, avvertii una mano accarezzarmi i glutei con un’insistenza piuttosto fastidiosa. Mi spostai appena, senza voltarmi, con la speranza che il palpatore la smettesse, cosa che non avvenne, anzi, una seconda mano prese a scorrermi il sedere con più impegno del primo, raggiungendo, dopo avermi sollevato un po’ la gonna, la carne viva fra il solco del mio dietro. Non sapendo come comportarmi, lasciai fare, stringendomi il più possibile al braccio del mio Boss, che perplesso mi guardò come se volesse chiedermi cosa stavo facendo col suo arto superiore. “ Scusi. Ho avuto soltanto un piccolo giramento di testa ”, dissi, non sapendo cos’altro aggiungere. Appena fuori dall’ascensore, i miei palpeggiatori smisero di toccarmi confondendosi con gli altri che non avevano abusato del mio deretano. Durante il pranzo, i discorsi vertono su di me, sul mio fascino, ma soprattutto, sul mio corpo, ammirato dai commensali che lo definiscono più delizioso del pranzo. “ Lei è molto fortunato, ingegnere, ad avere una collaboratrice così carina …! ”, si complimentò il più anziano di loro, un bel signore di circa sessant’anni, o giù di lì, che si era appena sollevato dal raccogliere il tovagliolo, da sotto il tavolo, cadutogli per l’ennesima volta. E non era stato il solo a raccogliere qualcosa da sotto il tavolo, soffermandosi a lungo, con la scusa di non riuscire a trovarla. Dal canto mio, rendendomi conto del piacevole dessert che fornivo loro, invece di ricomporre le cosce, lasciavo che prendessero ancora più aria, nella speranza che l’incessante umore che veniva prodotto dalla eccitazione, si asciugasse un po’, prima che mi dovessi alzare, alla fine del pranzo. “Si, lo ammetto di essere fortunato ad aver assunto una segretaria con tutte le sue evidenti qualità. Se poi io penso che quel cretino di suo marito l’ha abbandonata per fuggire con una sudamericana, credo di essere più che fortunato ”, aggiunse, lasciandomi estremamente incazzata. Come si permetteva di esporre la mia vita privata alla mercé di sconosciuti …? D’istinto mi alzai intenzionata ad andarmene, ma il boss, intuito il mio disagio, m’indicò la toilette, mentre si strofinava pollice e l’indice in senso moltiplicativo. Chiusa dentro il bagno, ragionai a lungo, raggiungendo alla fine, la conclusione che dovevo fare buon viso a cattiva sorte, soprattutto per mia figlia, per consentirgli di studiare senza problemi, e non di meno, per finire di pagare il mutuo della villa, acquistata con tanti sacrifici. Misi da parte il mio onore e ritornai nella saletta mostrando un bel sorrisino a tutti quanti, e subito iniziai a scherzare con sfacciataggine con ognuno di loro, facendogli intendere che, non mi sarebbe dispiaciuto affatto avere una relazione, anche breve, visto che non dovevo rendere conto a mio marito, ormai. Ovviamente, il discorso verteva su tutti sott’intesi, che gli ospiti però intesero bene. Lo dimostrarono poi quando tornammo in ufficio. Nelle brevi pause di lavoro, ora uno, ora l’altro, mi avevano fatto delle proposte indecenti alle quali io avevo risposto con un sorrisetto compiacente ma non definitivo. Il Giapponese, tramite il suo scagnozzo, mi aveva fatto sapere che l’avessi seguito al suo paese, mi avrebbe comprato una casa favolosa, in centro a Tokio, e fatta vivere da vera signora. Era sposato ed aveva anche tre figlie e due maschi. Chi prima e chi dopo, si erano avvicinati alla scrivania e, con un tono confidenziale, si erano dichiarati, mentre io fingevo di cercare un programma che mi aveva indicato il Boss, il quale, con naturalezza assoluta, si era abbassato leggermente sul computer per digitare: “ Fra poco, vai al bagno, lascia la porta socchiusa, siediti sul water, fai la pipì, o fingi, e dopo siediti sul bidet, e lavati con tutta tranquillità. Esci solo quando mi sentirai tossire. E se senti fruscii, al di là della porta d’entrata, ignorali …! ”, mi scrisse, cancellandolo subito dopo. Ormai, ero entrata nel gioco, pertanto, decisi di giocare traendone il maggior beneficio possibile, sia lucroso che di carattere fisico sessuale. Infatti, tutti quei palpeggiamenti, i sott’intesi, gli accordi ipotetici con i vari manager e la schiavitù alla quale mi sentivo sottoposta, mi avevano eccitata particolarmente, coinvolgendomi volontariamente in quei giochi sessuali a cui mi sarei sottomessa per imposizione, ma anche per intimo piacere. Soprattutto quel senso di sottomissione forzata, mi eccitava.
Quando lessi sul computer il messaggio scritto dall’ingegnere la mia passera iniziò a colare come un cubetto di ghiaccio al sole. Invece di attendere, come mi aveva suggerito lui, mi alzai subito e dissi: “ Scusate, vado un momento al bagno …! ”, annunciai, come volessi farmi perdonare, se il bisogno improvviso mi imponeva di allontanarmi da loro. Una volta in bagno, dopo aver lasciato leggermente aperta la porta, mi sono seduta sul water e automaticamente mi venne da fare tanta di quella pipì che mi stupii io stessa. Senza abbassare la gonna poi, passai al bidet, e dopo essermi versata diverse gocce di Cilly, sulle mani, presi a lavarmi con la massima cura. Sbirciando di sottecchi, notai almeno due teste fissarmi dalla fessura della porta, e poi dopo, una mano aprire leggermente di più la porta, lasciando spazio ad altri occhi, morbosamente incollati sulla mia vagina, che io avevo sollevato sul bordo del bidet e penetravo con tutte le dita insaponate, mimando una pornostar nell’atto di farsi un ditalino. Cosa che veramente accadde, quando l’eccitazione vinse la mia recita, lanciandomi all’interno di un piacere così sublime da diventare interminabile, così intenso che, senza contegno alcuno, ululai come una lupa in calore. Al mio ritorno nell’ufficio, gli ospiti erano tutti seduti sulle loro poltrone mentre il mio Boss porgeva a loro dei fogli da firmare; tutti contratti che seppi poi, gli avevano fruttato milioni di euro. Per tutta la settimana seguente, ogni mattina, mi recai all’ufficio per svolgere il mio lavoro di segretaria privata, “o almeno questa era la voce che circolava in azienda, fra i vari altri impiegati ”, quando invece me ne stavo nell’ufficio del mio Boss a giochicchiare su Facebook o al massimo a rispondere al telefono per poi passare lui, se aveva piacere di parlare con chi l’aveva chiamato. Non nego che mi stavo annoiando a fare quel genere di vita. Per divagare, sovente pensavo a come mi sarei comportata se lui mi avesse chiesto di fare sesso, e non nego che piuttosto di stare lì ad annoiarmi, speravo che ciò accadesse. Invece no. Sembrava essere refrattario alle donne. Eppure ero venuta a sapere che era sposato ed aveva pure due ragazzi grandi, i quali, ogni tanto, passavano nell’azienda per chiedere denaro al padre; soldi che lui non gli elemosinava mai, anzi. Il lunedì seguente, verso le quattro del pomeriggio, ero sola in ufficio e mi stavo preparando un caffè, con la macchinetta a cialde, quando giunse il figlio più grande del mio Boss, vent’anni. “ Mio padre non c’è? ”, chiese, mentre si avvicinava alla scrivania. “ No. E’ andato a Milano … ”, risposi io, senza nemmeno guardarlo, visto che ero intenta a mettere lo zucchero. “ E’ chiaro che non ti affatichi affatto, bella topa ! ”, esclamò mentre schiacciava il muse e faceva progredire di un passo il gioco che io avevo lasciato impostato. “ E a me, il caffè niente? ”, proseguì poi, mentre si accomodava sulla sedia di fronte al computer, stravaccato come sovente avevo visto fare a suo padre. “ Se ti piace zuccherato, ti do il mio. L’ho appena fatto ”, gli offrii, disposta a farmene un altro. “ Benissimo, accetto ”, rispose sorridendo. Visto che non accennava ad alzarsi, glielo portai, fino alla scrivania, e posai la tazza di fianco al computer in modo che gli sarebbe bastato allungare una mano per prenderlo. “ E no, carina. Devi imboccarmi, farmelo sorseggiare gradatamente, se vuoi che io lo gusti come si deve. Il servizio deve essere fatto bene, altrimenti che servizio è? ”, commentò, senza muoversi dalla seggiola. Il suo atteggiamento mi lasciò dubbiosa. Forse suo padre gli aveva parlato di me e spiegato per quale lavoro mi aveva assunta …! Dovevo accertarmene, e pertanto, mi avvicinai con la tazzina in mano, gli pizzicai le narici con due dita, costringendolo ad aprire la bocca, poi con un solo gesto, versai tutto il caffè nelle sua gola, quasi soffocandolo. “ Porca troia …! Mi vuoi ammazzare …? ”, mi chiese non appena riuscì a respirare. L’esclamazione che gli era sfuggita la diceva lunga sull’opinione che aveva di me. “ Per punizione, ora devi succhiarmi l’uccello, e sbrigati a farlo, puttana, se non vuoi che dica a mio padre di licenziarti. La mia intuizione era stata giusta. Il fringuello era venuto a farsi la baldracca che suo padre aveva assunto per i suoi porci affari. Probabilmente, non ero nemmeno la prima che svolgeva quella attività, in quella ditta. Dopo essere andata a chiudere la porta dell’ufficio a chiave, con la massima velocità, mi sono messa in ginocchio fra le sue gambe, gli ho tirato fuori il sesso e l’ho pompato con un’energia formidabile, mostrandogli una professionalità che non avevo, giusto perché, ritenendomi una prostituta, forse, avrebbe fatto a meno di seguitare ad importunarmi sessualmente. La negatività, per disgrazia, subentrò quando il suo glande eruttò una quantità di sperma caldissimo e saporito, ottimo seme che io non me la sentii di sciupare, e che deglutii con piacere assoluto. “ Brava, porca …! I pompini li fai più che bene. Informerò mio fratello della tua abilità, e vedrai che lui, con la mazza da baseball che ha fra le sue cosce, ti sazierà molto di più di quanto ho fatto io ”, dichiarò, mentre se ne andava arzillo. Quella parentesi, era il preludio di un’attività sessuale molto più intensa, che sicuramente mi sarebbe stata richiesta, da quel momento in poi. Me la sentivo. Era un presentimento che mi indicava che il giovane, era stato mandato per appurare se io mi sarei rifiutata di soddisfare chi avrebbe potuto farmi perdere il posto di lavoro. “ No, non lo perdo assolutamente, qualsiasi cosa mi costringeranno a fare …! ”, mi imposi io stessa. Per le successive tre settimane, non accadde nulla, mentre nell’ultima settimana del mese, ci fu un viavai di muratori che di sana pianta ristrutturarono il bagno, allargandolo e aggiungendo persino un vano per fare il bagno turco. Un lavoro davvero ben fatto che inaugurai la sera stessa, dopo l’ora di lavoro, quando l’ingegnere mi disse di andare a farmi un bagno turco tanto per provare se funzionava bene. Dopo essermi fatta la doccia, nuda entrai nel bagno turco che qualcuno aveva già messo in azione e mi distesi su una delle due panche in legno allargando leggermente le gambe per lasciare che il vapore lambisse la mia vagina. Mi stavo appisolando quando una voce mi giunse da un altoparlante, quella del mio Boss. “ E allora? Come ti trovi li dentro …? ”, mi chiese. “ Meravigliosamente ! ”, risposi io, alzando la voce, convinta che lui avesse qualche difficoltà a sentirmi. “ Bene, allora, esegui tutti i comandi che ti suggerirò tramite l’interfono ”, mi disse sempre usando lo stesso sistema. “ Okay ”, risposi io. “ Allargati la figa con le mani, tutt’e due. Adesso mettici dentro tutte le dita della mano sinistra, e con la destra, accarezzati il forellino che hai dietro … ”, mi ordinò, senza alcuna emozione nella voce. Non avevo mai pensato che ad essere trattata da schiava, o umiliata come una serva, fosse così delizioso ed eccitante. Eseguivo tutte le manovre che lui ordinava senza oppormi minimamente. Esitai appena quando mi ordinò di infilarmi nell’ano una intera saponetta. Infatti, prima di farlo, la smussai un po’ negli angoli laterali usando le mie unghie, e poi, l’inserii in me con un colpo solo, godendo in modo sfacciato di quel viscido oggetto che mi vagava nel ventre. Ebbi un po’ di difficoltà in più quando mi ordinò di infilarmi nella vagina l’enorme flacone di crema che era stata messa su un ripiano dentro il bagno turco. In verità, il membro di mio marito, era piuttosto grosso, anche se non eccessivamente lungo, però, quello, almeno, quando lo inseriva in me, era ben lubrificato dalla mia bocca, e non semplice involucro di plastica. “ Ora, mettiti alla pecorina, sulla panca, e lamentati come se ti stessero sodomizzando …! ”, mi suggerì, con un tono diverso nella voce, quasi morboso, pensai io. A quel punto, non avevo proprio bisogno di fingere di godere, visto che i comandi a distanza, mi avevano eccitata come se stessi facendo l’amore con un membro nerboruto. Dopo qualche attimo, avvertii sciogliersi in me, tutte le emozioni, le eccitazioni, le morbosità che avevo accumulato dal momento che avevo sentito la voce del mio padrone indicarmi le sue richieste, le sue indiscutibili pretese sul mio corpo, entità che forse, in parte, non mi apparteneva più. Il piacere che giunse dopo poco non saprei proprio descriverlo con le parole, solo che le mie ossa sembrava fossero finite sotto un treno con cento vagoni di scorta. A farmi riprendere, l’ennesimo ordine del mio Boss, che m’imponeva di recarmi subito nel suo ufficio. Quando lo raggiunsi, era comodamente seduto dietro la scrivania in vetro, o di cristallo che fosse, mentre osservava il monitor del computer portatile che aveva davanti dove il sedere di una donna si agitata con piacere: io, ripresa in tutte le pose porno che lui mi aveva richiesto di mettermi.
“ Non avrà mica intenzione di divulgare queste immagini, vero? ”, le chiesi, parecchio intimorita. “ No, se tu farai sempre ciò che io desidero. La ripresa l’ho fatta per completare la tua fedeltà. I soldi, non mi davano la certezza … Metti caso che tu avessi trovato un altro più generoso di me, chi mi assicura che non mi avresti abbandonato? ”. “ Non l’avrei fatto, o almeno, fino a quando non avrò finito di pagare il mutuo bancario ed anche pagato l’università a mia figlia …! ”, dichiarai, con ingenua franchezza, fornendogli altro materiale per farmi imbrigliare maggiormente da lui. “ A proposito di tua figlia: ormai sarà una bella signorina …! L’ultima volta che l’ho vista, era poco più di una bambina. All’epoca, l’aveva portata in ditta, tuo marito, per ritirare l’uovo di Pasqua che doniamo tutti gli anni. E visto che ora tu lavori qui, tua figlia, ha ancora diritto di venire a ritirare l’uovo anche quest’anno ”, affermò, mentre continuava a scorrere le immagini video porno che si alternavano sul monitor del portatile. “ Ne parlerò con lei, e se vorrà, a Pasqua la manderò … ”, promisi, già sapendo che non mi passava nemmeno per l’anticamera del cervello di far venire lì mia figlia. “ Comunque, ora parliamo d’affari, Marta ”, mi disse subito dopo, cambiando discorso. “ Domani sera, dopo cena, verso le ventidue, ho nuovamente un incontro di lavoro con il giapponese ed altri suoi soci, industriali dell’est, il quale, mi ha richiesto la tua presenza. L’altra volta, grazie al tuo fascino, che l’ha mandato al settimo cielo, ha accettato una fornitura di materiale per parecchie migliaia di euro. Questa volta se mi darai nuovamente una mano, sono certo che le migliaia di euro, diventeranno milioni ”, mi comunicò, senza guardarmi in viso. “ Perché, forse, posso rifiutarmi …? ”, gli chiesi, cliccando contemporaneamente sul tasto di spegnimento del computer. Si girò verso di me e con le mani mi prese i fianchi con una forza che mai avrei sospettato in un uomo come lui, poi: “ Non puoi, ma ora dovrai adoperarti con più impegno, fare tutto ciò che i miei cari ospiti gradiranno, soli o in gruppo . Darai loro questa “ indicò, toccandomi la vagina ”, oppure questo qui, segnalò con l’indice, mentre penetrava il solco dei miei glutei. Ed anche la lingua, le labbra o la gola, se loro la pretenderanno ”,terminò, infilandomi due dita in bocca. “ Ovviamente, avrai uno stipendio doppio, se le cose andranno come io desidero ”. Tutte le proposte sessuali, l’esibizione porno di prima, le promesse in denaro, mi avevano stonata un po’ nel cervello. Fino a pochi giorni prima avrei rifiutato tutto, e indignata a morte se qualcuno mi avesse fatto quelle proposte. In quel momento le sentivo come se fossero necessarie o addirittura indispensabili, per continuare a vivere. “ Ci vediamo domani … ”, riuscii soltanto dire, mentre mi congedavo da lui. In previsione al tour de forse che avrei dovuto sostenere, prima di andare a dormire la sera precedente, presi alcune gocce di EN e subito a nanna. A Giada avevo lasciato scritto che la cena era dentro il microonde e che io mi ero coricata perché avevo una fortissima emicrania. La sera dopo, verso le dieci meno qualche minuto, mi presentai in ufficio, vestita da mignotta: una mini che lasciava scoperti gran parte dei glutei e una maglietta di filo che pareva fosse tutt’uno con la pelle del mio seno, ed anche il solito giubbino per celare il più possibile la volgarità del mio abbigliamento, quando salii sul taxi. L’ufficio, appena arrivai, sembrava deserto. Soltanto una flebile luce celeste filtrava da sotto della porta, quella che poi seppi essere la luce emanata dal computer messo al centro della scrivania, dove quattro persone, tutte dell’est, si sciacquavano gli occhi con le immagini mie memorizzate dal computer. I commenti non posso tradurli ma le loro espressioni la dicevano lunga su quello che stavano vedendo. “ Ecco la nostra stupenda segretaria, amici …! ”, esclamò l’ingegnere venendomi incontro e abbracciandomi con enfasi, mentre inavvertitamente mi sollevava la gonna dietro facendomi piroettare su me stessa come fossi una modella, mentre io in quel momento mi sentivo più una vacca messa in vendita al mercato bovino. Sensazione che non disturbava di sicuro il mio amor proprio, visto che ne traevo un intenso intimo piacere. Il battimano che ne seguì subito dopo, ebbe il potere di animarmi, di abbattere l’iniziale vergogna fino a portarmi di fronte al monitor del computer e indicare quanto ero porca a fare quelle scene, certa che tanto non avrebbero capito le parole che dicevo. Invece non fu così poiché solo il giapponese che mi aveva fatto la proposta la volta prima, non parlava l’italiano. Gli altri tre avevano persino un’inflessione lombarda quando si rivolsero a me, dicendomi con la dolcezza che distingue un asiatico quando si esprime nella lingua non sua: “ Tu avele culo molto bello e io volio amale tutto …! ”, richiesta identica che mi fecero anche gli altri due, mentre il giapponese che non parlava la nostra lingua, continuava ad abbassare la testa acconsentendo. “ Adesso vai in bagno a metterti il kimono che troverai lì appeso, poi aspetta seduta su una panca del bagno turco i miei ordini ”, mi ordinò il boss. “ Ovviamente, non indossare gli indumenti intimi ”, mi raccomandò, inutilmente, visto che non li avevo messi. Rimasi molto stupita nel constatare che il kimono era perfettamente della mia misura. Dopo averlo indossato, mi sedetti sulla panca di destra del bagno turco dove avevo individuato la posizione della piccola telecamera, probabilmente montata in quel punto dagli stessi muratori che avevano rimodernato il bagno. “ Brava Marta, sei nella posizione ideale ”, mi raggiunse la voce dell’ingegnere. “ Ora apriti un poco il kimono davanti e toccati con lascivia ”, suggerì nuovamente, coprendo a stento il mormorio di sottofondo, molto simile al vociare concitato di un gruppo di asiatici. “ Mostragli la passera, adesso, mentre te la apri con le mani, anzi, fatti pure un ditalino, usando due dita, mentre il mignolo te lo infili nel buchetto dietro ”, ordinò ancora, instancabile, o meglio, probabilmente su indicazione dei giapponesi. “ Adesso togli il kimono e sdraiati a gambe aperte e occhi chiusi sulla panca e attendi. E mi raccomando di non aprire mai gli occhi a meno che non ti venga richiesto espressamente. “ Okay ”, risposi, già mentalmente domata da quel gioco che ritenevo infinitamente erotico, forse perché era la prima volta che lo giocavo. Il tocco della persona che era entrato senza che io lo sentissi, tanto era stato discreto, dapprima mi spaventò ma subito dopo infuocò il mio temperamento di donnaccia, facendomi vibrare in tutto il corpo, soprattutto quando le dita vennero sostituite dalla lingua, calda, succosa, massaggiante come il piccolo vibratore che usavo in sostituzione di un uomo, quand’ero nauseata del maschi per colpa di mio marito. Il meraviglioso cunnilinguo, che sembrava non avere mai fine, in onore della mia beatitudine, terminò quando la sua lingua venne sostituita dal sesso dell’uomo che mi stava godendo; una trave nodosa e dura da far venire le vertigini, da saziare con un unico inserimento tutto il periodo di astinenza trascorso negli ultimi tre anni. Il primo impulso quando mi penetrò fu quello di aprire gli occhi e ringraziare audacemente il maschio che mi infondeva un tale piacere, ma non lo feci poiché, il mio padrone, me lo aveva proibito; e se l’aveva fatto, probabilmente c’era una ragione ben chiara. Il seguito della scopata è stato tutto un rincorrere il piacere, espellerlo e riprodurlo con velocità per poi nuovamente espellerlo e riformarlo all’infinito, rapita da orgasmi consecutivi di qualità superiore, così intensi da farmi superare non solo la soglia del paradiso, ma anche quella dell’inferno, ovvero la lussuria più sfrenata, più diabolica. Con la maggior calma possibile, l’uomo che era entrato in me, si era dimenato con la più innaturale flemma, con una calma esasperante. Affondava e si ritraeva con il rallentatore, sino a farmi impazzire dalla voglia di essere cavalcata con violenza, ma allo stesso tempo, gradivo il suo lento sollevarsi ed ancor di più il lentissimo inserimento della sua mazza fra le pareti della mia vagina, che si dilatavano con gusto superlativo. L’apice del piacere poi lo raggiunsi quando il mio cavaliere, sprigionò dalla sua riserva ovale, il caldo fluido che invase tutto l’interno della mia intimità, regalandomi una gioia che avevo gustato soltanto la prima volta che mio marito mi aveva resa donna. Il suo ringraziamento e saluto d’addio, fu un caldo bacio sulla bocca, appena socchiusa, dove depositò una goccia di saliva, il cui gusto, conserverò per sempre. Quella stupenda esperienza mi aveva confusa così tanto che non avevo più voglia di farmi toccare da un altro uomo, nemmeno se fosse stato il più bel divo odierno. Ma purtroppo, un attimo dopo che il mio sogno era svanito, quattro mani s’impadronirono del mio corpo, rivoltandomi come un calzino, mettendomi poi in posizione tale da inserirsi violentemente dentro di me, infilzandomi davanti e dietro senza un minimo di riguardo, dilatandomi, almeno dietro, più del necessario. Più di quanto, il cugino di mio marito, dopo che lui se n’era andato, per dispetto e per disonorarlo, “ aveva affermato a sproposito ”, me lo aveva allargato, con il suo non indifferente augello. I nuovi proprietari a tempo del mio corpo, non andavano nemmeno a tempo, nell’inserirsi dentro ai miei buchi, facendomi rimpiangere amaramente il meraviglioso accordatore del mio strumento, colui che l’aveva suonato osservando tempo e armonia. Il disgustoso amplesso terminò quasi subito, fortunatamente. Vennero quasi contemporaneamente e di conseguenza si levarono subito dai buchi che avevano profanato senza alcun merito. Il quarto, lo buggerai immediatamente, dato che mi aveva appoggiato il membro sulle labbra. In meno di un minuto, l’avevo fatto godere. Glielo avevo preso in bocca e martellato il glande con la lingua, senza dargli respiro, deglutendo poi lo sperma che mi aveva rilasciato in gola per redarguirlo. “ Non si fa così! Mi hai goduto in bocca …! Ti dovevi togliere …! ”, gli dissi, guardandolo duramente, inducendolo ad andarsene mentre m’insultava nella sua lingua originale. Insulto che io tradussi riprendendo la frase filmata sul computer, e che suonava così: “ Ma che cazzo vuole questa baldracca?! ”.
Per tutta la prima settimana di aprile, l’ingegnere mi lasciò tranquilla, anzi, dopo avermi dato diecimila euro per essermi adoperata con abilità, per i suoi interessi, mi aveva anche dato sette giorni di ferie. “ Tu, rientri lunedì prossimo poiché, per Pasqua, ho in mente un programma stupendo ”, mi aveva accennato, senza poi definire cosa gli frullava in testa. Sicuramente, il perno centrale del programma ero io. Anzi, più che perno, probabilmente sarei stata il pertugio, l’orifizio dentro il quale avrebbe indirizzato una varietà di perni, tutti diversi in dimensioni, elasticità e durezza. Presa da quei pensieri, non mi ero accorta del ritorno di mia figlia Giada, mai così sfuggente e silenziosa quando rientrava da scuola. “ Ciao, Ma’ …”, mi salutò, mentre posava un enorme uovo di Pasqua sulla credenza della cucina. “ Dove hai preso quell’uovo? ”, mi venne spontaneo chiederle. Me l’ha dato l’ingegnere ”, rispose, con un’ovvietà disarmante. “ L’ingegnere …? E quando? ”, le chiesi, stupita. “ Questa mattina, quando sono passata per dirti che siamo scesi in sciopero. Il tuo capo mi ha ricevuta subito nel suo ufficio per dirmi di persona che ti aveva concesso una settimana di ferie. E’ un po’ di tempo che tu non parli più con me. Infatti non mi avevi nemmeno detto che avevi una settimana di ferie. Che ti succede, mamma? Ultimamente sei strana …! Da quando hai preso il posto di papà, non parli più con me come facevi una volta. Ti stanca molto quel lavoro …? ”, mi chiese, preoccupata. “ No, si, un poco …! ”,le risposi, confusa, poiché il mio pensiero volava contemporaneamente all’ufficio, al computer che conservava le immagini della mia vita dissoluta, da Escort, come dicono oggi, abbellendo il sostantivo femminile con la definizione inglese, ma che dentro di me suonava più comunemente: zoccola! “ E’ lui allora che ti ha dato l’uovo, Giada? ”, m’informai. “ Non direttamente, mamma. Uno dei suoi figli, il più carino dei due”, rispose, con una luce negli occhi che mi fece rabbrividire. “ Erano accanto al padre e stavano osservando un nuovo programma al computer. Deve essere una cosa segreta perché, quando sono entrata nell’ufficio, lo hanno tolto subito ”. mi confidò lasciandomi completamente senza respiro. A quelle parole, devo essere sbiancata in viso. Per fortuna, ero seduta, altrimenti non sarei rimasta in posizione verticale. Per non farle notare la mia agitazione, finsi di avere una forte emicrania, e la mandai a prendermi in camera le gocce di novalgina, l’unico medicinale che possedevo in casa. Quando tornò con le gocce: “ Sai mamma, Giorgio, il figliolo più grande dell’ingegnere, mi ha chiesto di andarlo a trovare. Gli piaccio molto. E lui piace molto a me, lo trovo simpatico? “ Si, certo, è un bellissimo ragazzo, Giada, ma non ti pare che corra un po’ troppo. Ti ha appena conosciuta e già ti ha chiesto di andare da lui …! Perché invece non l’inviti tu, qui, a cena, se vuole davvero conoscerti meglio? ”, le consigliai. Certamente, non potevo raccontare altro a mia figlia, ma se lui avesse accettato di venire a casa, avrei avuto l’occasione per parlargli e farlo desistere dal circuire la mia bambina. “ Va bene mamma. Domani intanto lo vedo e lo invito, non dubitare. Se ha intenzioni serie, vedrai che viene a cena da noi ”, mi promise Giada, felice. Giorgio, non si era rifiutato di venire a cena a casa nostra, ma non subito, dopo Pasqua, visto che prima si era già preso degli impegni che non poteva proprio rimandare, mi aveva detto, la sera dopo, Giada, mostrandosi piuttosto delusa. Il suo nervosismo mi aveva sorpresa, e non poco, ma l’avevo addebitato alla disillusione momentanea ricevuta da parte di Giorgio e null’altro. Per tutta la settimana, non ne avevamo più parlato, anzi, mia figlia sembrava addirittura che mi evitasse. Alla mattina se ne andava a scuola, e sovente non tornava nemmeno a casa per cena, con la scusa che usciva con la sua più cara amica, e talvolta, si fermava da lei a dormire. Alla domenica sera successiva, verso le venti ricevetti una telefonata dall’ingegnere, il quale mi dava appuntamento per la sera dopo. Dato l’orario, alle ventuno, immaginai subito quale sarebbe stata l’attività che avrei dovuto svolgere, pertanto, mi preparai con grande impegno nelle parti intime, indossai un vestito lungo nero, delle scarpe decolté con tacco dodici, uno scialle che mi copriva le spalle, e sopra, un parka leggero. Il tassista, non aveva smesso di scrutarmi attraverso lo specchio, rischiando persino di fare un incidente d’auto. Quando entrai nell’ufficio, l’ambiente era pieno di uomini, compresi i due figli del Boss, il più piccolo dei quali, quando mi vide, esclamò ad alta voce: “ Cazzo, che figa ci hai procurato, papà. E’ molto meglio di quella che appare nel video …! ”. Anche se ero rimasta un po’ perplessa, quel commento, mi era entrato sotto la pelle. Alla mia età essere lodata in quel modo da un ragazzino di vent’anni, era piacevole, nonostante la consapevolezza che avrebbe potuto essere mio figlio.
Quando mi guardai intorno con minore orgoglio, restai piuttosto preoccupata. L’ufficio era pieno di uomini che non avevo mai visto, a parte l’ingegnere e i suoi figli. Tutti accomodati nelle varie poltroncine mentre alcuni erano intenti ad osservare il monitor del computer che sicuramente trasmetteva le immagini di una puttana nei momenti più salienti della sua professione. Mentre mi guardavo intorno, il figlio del mio Boss, quello più piccolo, Alessandro, mi aiutò a togliere il Parka, e Giorgio, il più grande, mi porse un calice colmo di champagne Cristall, uno dei miei preferiti. “ Stasera, cara, avrai il tuo da fare, a soddisfarci tutti …! Non so mica se sarai all’altezza del tuo compito ”, mi stuzzicò, mentre contava gli ospiti. “ Vent’uno, oltre a me e mio fratello. Mio padre tienilo in sospeso perché lui, col suo diabete, non sempre è pronto sessualmente ”, m’informò, sorridendo come un ebete. Non so cosa mia figlia abbia visto, in questo sbruffone, pensai. Era talmente borioso che sentirlo parlare mi veniva l’orticaria. “ Non temere, sarò all’altezza della situazione, e se poi ne arriveranno altri, beh, tanto meglio …! ”, lo sfidai, ghignandogli in faccia. “ Staremo a vedere, poi, quando sarai all’opera ”, mi provocò, prendendomi per un braccio per trascinarmi fino al computer. “ Sarai più brava di questa troietta che ieri deliziava me e mio fratello ? ”,mi domandò, mostrandomi un’immagine sul computer dove una donna si faceva scopare stretta fra lui e suo fratello. “ Ovviamente! ”, esclamai, con convinzione, senza nemmeno osservare bene l’immagine che mi aveva mostrato. Quasi sicuramente, la pia donzella, era la puttana che si scopavano prima di me. “ Se sei convinta di quello che dici allora vai in bagno a prepararti a ricevere gruppi di uomini che ti faranno di tutto e ai quali, quando avranno finito, dovrai dire: “grazie signore, di avermi usata …! ”, mi impose, mentre mi spingeva verso il bagno. Una volta dentro, una voce, sicuramente quella dell’ingegnere, tramite gli altoparlanti, mi disse di andare dentro il bagno turco, di salire su una panca, e di fare lo spogliarello come antipasto per gli spettatori che mi avrebbero guardato col computer. ” E mi raccomando, segui per bene la musica che metterò in sottofondo ”, concluse, innestando subito dopo la colonna sonora del film “ Nove Settimane e Mezzo ”. Ad ogni indumento che cadeva a terra, un mormorio lussurioso mi raggiungeva distintamente dall’ufficio del Boss, esaltandomi oltre misura, pur se il dopo m’impensieriva piuttosto. L’ultimo a cadere, il minutissimo triangolino che tentava invano di celare la mia dispensatrice di delizie, innescò nel pubblico osservante una specie di boato gioioso, il quale mi rese impossibile di sentire la porta del bagno turco aprirsi. “ Mamma ! ”. La voce di mia figlia mi giunse come se provenisse da un sogno, o meglio, da un incubo, un terribile incubo. Quando mi voltai, lei era lì di fronte a me, nuda come quando l’avevo partorita, tremante, forse per il freddo o per il fatto di avermi davanti a lei in una condizione atipica, improponibile, per non dire inconcepibile; senza neppure quel velo di pudicizia che avevo sempre innalzato fra di noi. Il primo istinto fu quello di abbracciarla, nel tentativo di pararla dagli sguardi degli uomini che sicuramente si stavano godendo la scena, patetica, di una madre che pretendeva di oscurare le verginee nudità della propria figlia. “ Che ci fai qui, piccola …? ”, le domandai con un filo di voce. “ Mi hanno indotta loro, i figli dell’ingegnere ”, rispose Giada senza separarsi dal mio abbraccio per un solo istante. “ Mi hanno fatto vedere il video di te con il giapponese, minacciando che ti avrebbero poi licenziata se io non mi fossi concessa a loro ”, mi confessò. “ A loro chi? ”, le chiesi anche se già supponevo la sua risposta. “ A tutt’e due, mentre l’ingegnere ci guardava tramite la telecamera del computer ”, rivelò, abbassando il capo, come se si sentisse in colpa. Povera piccina! Si era sacrificata per non farmi perdere il lavoro. “ Mi hanno detto che tu ti intrattenevi con i clienti facoltosi per guadagnare del denaro extra, a loro insaputa, quando l’ingegnere era assente dall’ufficio …! ”. “ Ma non è vero! E’ stato il padrone, cioè il padre dei ragazzi a mettermi in questo giro, minacciando anch’egli che mi avrebbe licenziata se non mi fossi data da fare per attirare i suoi clienti ”, le confessai, a malincuore. Ad un tratto: “ Avete finito di elencarvi, l’un l’altra, le vostre sconcezze sessuali …? ”, ci interruppe la voce del figlio più grande dell’ingegnere. “ Allora, datevi da fare. I signori qui riuniti, vogliono vedervi comunque unite, ma non come madre e la sua fanciulla, bensì mentre vi gustate le parti intime con la bocca. Credo sia inutile ricordarvi gli accordi lavorativi presi in precedenza e l’incresciosa risoluzione del contratto, se non rispettate i termini prestabiliti, vero? ”, terminò, Giorgio, mandandomi su tutte le furie. “ Non ci penso proprio. Vai a quel paese, Giorgio, tu e tutti quelli che come te si eccitano soltanto con queste sconcezze ! ”, esclamai ad alta voce, per essere certa che sentissero tutti i presenti a quel party orgiastico a cui non volevo più partecipare. “ Beh, fai tu! ”, rispose nuovamente Giorgio. “ Comunque, sappi che se esci di li senza avere eseguito gli ordini, puoi ritenerti licenziata in tronco già da un decimo di secondo dopo ”, seguitò a minacciarmi quel gran figlio di sua madre. “ Andiamocene via Giada. Non m’importa di continuare a fare questo mestiere infame. Troverò certamente di meglio, fuori di qui, domani ”, proposi a mia figlia, tremendamente infuriata. “ Dove sono i tuoi vestiti, tesoro?”. “ Non lo so con certezza, mamma. Prima che arrivassi tu, mi hanno spogliata di forza, quattro o cinque degli uomini che ci sono di là, e mi hanno violentata, poi, mi hanno subito portata qui, da te ”, mi rivelò, sempre stretta a me. “ Decidetevi, ragazze. L’attesa per i nostri ospiti sta diventando snervante ”, ci comunicò nuovamente il figlio del Boss. “ Vieni, bambina mia: andiamocene”, suggerii a Giada. “ No, mamma, aspetta ”, mi fermò lei, guardandomi negli occhi. “ A questo punto, cos’abbiamo da perdere, di onorevole, che già non ci sia stato tolto …? Tu mi ami perché sono tua figlia ed io ti amo perche sei una madre stupenda, unica, favolosa. Che c’è di male se uniamo il nostro amore naturale all’amore sessuale? Io sono sicura che ci unirà in modo più che indissolubile, più di qualsiasi altra madre e figlia, poiché il nostro amore sarà completo, con il cuore, ed anche sessuale, allo stesso tempo ”, mi disse, abbracciandomi, non più con l’ardore dell’amore figliale, ma adottando una sensualità che proprio non le conoscevo, mentre scendeva con la bocca a baciarmi entrambi i capezzoli e poi scendere all’ombelico, fino a raggiungere l’antro dove aveva succhiato la vita, e che ora lei nuovamente suggeva per saziarsi di una linfa diversa, ma che inebria e nutre la vita sessuale. Sembrerò una madre degenere, ma la sua lingua, mi diede un tale piacere che non posso raffrontarlo a nessun altro che io ho goduto in tutta la mia vita sessuale. Presa da una frenesia incontenibile, la distesi sulla panca e adattai il mio sesso alla sua bocca, mentre io inserivo la mia lingua dentro il suo tenero fiore, ancora odorante dello sperma che avevano depositato dentro quelli che l’avevano stuprata, poco prima. Lo scrosciante battimani che avvertimmo tramite gli altoparlanti, unito al delizioso cunnilinguo che ci stavamo scambiando con vero altruismo, eccitò entrambe in modo impossibile da descrivere, se non che, sia io che Giada esplodemmo di getto, in contemporanea, superando ogni confine inimmaginabile dell’universo.

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