L'insegnante di piano - Capitolo 1: Ossessione

Scritto da , il 2016-07-22, genere orge

Iniziai a seguire le lezioni di Patrizia appena sedicenne e fin dal primo momento rimasi stregato dai suoi lunghi boccoli di fuoco e dai suoi grandi occhi verdi, concentrati in uno sguardo tagliente; mi fissava da dietro gli occhiali con quella sua aria da professoressa e sentivo il ventre andare in fiamme.

Il suo corpo era quanto di più bello e sensuale la natura avesse mai concepito e non si poteva restare indifferenti alle forme generose e sode del suo metro e sessanta tutto curve, ed era impossibile guardare quel suo bel culo sporgente senza sentire il bisogno di stringerlo a piene mani. Ciò che più mi tormentava, però, era lo strabordante décolleté: una quinta naturale morbida e piena che lei adorava mettere in mostra vestendo senza indossare il reggiseno camicie scollate e t-shirt aderenti, accompagnate da leggings che lasciavano ben poco spazio all'immaginazione. Quando ci ritrovavamo appiccicati sullo sgabello per un pezzo a quattro mani e le nostre braccia si incrociavano appoggiava su di me i suoi enormi seni, che strusciavano pesanti sul mio braccio mentre li accarezzavo dolcemente al ritmo delle note. In quei momenti potevo percepire ogni loro dettaglio, dalla perfetta forma a goccia alla loro morbida pienezza, fino agli smisurati capezzoli, di cui si poteva intravedere il profilo attraverso le magliette e le camicie.

Era talmente bella e femminile e conturbante che non riuscivo mai a concentrarmi e nonostante la mia bravura steccavo sempre un sacco di note. "Ti distrai troppo" - mi diceva con un sorriso che avrebbe steso il più navigato dei dongiovanni - "È un peccato perchè hai un talento naturale". Pur se innocue quelle parole mi provocavano un ingiustificato senso di grandezza e mi spingevano a nutrire l'illusione di avere qualche speranza con lei, alimentando la mia già inguaribile ossessione per la sua persona.

Naturalmente le mie erano solo le fantasie erotiche di un ragazzino che tende ad ingigantire ogni segnale. Lei aveva quasi quarant'anni e io ne avevo appena sedici: con tutte le probabilità mi vedeva come un poppante, o ancor peggio come un figlio acquisito, ma nonostante ne fossi cosciente non riuscivo a fare a meno di pensarla, fino al punto che cominciò ad infestare i miei sogni. La vedevo seduta sopra di me, mentre con dolci movimenti del bacino massaggiava il mio uccello disteso fra le sue cosce; oppure inginocchiata sotto lo sgabello del piano, intenta a succhiarmi le palle come se la sua vita ne dipendesse mentre travolto dal piacere tentavo invano di suonare un pezzo del Clementi. Mai avrei immaginato che in seguito mi si sarebbe presentata l'occasione di trasformare quei sogni in realtà.

Credo fosse l'aprile dei vent'anni. Frequentavo ormai da quattro e in quel lasso di tempo l'ossessione per lei aveva fatto in tempo a peggiorare: il desiderio era diventato un demone e quel demone prendeva vita nel mio corpo e vagava le discoteche, i festini e le vie delle lucciole, infilandosi in qualsiasi uomo o donna stesse al gioco nel tentativo impossibile di soddisfare una sete che non poteva essere soddisfatta. Che scopassi Ilenia, o Paola, o Giada, o Marco perfino, vedevo sempre lei. Non importava con quale ferocia infliggessi i colpi o quanto urlassero di piacere le mie vittime, le urla che volevo sentire erano le sue e solo le sue. Fu in quel periodo che durante una lezione come un'altra Patrizia, memore della mia passione per i computer, mi chiese se potevo eseguire la manutenzione del suo notebook personale. Accettai di buon grado, mi diressi al portatile e lo accesi.

"Vado a fare un caffè"- disse lei con voce calda e un po' roca e scherzando aggiunse -"mi raccomando!".

Mi comportavo sempre in maniera impeccabile con i computer che mi venivano affidati, perchè ero orgoglioso mi si desse fiducia lasciandomi completo controllo di una cosa così personale, che poteva contenere foto intime, documenti fiscali o tracce delle proprie perversioni, ma quella volta non riuscii a resistere e appena sentii i passi di Patrizia allontanarsi verso la cucina cominciai a frugare nella posta elettronica e nelle cartelle alla ricerca di qualcosa che potesse nutrire la mia fissazione.

Cercai in lungo e in largo e non trovai nulla di interessante ma la cosa non fece che insospettirmi, i computer così puliti sono quelli di chi ha davvero qualcosa da nascondere. Ormai rassegnato feci per riprendere le operazioni di manutenzione quando l'icona della posta lampeggiò nell'angolo dello schermo: era arrivato un nuovo messaggio. L'oggetto della posta era "Non ci sarò" e il testo replicava le stesse parole aggiungendo la sola iniziale della firma, una S.

Osservando meglio notai che la mail era stata inviata in risposta ad una comunicazione precedente e dato che il mittente non si era preso la briga di cancellare lo storico della conversazione cliccai per espandere e cominciai a leggere, accompagnato da un crescente senso di euforia ed eccitazione. Avevo trovato quello che cercavo, ed era quanto di meglio avessi mai potuto sperare.

Il primo messaggio era di lei e recitava:
"Mi raccomando la massima riservatezza! Vivo in un paese piccolo e la gente non ha di meglio che parlare dei fatti altrui. Se qualcuno dovesse scoprire del mio vizietto tutti lo saprebbero nel giro di mezza giornata e mi ritroverei additata e disprezzata. Ci credete? Dalle stesse persone che al bar mi infilano le mani nel culo o che ci provano con me alle spalle della moglie dopo averla lasciata a fare le faccende...ma sto divagando. La sera del due mi troverete all'indirizzo che vi ho indicato, nella taverna in giardino. Lascerò le maschere all'ingresso."

La maggior parte dei messaggi di risposta erano delle telegrafiche conferme di partecipazione ma ne lessi uno che sembrava provenire da un conoscente.

"Cara P, più passa il tempo e più diventi troia. Vedo che questa volta siamo in molti, ti tratteremo come meriti..."

In quel momento Patrizia rientrò nella stanza portando le due tazze di caffè fumante e i nostri sguardi si incrociarono. Mi resi conto che la recente scoperta aveva peggiorato la già disarmante incapacità di contenermi in sua presenza e quando si piegò in avanti per appoggiare il caffè sul tavolino e mi trovai davanti al naso la scollatura che tratteneva a stento il florido seno piegato dalla gravità, sentii come un esplosione e delle vampate mi aggredirono lo stomaco: volevo afferrarla lì dove si trovava, sbatterla al muro e prenderla per i capelli, e poi affondare in lei i colpi più violenti che i miei muscoli potessero permettermi. Volevo fare mio ogni gemito e ogni sospiro che proveniva da quelle labbra carnose e sensuali e volevo strizzare quei seni a mano piena e afferrare e leccare e baciare ogni centimetro del suo corpo e volevo farlo subito.

Stavo per alzarmi ed avventarmi su di lei quando la sua voce mi richiamò alla realtà. "Zucchero grezzo?"- mi chiese, sventolando un barattolo che conteneva grossi granuli bruni -"È molto più salutare di quello raffinato".

"Niente, grazie"- risposi quasi battendo i denti -"mi piace amaro".

Di nuovo lucido raffreddai i bollori e decisi di non rischiare: la mia chance si era finalmente presentata e non avevo intenzione di sprecarla. Eliminai il messaggio ricevuto e fingendo un malore salutai frettolosamente lei che aveva appena avvicinato le labbra alla tazzina per il primo sorso. Inforcai le scale e corsi a rotta di collo verso la macchina, con un erezione così potente che sentivo il tessuto dei boxer cedere. Guardai velocemente verso la taverna che si trovava in giardino e con il cuore in gola pensai "S, tu ci sarai eccome, la sera del due".

Quel 2 Maggio posteggiai la macchina in un parcheggio vicino a casa sua e aspettai che arrivassero gli altri invitati. La noia mi stava ormai uccidendo quando verso le undici di sera, con il favore del buio e del silenzio, cominciarono ad arrivare i primi partecipanti. Non riuscivo a distinguere il loro aspetto ma sentivo lo stomaco rigirarsi su se stesso ogni volta che uno di loro entrava nel cortile, si dirigeva verso la taverna e svaniva dietro la porta: stava succedendo davvero. Aspettai fino a che entrò il quinto e a quel punto uscii dall'auto e mi diressi verso l'entrata della taverna a passi veloci. Afferrai il pomello, spinsi la porta e mi ritrovai immerso nel buio del corridoio che portava alla stanza principale.

L'aria all'interno era calda e pesante e il silenzio era spezzato solo da alcuni rumori sordi, provenienti dall'altro lato del muro. Vicino all'ingresso, su un tavolino, si trovavano delle maschere e su ognuna vi era ricamata un iniziale. Cercai quella con la lettera S e la indossai, per poi addentrarmi nelle tenebre del corridoio.

Ad ogni passo che muovevo verso la stanza i rumori si facevano più forti e in quella massa di voci spezzate cominciai a distinguere dei gemiti selvaggi, che riconobbi subito essere di lei. La sua voce roca e un po' mascolina alternava versi di piacere a singhiozzi e per un momento pensai perfino la stessero strozzando perché spesso le grida si interrompevano in un gorgoglio, per poi riprendere nella goduria più sfrenata della mia insegnante.

Realizzai con quale gusto stesse subendo le sevizie in corso e persi ogni tipo di contegno; mi sfilai tutti i vestiti in un sol gesto ed entrai di getto nella taverna, con l'uccello teso fino a toccare la pancia.

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