La corda e l'incubo

Scritto da , il 2016-09-25, genere bondage

Le cose tra me e lei non andavano bene da un po’. Peraltro lei, Marta, la mia ragazza, voleva affetto, che io non potevo darle perché ero preso troppo da me stesso: lavoro, carriera, soldi. Al contrario, io volevo sesso e compagnia. Ma specialmente sesso, confortato dai miei 32 anni. E così la nostra storia, breve ma intensa, finì.
Mi sentivo libero, ma senza cacciagione. Mi ricordai di un’amica comune, gran porca, che non vedevo da un po’. Uscimmo a cena, le raccontai i trascorsi e, molto direttamente, mi chiese “ora quindi hai voglia di scopare e di divertirti, eh, gran porco? E’ per questo che siamo usciti, come ipotizzavo da quando ho ricevuto la tua chiamata?!”. Restai senza parole, imbarazzato, eccitato. E aggiunse: “ci sto manzino, ma dovrai guadagnarti l’erezione”. Restai incuriosito, pregustando la continuazione della nostra serata.
Arrivammo a casa da lei e mi disse di spogliarmi. Restai ubbidiente in mutande. Lei uscì per rientrare subito. Aveva delle corde in mano. Le chiesi che diamine volesse farci con quelle corde, e la risposta era di stare calmo e che lo scopo era di dare più pepe alla serata. Mi condusse in camera, aprì l’armadio, nel cui interno-anta, a destra e a sinistra c’erano dei gancetti. Mi fece alzare le braccia, aprendole, e divaricare le gambe. Obbedii ignaro e divertito, con una visibile erezione che faceva capolino.
Mi legò e imbavagliò. Mi tirò giù i calzoni e iniziò ad affondare compiaciuta la sua bocca calda sul mio bel pezzo di carne, completamente scappellato e in erezione. Godetti come non mai, irritato solo di non poter posare le mani sul suo capo e spingerle la testa contro i miei coglioni bollenti. Dopo un po’ di minuti di leccate e spompata, smise. Si tolse i vestiti, rimanendo nuda e statuaria: un corpo di media bellezza, slanciato, intrigante, con un triangolo nero e peloso irriverente e sovrano tra le gambe. Volevo possederla.
Uscì dalla stanza e rientrò tenendo in mano una frusta a più code. La guardai perplesso, divertito e anche preoccupato.
Spompò ancora per mia delizia. Poi, come gatta, salì all’altezza del mio viso: mi baciò, mi tappò con forza con le mani le narici e nella mia bocca aperta inserì un mio calzino. Ero incazzato, schifato, ma legato. Strappò dello skotch da pacchi che non avevo visto e mi sigillò bocca e calzino.
Ero terrorizzato e sconvolto.
Al che prese la frusta, e iniziò la prima grossa frustata. Mi tesi e contorsi per quanto potevo dal male di quel primo doloroso colpo sul petto. Ne arrivò un altro. E un altro ancora. Era indemoniata, io impotente e sconvolto. Si quietò. Se la prese con le mie gambe, male terribile, ma sopportabile. Si compiacque che l’erezione non mi era completamente scesa e poi arrivò il colpo sul cazzo e sui coglioni. Restai senza fiato e scosso a più riprese per la bocca. La troia, eccitata, si toccò e mi percosse di nuovo su pube e genitali.
Drammaticamente, con mio orrore, l’erezione non scese, ma si rafforzò… Mi arrivarono nuovi colpi sulle palle e sul pene e nel dolore godevo. Lei lo capì. Poi si fermò e riprese a succhiarmi la minchia con i suoi mille umori. Mentre succhiava, mi strizzava le palle con violenze, come a spremerne il succo, che però ancora non usciva. Io ero devastato e in sua mano, con le unghie che mi ferivano cazzo e scroto.
Si allontanò per un po’. Non potevo parlare, urlare o chiedere qualsiasi cosa. Solo mugolii. Ritornò con delle mollette da tendone, dure e tenaci e me le mise, tra i miei mugolii di dolore ai capezzoli.
Mi guardò e la troia mi fotografò ridotto così: devi essere umiliato maschio che scopi senza riguardo le donne. Ero dolorante ed eccitato insieme e non sapevo che augurarmi. Mi prese i coglioni in mano, stringendo la sacca tra le dita e iniziò con una racchetta di legno da ping pong a colpirli. Mi piegavo, mi dimenavo e soffrivo. Uscì almeno una lacrima dai miei occhi e l’erezione iniziò a decrescere.
La troia ricominciò a pomparmi e a riportarmelo scandalosamente in tiro, devastato ed eretto. E allora entrò in stanza, dato che si era accordata per umiliarmi prima con lui, il suo vicino di pianerottolo gay, sulla cinquantina, ben portati. Ero in preda al panico e all’umiliazione.
Come se nulla fosse questo si inginocchia dinanzi a me e continua la pompa. Io mi muovo, scatto, scuoto la testa, inizio a piangere ma sono legato. Ero furioso e schifato.
Iniziò a pompare e mi si afflosciò dapprincipio, nel mio orrore. Non mi era mai passata per l’anticamera del cervello una cosa simile e avevo ribrezzo di me stesso. Continuò la pompa, senza demordere, leccandomi le palle e mordendomi a volte l’asta. Purtroppo, con mia umiliazione, in mezzo agli insulti di lei e alla sua derisione, mi si rizzò. Mi resi conto che stavo per venire. Lei mi tolse lo skotch d’un tratto, facendomi malissimo alla barba e sputai quel calzino di merda che mi faceva soffocare. La scongiurai “perché fai questo? Fallo smettere. Non voglio venire così, con un uomo”. Piansi anche. E alla fine in mezzo al mio più drammatico “noooo”, sborrai, venendo prontamente inghiottito dal cinquantenne.
Questo se ne andò mentre ero ancora legato. Ero furioso. Lei mi slegò ed ero a pezzi. Ma la rabbia e l’umiliazione fecero il resto. Appena ebbi le mani libere, la presi, mi ritornò spavalda l’erezione e la fottei nel culo introducendo il cazzo gonfio nel suo ano tra le sue urla, il suo dissenso e, a breve, i suoi mugugni di piacere. “Sto per venire, troia, e prenderai la sborra in culo” le intimai. Cercò di divincolarsi, ma non ci riuscì e venni dentro alla tigre del materasso, appagata ma ancora indomita.

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