Un piercing tira l'altro

Scritto da , il 2016-11-07, genere feticismo

Ero disteso completamente nudo sul lettino, in attesa dell’imminente arrivo di Zaira, la titolare del negozio di piercing. Lo specchio alla parete di fronte rinviava la mia immagine, che si poteva leggere in ordine inverso, prima le piante dei miei piedi, poi le mie gambe snelle, le mie palle ben in evidenza, il mio cazzo già parzialmente duro, il mio torace con i capezzoli luccicanti per gli anellini che li agghindavano, e il mio viso che fissava lo specchio. Un mio amico mi aveva dato l’indirizzo del negozio di Zaira, specializzato nel piercing erotico, assicurandomi che lei avrebbe trovato la soluzione giusta per quello che cercavo, cioè un sistema di godimento che coinvolgesse contemporaneamente i capezzoli e il cazzo, ossia che consentisse di tirarseli insieme, utilizzando però una mano sola, perché l’altra mi doveva servire o per far godere il partner oppure, in caso fossi solo, per potermi penetrare il cazzo con il dito o con qualche altro aggeggio adatto allo scopo (talvolta non disdegno infatti il sounding). Detto così a parole il tutto sembra complicato, ma provate voi a tirarvi nello stesso momento i due capezzoli, il cazzo, scopando nel contempo quest’ultimo, con le sole due mani di cui la natura ci ha dotato!
Stavo pensando a questo e al momento in cui poco prima una giovane inserviente mi aveva fatto accomodare nello stanzino del piercing invitandomi a liberarmi di tutti i vestiti per distendermi sul lettino, quando entrò Zaira, una bella brasiliana sulla trentina, alta, coi capelli nerissimi raccolti in una coda di cavallo, dagli occhi verde smeraldo, vestita con una specie di vestaglia di seta multicolore e a piedi nudi, piedi affusolati, dalle caviglie sottili come le dita, le cui unghie, come quelle delle mani, erano rivestite da un brillante smalto della stessa tinta dei suoi occhi. Notai che sorrise leggermente nel posare il suo sguardo sul mio corpo di agile quarantenne, alto e asciutto, ma vidi che si fermò una frazione di secondo in più sul mio cazzo, che, pur non essendo in quel momento nella sua massima espressione, era in buone condizioni sia per quanto stavo meditando poco prima sia per il suo ingresso. Poiché mi chiese cosa poteva fare per me, le illustrai l’obiettivo erotico che intendevo raggiungere, usando ben volentieri il linguaggio più diretto possibile, perché mi aveva ricordato che nel suo negozio occorreva lasciar da parte le convenzioni.
“Insomma", conclusi la mia spiegazione, "vorrei godere con i capezzoli e contemporaneamente con il cazzo, ma usando il meno possibile le mani, per tenerle libere per il partner o, in assenza, per me stesso, raggiungendo altre parte del mio corpo o coinvolgendo ulteriormente quelle già protagoniste”.
“Ho capito, ho già un’idea”, fece lei, che si era messa a fianco del lettino, all’altezza del mio cazzo.
“Ecco perché rivolgersi sempre agli specialisti”, pensai (a voce alta).
Contemplò i miei capezzoli e poi il mio cazzo.
“Ovviamente sarà necessario un piecing anche qui”, disse afferrando professionalmente il cazzo. Il mio cazzo, da duro, misura circa 18 centimetri, è dritto e si conclude con una cappella molto grossa, di colore rosa scuro e sempre libera. Così era quando me lo prese tra le dita. “La mia idea”, continuò, “è di attaccare due catenine ai piercing dei capezzoli, e gli altri estremi verranno uniti al piercing che metteremo sulla punta del tuo cazzo. Così si formerà una specie di triangolo fatto di catenine, i cui tre vertici saranno i due capezzoli e il cazzo. Tirando anche una sola catenina si tireranno anche le altre”.
“Perfetto, si può procedere”, diedi il via libera al progetto di quella fantastica geometra del sesso.
Senonché Zaira mi spiegò che era norma del negozio, prima di procedere a un’operazione che sarebbe stata definitiva e di cui magari ci si poteva pentire in seguito, farmi sperimentare i risultati usando un sistema reversibile. Anche a questa richiesta diedi immediatamente il mio benestare.
Allora prese il mio cazzo, che era sempre più rigido, e lo tirò verso il soffitto (prima era ovviamente parallelelo al mio piatto ventre) e soppesò con attenzione la cappella, che era bella gonfia. La palpò tra indice e pollice per saggiarne la consistenza, e si dilungò in particolare sulla base della cappella, valutando con la punta delle dita lo scalino ben marcato che in pratica differenziava la lunga asta dalla voluminosa cappella.
“Sì”, concluse compiaciuta, “il tuo cazzo si presta ottimamente alla cosa. Sei fortunato ad avere un cazzo così, ma credo che te lo abbiano già detto”.
“In effetti il mio cazzo riscuote molto successo dal punto di vista estetico”, confermai, “e anche sotto il profilo per così dire operativo se la cava bene, ma sono qui apposta per migliorare questo aspetto!”.
Zaira, dopo aver pescato da un cassetto quanto le serviva, mi agganciò ai piercing dei capezzoli due catenine lunghe circa un paio di spanne ciascuna, alle cui estremità vi erano dei gancetti, poi mi mostrò un aggeggio costituito da due anelli di metallo uniti tra loro, uno dal diametro piuttosto grande, diciamo circa 4 centimentri, e uno molto piccolo. Prese il mio cazzo, lo issò in posizione verticale, e vi infilò dall’alto l’anello più grosso, facendolo scendere fino alla base della cappella.
“Vedi”, mi disse, “con un cazzo come il tuo, con la cappella molto grande e debordante dall’asta, l’anello rimane ben bloccato e non scivola via se lo si tira dall’alto. Inoltre, più il cazzo ti si gonfia, più l’anello te lo stringe bene, e più te lo stringe bene, più la cappella si gonfia, per cui il processo ottiene il massimo dell’effetto voluto, sia che sei tu a masturbarti, sia che sia qualcun altro”.
Ero estasiato dal sapere di questa ingegnera del fallo.
“Adesso”, proseguì, “è sufficiente collegare al secondo anellino che hai sul cazzo le due estremità libere delle catenine dei capezzoli, e il gioco è fatto! Inoltre puoi collocare gli agganci a diverse altezze, in modo che la catena sia più o meno tesa a seconda della rigidità o della posizione che vuoi far tenere al cazzo”.
“Magnifico”, esclamai tirando con una mano le due catenine, e sentendo che i miei capezzoli e il mio cazzo venivano simultaneamente stiracchiati in alto facendomi provare un piacere speciale che non avevo mai provato. “Mi sa proprio che, dopo i capezzoli, anche il mio cazzo sfoggerà un bel piercing”, conclusi.
“Un piercing tira l’altro”, commentò Zaira dimostrandosi abile nei giochi di parole oltre che in quelli del sesso.
“Resta però un problema di equilibri”, cavillai (in effetti sono un po’ esigente, tanto nella scopata quanto nella sega, ma per me sia l’una che l’altra sono un’arte - e vorrei conoscere il vostro parere al proposito se vi va di scrivermi), “nel senso che ci vorrebbe un qualcosa che tirasse anche dalla parte opposta, cioè verso i miei piedi, così il mio cazzo sarebbe al centro di due forze contrapposte, una che lo tira verso l’alto e una che lo tira verso il basso, a tutto vantaggio del suo godimento”.
“Vedo che ci intendiamo”, approvò lei con un lampo di malizia negli occhi. “Ecco qui gli altri due anelli a cui legare il tuo cazzo”, disse levandosi l’indumento e rimanendo tutta nuda, esibendo una pelle liscia e ambrata e due tettine sode su cui spiccavano dei piercing infilati in due capezzoli già sodi.
Dopo aver preso altre due catenine, salì sul lettino e si mise agilmente seduta tra le mie gambe, che tenevo allargate, si aggangiò ai capezzoli le catenine e unì poi gli altri due capi all’anellino del mio cazzo. Ora, chi avesse contemplato dall’alto la situazione che si era venuta a creare, avrebbe visto due triangoli rovesciati i cui vertici centrali erano costituiti dalla mia cappella, e la coppia di vertici laterali dai capezzoli miei e di Zaira.
“Ora puoi godere senza usare neanche una mano”, affermò la nuova Euclide della masturbazione.
Era stupendo. Ero disteso tutto nudo a gambe allargate. Le mani lungo i fianchi, vedevo quella meravigliosa sacerdotessa del godimento che, seduta accanto ai miei coglioni, muoveva il busto avanti e indietro in modo da tirare più o meno forte il mio cazzo e nel contempo i miei capezzoli, che venivano tirati esattamente come erano tirati i suoi, che ormai erano durissimi, somigliando quasi a dei piccoli cazzi. Il ritmo che imponeva era veramente trascinante e iniziavamo a mugolare di piacere dicendo sconcezze e invocando i nostri nomi.
I nostri sguardi bramosi erano fissi sul mio cazzo, lungo, durissimo, la cappella enorme e viola che, stretta alla base, svettava dall’anello e diventava quasi lucida tanto la pelle era tesa.
“Guarda che bel cazzo che hai”, giudicò Zaira, anche lei sempre più eccitata, “quella cappella è così bella che merita tutte le tecniche per farla godere in qualsiasi momento, e sempre più forte”.
Allungò le gambe ai miei fianchi, sicché finii per avere i suoi incredibili piedi ai lati della mia testa. Da sincero ammiratore dei piedi ne approfittai subito e vi avvicinai il naso, assaporandone l’odore speziato misto a sudore, il che mi fece impazzire. Infatti, nel sesso, come un cazzo deve sapere di cazzo, una figa di figa, un ano di buco del culo, così un piede deve… puzzare. Mentre mi beavo di quell’olezzo, emanato da piedi da sballo con le unghie smeraldine, il mio cazzo, sollecitato e allungato dai movimenti sussultanti dei capezzoli di Zaira, aveva raggiunto dimensioni davvero ragguardevoli, e anche lei, come me, ne eravamo come ipnotizzati. La cappella ora era grossa come una prugna, e del colore ciclamino di quel frutto. Come il mio cazzo, anche i miei capezzoli venivano trascinati in alto, e lo stesso accadeva per quelli di Zaira, ormai diventati dei bastoncini marroni.
“Sono la tua troia, voglio che mi scopi”, gemette a un certo punto aprendo di più le gambe e mettendo in mostra una figa formidabile, sormontata da un clitoride ben visibile, rosso rovente. “Dimmi che sono la tua troia e scopami”.
Così come eravamo disposti la cosa era alquanto complessa, ma il sesso è bello perché una soluzione soddisfacente, se si vuole, la si trova sempre.
La trovai piegando una gamba e infilandole nella figa l’alluce del mio piede.
“Siii”, mugolò la troia dondolandosi sul mio piede, “mi piacciono i tuoi piedi, quando sono entrata li ho subito adocchiati, e spero che puzzino almeno un po’”.
“Quello è sicuro” la confortai. “Un mio difetto è che, se sono eccitato, i piedi mi sudano e finiscono per puzzare”.
“E questo lo chiami un difetto?”, si stupì la zoccola. “Credo che godrò come mai in vita mia”.
“Lo stesso vale per me”, concordai.
E a confermare i nostri auspici la troia ricorse a quello ch sarebbe stato lo stratagemma conclusivo della nostra scopata, dimostrando inoltre di essere stata attenta alle mie iniziali spiegazioni.
Mentre lei sbatteva la figa contro il mio alluce, inspirando a pieni polmoni l’odore forte del mio piede sudato, che per inciso sbatteva a sua volta, con il tallone, contro le mie palle gonfie, provocandomi una sorta di volutà intensa anche lì, io gustavo la fragranza eccitante dei suoi piedi e intanto mi entusiasmavo nell’ammirare il mio cazzo che, al centro di un reticolo inedito e straordinario, veniva tirato da una parte e dall’altra, cioè dalle forze contrastanti dei suoi e dei miei capezzoli, che per fortuna erano ben saldi nelle loro radici, così come il mio cazzo, che, strozzato, presentava una cappella da premio fotografico, grossa, durissima, congestionata fino a essere violacea, dalla pelle così stirata che il buco in cima si era aperto, dilatandosi quasi come una piccola bocca invitante. Fu lì che la mia troia infinita ebbe il lampo di genio. Mentre con una mano di sfregava il clitoride fradicio per l’umore della figa e per il sudore del mio piede olezzante, infilò l’indice dell’altra mano, dopo esserselo imbevuto delle secrezioni della figa (e del mio piede), nella punta del mio cazzo, iniziando a scoparmelo su e giù. Era quello il momento che si vorrebbe non finisse mai. Ero in delirio. In completo riposo, senza usare le mani, annusavo un bel piede odoroso, il mio piede scopava in una figa stratosferica, le mie palle tumide erano percosse dal mio calcagno, i miei capezzoli erano tirati al limite, il mio cazzo era come impiccato e nel contempo scopato dentro: volevo continuare questa meravigliosa e ineguagliabile tortura il più a lungo possibile, volevo che il mio cazzo diventasse ancora più duro, la mia cappella ancora più grande e scura, diventasse un pallone che solo il dito della mia aguzzina avrebbe fatto esplodere infilandosi nelle sue profondità. Ed è quello che accadde. Avete presente una bottiglia di una bevanda gassata che viene agitata ma un dito tiene chiusa l’apertura? Il liquido che era nelle mie palle era pronto per sprizzare fuori, ma il dito di Zaira che mi scopava il cazzo ne impediva l’uscita, e più il dito scopava, più la pressione aumentava. Pensavo che veramente la cappella sarebbe ora andata in mille pezzi. Fu in quel grandioso istante che lei iniziò a gemere e a venire, contraendo la sua figa attorno al mio alluce, inondandomi il piede con i suoi succhi intimi. La potenza dell’orgasmo la costrinse a estrarre il suo dito dal mio cazzo, che fu così libero di sparare fuori con una serie di fiotti densi tutta la sborra che si era accumulata a furia di strozzate esterne e di scopate interne. Il getto fu così forte che alla troia ululante fu facile aprire la bocca e gustarsi l’essenza bollente delle mie palle, mentre io gridavo il suo nome, e lei il mio.

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