Sorella e fratello che bello - Zero

Scritto da , il 2017-04-20, genere incesti

Questo racconto, anche se l’ho scritto prima degli altri, mi vergognavo a pubblicarlo poiché risalta appieno l’ingenuità e la stupidità che mi distingueva allora. Lo faccio oggi perché ritengo che, dopo tutte le private confidenze che ho fatto su questo sito, non ho più ragione di vergognarmi per essere stata terribilmente sciocca.
L’innocenza non rifugge mai la libidine, se questa si maschera da fratello, sorella, zio acquisito o suo figlio, ovvero, il possessore di almeno metà sangue simile al tuo … A dodici anni, o giù di lì, certe cose non le sai ancora, non le capisci poiché la tua illibatezza ti fa vivere in un limbo appena sfiorato dalle negatività della vita, e anche se ti svegli in piena notte, in preda a spaventosi incubi, madida di sudore e in un lago di sangue fra le cosce, la tua innocenza ti consente di credere che quel disastro vaginale sia dovuto al sogno che ti ha coinvolta come cavia di un mostro dei cartoni animati erotici giapponesi, che nell’incubo ti ha stuprata con ferocia inaudita. Questo credevo, quella notte, quando mi sono destata urlando, terrorizzata dall’incubo e dal liquido caldo sul quale ero adagiata con i glutei. La prima a tranquillizzarmi era stata mia sorella Anna, distesa al piano superiore del lettino a castello, nella nostra cameretta. Poi mia madre, poverina, che era saltata letteralmente giù dal suo letto per venire a vedere cosa mi era successo. Subito dopo seguita da mio padre, anche lui spaventatissimo. L’unico a non svegliarsi, mio fratello Mauro, il cui forte russare seguitava ad infrangere il silenzio della notte, nonostante che la sua camera fosse piuttosto lontana dalla nostra. “ A Tara, è arrivato il ciclo, mamma ”, le confidò Anna, in tono confidenziale, vista la presenza di nostro padre. “ Il ciclo …? ”, bofonchiai io, sospettando una brutta malattia. A scuola avevamo affrontato il tema Mestruo e con le amiche avevamo parlato delle “ Tue Cose “ ma mai del ciclo, la definizione data da mia sorella. A lei l’impedimento naturale, si era presentato ancora prima, all’età di undici anni, e visto che io allora ne avevo appena nove, con me non ne avevano parlato. Nei primi mesi, il ciclo giungeva puntuale, senza darmi alcun problema, ma ad ottobre, cominciai ad avere dei fortissimi dolori di pancia. Il ginecologo, dopo avermi fatto una visita accurata, mi aveva prescritto un tipo di pastiglie, e suggerito a mia madre di farmi cambiare aria. “ La montagna sarebbe ideale. Sovente, una diversa temperatura, serve a migliorare molto la circolazione sanguigna e a dare regolarità al mestruo ”. “ Allora, la mando da mia sorella, in valle d’Aosta …”, concordò mia madre, particolarmente affezionata a quel medico, l’unico che seguiva tutta la famiglia, iniziando da lei. A Cogne, a novembre, la temperatura incomincia ad essere piuttosto fredda, e a casa di mia zia, soltanto una stufa a legna ed un camino, quasi sempre spento, riscaldavano l’ambiente. Nella cameretta che mi era stata riservata poi, esposta a nord e in un punto dove non batteva mai il sole, il freddo della notte non mi faceva dormire, nonostante la zia mi mettesse due borse dell’acqua calda sotto le coperte. Alla domenica, la zia, scendeva ad Aosta per andare a trovare sua figlia, mia cugina, che aveva avuto da poco tempo una bambina, e di solito tornava a Cogne il lunedì mattina presto. “ Quando vedi Clara, salutala da parte mia e dai un bacio alla piccola ”, mi raccomandai, mentre saliva sull’autobus di linea. Quando rientrai a casa, cera soltanto mio zio Rodolfo, intento a cucinare dei funghi che aveva raccolto lui stesso. “ Ti piacciono i funghi, Tara? ”, mi chiese senza nemmeno voltarsi. “ Si, molto, zio ”, risposi io, ed era vero, specialmente con del riso. “ E quale tipo di fungo ti piace di più …? ”, mi domandò, apparentemente senza una specifica ragione. “ I porcini ”, risposi io, ingenuamente. “ Un bel porcino come questo? ”, mi chiese, mentre si voltava con il suo pisello penzolante dalla patta dei pantaloni. In un primo momento, sorpresa, rimasi lì a fissare il sesso di mio zio senza sapere cosa fare, poi, presa dalla vergogna, mi rifugiai in bagno, senza avere l’accortezza di chiudermi dentro, quasi come se lì, lui non avrebbe avuto il coraggio d’entrare. L’improvviso accadimento mi aveva stimolato la pipì. Quando lo zio entrò nel bagno, sempre con il suo sesso penzolante, fuori dai pantaloni, io mi ero appena seduta sul water per liberare la vescica, organo che si sigillò automaticamente alla vista dell’uomo che aveva sposato mia zia. “ Dai, su, piccola, non fare la difficile …! Devi solo ciucciarlo un pochino, fino a farmi godere. Mica voglio mettertelo fra le chiappe, sai? Nessuno lo saprà, te lo giuro, e se farai quello che ti chiedo, ti regalerò anche qualche soldino ”, mi promise, mentre s’avvicinava a me, che continuavo a rimanere seduta sul water, con le mutandine giù alle caviglie, immobile come se fossi stata una statua di sale; situazione per lui favorevole, visto che si abbasso mettendomi una mano sulla vagina e, benché inumidita dalla pipì, iniziò ad accarezzarmela invadendola anche un po’ col dito pollice. “ Lasciami stare, altrimenti lo dico alla zia! ”, lo minacciai, senza troppa convinzione. La circostanza scabrosa in cui mi ero venuta a trovare, in fondo, non era poi così disastrosa come era stata descritta in alcuni romanzi erotici che avevo letto, e a dire il vero, provare l’emozione di riempirmi la bocca con quel duro pezzo di carne di un uomo, mi attraeva molto. Per non confessare il desiderio che mi aveva sorpresa: “ E quanto mi dai se te lo succhio …? ”, gli chiesi, senza sollevare il capo. “ Tu quanto vuoi …? ”, rispose lui, continuando a toccarmi la vagina e con l’altra mano a menarselo con rapidità. “ Di-e-ci euro? ”, domandai quasi balbettando, temendo di esagerare. “ Benissimo! ”, rispose lui avvicinando il membro alle mie labbra che, come se fossero guidate da una forza naturale, si spalancarono esageratamente accogliendo buona parte di quel tesoro umano che fa felici tante donne. Il suo piacere, eruttato tutto dentro alla mia bocca e inghiottito solo per non rischiare di soffocare, stuzzicò parzialmente anche il mio, senza però farmi raggiungere quella vetta che oggi conosco bene. Solo in un secondo tempo, quando ormai eravamo tornati in cucina, una forte acidità mista all’odore terribile dei funghi carbonizzati in pentola, mi aveva fatto rimettere tutto il seme che avevo ingerito e pure il latte della colazione; vomito che mi debilitò in tale modo da costringermi a distendermi a pancia sotto sul lettino nella mia stanza. Posizione che unita all’emozione per l’accaduto di prima con lo zio e la nausea che continuava a disgustarmi, favorirono un sonno improvviso. Prima di cadere in quel sonno profondo, ricordo che mio zio mi aveva fatto bere un infuso caldo di malva, o forse camomilla.“ Bevi piccola. Questo ti rimette in ordine lo stomaco ”, mi consigliò premuroso mentre mi accarezzava le tette, che già avevano bisogno di una terza di reggiseno. Quando mi svegliai, il pendolo a muro della camera, segnava le due e venti del pomeriggio, ed io mi trovavo tutta nuda sotto le coperte del letto matrimoniale di mia zia, un ambiente molto ben riscaldato in confronto alla fredda cameretta che lei mi aveva assegnato. Provai a toccarmi sotto per assicurarmi che mi avessero almeno lasciato le mutandine, ma niente …; infatti, facevano bella mostra di se insieme al reggiseno e agli altri indumenti, sulla poltroncina al lato del letto. Cercai subito di rimetterle per avere almeno una esile protezione, se lo zio fosse tornato alla carica, ma scartai subito l’idea poiché le vidi sporche di sangue proprio in corrispondenza della vagina. Spaventata, chiamai subito lo zio, che arrivò così velocemente da sembrare in attesa dietro alla porta della camera. “ Cosa c’è, bambina? ”, mi domandò premuroso, sedendosi sul letto accanto a me. “ Non sapevo come chiedergli spiegazioni sul fatto che le mie mutandine bianche classiche, fossero sporche di sangue, supponendo che fosse stato lui a togliermele. “ Io non lo so, bambolina. E’ stato Marcello a spogliarti e a metterti a letto qui, in camera di tua zia, visto che eri così infreddolita da tremare persino. Mio cugino, entrò proprio in quel momento. “ Parlavate di me vero? ”, chiese, avvicinandosi anche lui al letto, per poi chinarsi e baciarmi sulla fronte. ” Ciao, bellissima cuginetta! Come ti senti ora …? ”. “ Credo meglio. Ma non ne sono ancora sicura. Ho avuto una perdita di sangue, e non capisco … ”, mi fermai, sospendendo la frase, comunque, certa che lui avesse capito a cosa mi riferivo. “ Già, è vero. Anch’io me lo sono chiesto, quando ti ho spogliata. Non avrai mica il ciclo? ”, mi domandò in modo crudo, senza mezze parole. “ No, mi è appena passato … ”, risposi anch’io in modo esplicito, anche se avvertivo una certa vergogna rodermi dentro. “ Allora presumo di sapere cos’è accaduto, vero papà? ”, gli disse, guardandolo fisso negli occhi. “ Io non ne so niente ”, negò mio zio, poi, senza aggiungere altro, se ne andò senza nemmeno chiudere la porta della camera. “ Quel porco di mio padre, non vorrei avesse abusato di te, mentre dormivi …! ”, recriminò Marcello, mostrandosi eccessivamente preoccupato. Poi, dopo avere sollevato le coperte fino alle mie caviglie: “ Lasciami controllare, piccolina ”, mi sussurrò, avvicinando il suo viso al mio pube. La cosa che mi dava infinitamente fastidio, era quel definirmi piccola o bambina usato da mio zio ed anche da mio cugino. E’ vero che, poco meno di tredici anni, la dicevano lunga sulla mia evidente sprovvedutezza, ma fisicamente ero già così tanto sviluppata, che le amiche mi chiamavano maggiorata, e m’invidiavano molto, quando nei gabinetti della scuola, mettevamo a confronto il nostr seno per vedere chi ce l’aveva più sviluppato: io, naturalmente.
Presa da questi pensieri, mi accorsi soltanto quando sentii il dito di Marcello toccarmi le labbra della vagina che voleva sincerarsi se suo padre avesse fatto dei disastri con il mio sesso. “ Ti fa male qui, Tara? ”, chiese, sollevando lateralmente un labbro della mia passera. “ No, non mi fa male ”. “ E da questa parte? ”, chiese, sollevando l’altro. “ Neppure …! ”, sospirai io, avvertendo un benessere strano invadermi il ventre, mentre i brividi, questa volta non di freddo, scuotevano tutto il mio corpo.“ E dimmi: t’ha messo un dito dentro …? ”, continuò, ansimando, proprio come se soffrisse d’asma. “ Si, più di metà …! ”, aggiunsi io, stupendomi per come lui conosceva bene le anomalie sessuali di suo padre. “ In questo modo? ”, domandò, dopo avermi infilato metà del dito indice. “ Non quel dito …!”, mi lamentai. “ Il pollice … ”, lo ripresi, senza presupporre che lui si era sbagliato volontariamente. “ Ah, questo …! ”, si corresse, sostituendo l’ indice con il pollice, penetrando, col suo ditone, dentro di me fino alla congiunzione con la sua mano. “ E’ questo che ha fatto quel pedofilo di mio padre? ”, mi domandò mostrandosi infuriato. “ E non dirmi che ti ha toccata anche qui dietro? ”, mi chiese, infilando una mano sotto i miei glutei. “ Quando ero sveglia no, assolutamente. Mentre dormivo non lo posso dire ”, ammisi, dubbiosa. “ Allora fammi controllare. Girati a pancia sotto, che voglio rendermi conto se per caso ti avesse sverginata ”, mi suggerì, aiutandomi a girarmi con i glutei in aria, a sua completa disposizione. Spaventata a morte dalla possibilità di essere stata stuprata, stupidamente gli lasciai fare ciò che riteneva opportuno per accertarsi se zio mi avesse tolto la verginità, senza rendermi conto che, l’illibatezza della donna, ha sede soltanto davanti, dentro la vagina. “ Qui, non vedo nulla di anomalo ”, mi suggerì dopo avermi infilato un dito nell’ano, dilatandolo senza farmi male; scivoloso al massimo e fresco, poiché, a mia insaputa l’aveva spalmato di tanta crema nivea, scatoletta che poi avevo notato sul comodino della zia, ancora aperta, senza coperchio. “ Per accertarmi meglio, Tara, devi lasciarmi andare più in fondo, per appurare se davvero ti ha rovinata, lo zio ”, mi comunicò mio cugino, mettendosi a cavalcioni sul letto. Girata com’ero e con la faccia sul cuscino, molto preoccupata, non avevo notato che Marcello, senza farsi vedere, aveva sfoderato il pene, se l’era spalmato di crema e l’aveva puntato sul mio buco posteriore per sondarlo, esclusivamente per rassicurarmi di non essere stata rovinata dallo zio. Man mano che entrava col suo attrezzo per l’accertamento della mia integrità anale, ogni tanto si fermava per dirmi: “ Se ti fa male, è perché fino a questo punto non ti ha lacerata. Se invece, quando arriverò al fondo, non sentirai più dolore, avremo la certezza che quel maiale ti ha preso la verginità ”, mi aveva informata mentre, con leggeri colpi si inseriva completamente in me, senza per altro, infondermi dolore eccessivo. O meglio, quella esplorazione anale mi aveva eccitata gradatamente fino a portarmi ad avere una strano piacere quando avvertii in pancia un flusso caldissimo espandersi tutt’intorno alle pareti del mio retto. “ Be’, io direi che sei ancora vergine, lo sai, Tara? ”, mi confidò dopo essersi tolto da me accaldato e col fiatone.“ Sono contenta che me lo confermi sai Marcello … ”, lo ringraziai, riconoscente per tutte le attenzioni che aveva avuto nei miei confronti.“ Te lo dovevo, mia stupenda cuginetta! ”, rispose impettito, ma non così nelle parti basse, dove la sua sonda s’era ammosciata in una condizione cha avrei quasi detto, mortale, tanto il suo membro era raggrinzito e piccolo. “ E bravi i miei piccioncini …! facevate gli sporcaccioni, vero? ”, ci accusò lo zio, entrato all’improvviso nella camera, sorprendendoci ancora nudi ” . “ Non è come pensi tu, papà. Accertavo soltanto per quale motivo Tara aveva perso sangue ” . “ E hai appurato il motivo, figliolo? ”, gli chiese lui, con l’espressione di uno che s’intende di ematologia. “ Da dietro, non di sicuro, almeno fino a dove ho potuto analizzarla io. Purtroppo, però, la mia sonda non è lunga come la tua, papà, e potrei non avere raggiunto il punto dolente ”, rispose lui dispiaciuto. “ Be’ se è per questo, ora ci penso io, non temere. Ma il problema potrebbe essere nel lato anteriore. Li l’hai sondata …? ”, domandò a Marcello, con fare professionale, da dottore specializzato in ginecologia. “ Non ancora. La visita che le ho fatto, è stata lunga e molto dispendiosa, fisicamente. Mi stavo riprendendo, e poi, avrei completato la diagnosi ”. I loro discorsi con i vari riferimenti alle mie parti intime, in quel momento mi avevano confusa; ma soprattutto mi aveva confusa molto il delizioso vortice che aveva preso vita in me quando Marcello aveva immesso del liquido caldo nella mia pancia. Ingenua com’ero, non mi importava di sapere come avesse fatto a inserire quel flusso bollente dentro di me, ma tant’è, che avevo voglia di farmi ancora annacquare allo stesso modo. “ A questo punto, Marcello, bisogna che collaboriamo nella visita … Non voglio assolutamente che ritorni a casa con una patologia incerta ed irrisolta. Tu la sondi davanti e io provvedo a terminare, con più profondità, l’analisi che le hai fatto dietro ”, si accordarono tra di loro comprimendomi come una fetta di prosciutto; trafiggendomi contemporaneamente anche se la trivella che aveva allargato la mia passera, non era ancora del tutto temperata. Non certo come quella che mi stava martoriando il dietro, la quale, nonostante lo zio l’avesse cosparsa di un’infinità di nivea mi stava invadendo molto più dolorosamente di quella usata da mio cugino. Il dolore comunque che lo zio mi procurava dietro, scomparve di colpo quando Marcello superò il muro della mia illibatezza reale. Il fiato stentava a risalire dai polmoni alla mia gola, ristretta dall’interminabile urlo che sfociò in uno svenimento dal quale, a detta dei miei stupratori, ero uscita più di dieci minuti dopo, quando loro, dopo avermi vestita di tutto punto, erano decisi a chiedere l’intervento di un’ambulanza. Oggi, quando ripenso alla mia ingenuità di allora, per non dire scemenza, che sarebbe il termine più confacente, mi viene da sorridere. Comunque non nego che se mi tornano in mente quegli avvenimenti, sola nella mia camera, mi eccito da morire, fino a quando non riesco a darmi piacere da sola, e altre volte, con mia sorella Anna, mentre le racconto, dettagliando, l’accaduto. A proposito di mia sorella Anna. Anche lei, l’anno prima, aveva trascorso due settimane a casa della zia, però non mi ha mai confidato nulla di ciò che potrebbe esserle successo con mio zio e mio cugino, nemmeno la volta che entrammo in confidenza sessuale con nostro fratello Mauro.

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