L'ennesima papera

Scritto da , il 2016-07-07, genere etero

C'è un momento in cui ti accorgi di non essere più in ragazzino e di aver bisogno d'altro che di svuotare le palle in un peluche. Probabilmente quel momento in cui non ti importa più neanche che faccia abbiamo, quelle anatre o conigli. Che interessi abbiano, se ti piacciono davvero. Diventano peluche e basta. E inizi a cercare qualcosa di più. Quando me ne resi conto io, avevo venticinque anni e frequentavo il quinto anno di giurisprudenza. Non avevo una ragazza fissa da almeno due anni e farmene qualcuna, ovviamente, era da prassi sociale. La biondina del bar, la coinquilina della tua amica, la barista della spiaggia...Non che fosse facile, nè da tutti, ma se ero fortunato e ti avevano dotato di una bella faccia e nessuna cura per te stesso, ci davi dentro quasi senza accorgertene. Sapevo a memorie più fighe che facce. A dispetto di quanto pensassi da quattordicenne, che fossero depilate non era necessario e le tette enormi non erano tutto. Il filo, quello sì, lo volevo di marmo. Per il resto sapevano tutte uguali, te lo tiravano tutte allo stesso modo, chi per una minigonna chi per un rossetto sbavato ad arte. Ricordo quelle che non ho neanche spogliato, in bagno, di cui mi importava solo che facessero da cuccia umida e calda a quello che mi pulsava da matti tra le gambe. Qualcuna l'ho portata a casa, per comodità, altre mi hanno portato a casa per speranze disilluse. Questa l'ho conosciuta nell'ennesima discoteca in una serata uguale a tutte le altre. Te ne potevano strisciare tante, sui pantaloni, ormai le scansavo per il caldo e la noia. Un po' tirava, qualcuna era così svestita che le vedevo la curva del sedere e quello si, mi faceva mordere le mani. Questa qui, Sara, era forse più vestita di tutte: un abito bianco dal ginocchio, trasparente sotto certe luci, e due tette che non avresti chiamato tali neanche a pagarle. Mi attirò il modo con il quale se ne stava in disparte a bere, senza ballare. Di quelle che pensano ancora che fare le serie, fumare e chiderti senza vergogna se vuoi scopare faccia figo. Beh, probabilmente hanno ragione, allora fece il suo effetto. Aveva sicuramente bevuto, io solo mezzo drink, ma quando mi si è avvicinata e me lo ha chiesto devo aver pensato per qualche frazione di secondo che fosse uno scherzo. O una sfida tra amiche. Poi ho realizzato che probabilmente faceva parte delle mode del momento e che a quell'età (massimo diciotto anni) il trasgressivo va di moda come lo sarebbe andato per me per molti anni ancora. Mi sentii un certo calore tra le cosce, di quelli che ti chiedi se non ti sia pisciato sotto, e improvvisamente l'idea di farmela non mi annoiava come tutto ultimamente. Sarà che quando prendono l'iniziativa, te lo drizzano meglio che con una minigonna. Mi prese per mano e mi portò in uno dei privet che sembrano fatti apposta per questo, non ci vedi ad un palmo dal naso e la musica non copre del tutto i gemiti da maiale dei ragazzi ubriachi li di fianco. Vedo a malapena i cuscini sui quali si stende, dopotutto vuole rompere il ghiaccio e mi tira su di lei per un bacio di presentazione. Lingua contro lingua, saliva che si mescola, il mio ginocchio le apre le ginocchia e scopre uno spacco nel vestito che mi permette di stendermi su di lei senza romperle niente e già dalla stoffa, la curva di pancia cosce e bacino mi eccita abbastanza da farmi gettare all'aria ogni esitazione sul rischio di farmi scoprire chiappe scoperte da qualcuno di passaggio in quella stanza. Le lecco tutta la gola, arrivo fin nell'orecchio e la sento genere ma probabilmente lo avrebbe fatto anche se le avessi leccato un gomito. Sembrava eccitata dalla situazione in se per se, più che da me, e sicuramente stava già pensando a quando l'avrebbe raccontata senza badare al momento. Non che mi importare, ce l'avevo duro e ormai era suo compito darmi sollievo e farmi ritornare in pista. Sento la sua mano sui pantaloni, sfrega con una certa bravura, spingo la zip rigonfia contro la sua mano e cerco di leccarle i capezzoli sul seno quasi inesistente, scostandole una spallina. Sento che apre la cerniera e abbassa parte dei pantaloni, insieme alle mutande: appunto, chiappe al vento. Ma che mi importava. La manina piccola e liscia che me lo prese tra le mani era così bella che non pensai ad altro, mi sfregai su di lei senza molta dignità, soffocando sul suo petto acerbo su cui passavo la lingua in cerca di reazioni. I capezzoli turgidi erano già qualcosa. Si fermò per qualche istante e mise me sui cuscini. Avevo capito già e ci speravo, la vidi scendere e chiusi gli occhi in attesa. La punta della lingua sul glande è la cosa che mi ha sempre fatto innervosire, per prima, ma lei mi respiro' su col fiato caldo e lasciò colare prima saliva sulla punta per poi afferrarla tra le labbra e succhiare. Penso di aver sentito tirare fin nello stomaco, di piacere. Mi scordai persino di respirare mentre la sua lingua prese ad andare tutt'intorno al gonfiore pulsante. Era così duro che sentire i suoi denti mi provocava tensione ma quando riprese a succhiare mi rilassai del tutto e aprii le gambe il più possibile, spingendo la sua testa in basso con le mani. Era la cosa più fottutamente bagnata e calda che avessi mai provato, avrei voluto mandare al diavolo la scopata e venire già, probabilmente l'avrei soffocata, ma lei ebbe il sesto senso femminile di fermarsi in tempo e lasciarmi col fiato sospeso. L'attesa fu fredda e tremenda, la vedevo a malapena e stava alzandosi il vestito su mutandine così piccole che neanche le scosto'. Si mise su di me e la vidi cercare di sedersi direttamente su quella che ormai era una barra d'acciaio ma non volevo perdere tempo e cercai con due dita le gradi labbra, scesi dietro e mi accertai che fosse almeno umida. Mi bastava, non avevo voglia di ricambiare quel lungo favore, così presi in mano il pene rigido e neanche troppo lontano dalla fine e lo infilai nel buchetto stretto da ragazzina. Quello che solo poche mantengono. La tirai giù dai fianchi e liberai un sospiro di sollievo. Non la guardai neanche, me la feci ad occhi chiusi, spingendo dentro più di quanto non provassi a sollevare lei e incitarla a muoversi. Gemeva, sospirava, ma non so quanto stesse godendo davvero. Come detto, non mi importava, ero dentro di lei e pensavo solo a rimanerci allargandola, entrando e uscendo per sfregare le pareti umide, le mani sempre strette ai suoi fianchi. Alzai pure le gambe, per spingerla su di me, e con lei sul petto le afferrai le natiche e le tenni ferme e aperte mentre la prendevo con foga. Volevo solo la fine, il sollievo, le morsi la gola mentre stavo ormai per venire e lei chiaramente non ci era neanche vicina. Le interessava poter dire di essersi fatta trombare da uno sconosciuto. Uscii da lei con un verso roco, quasi di sofferenza, e lo infilai tra le natiche solo per venire al tiepido. Diversi spasmi, un piacere profondo che mi bruciò le viscere, poi lo allontanai dal sedere in cui Non avevo neanche provato ad entrare e feci in silenzio qualcosa che in realtà non avevo mai fatto. Non badavo a certe sottigliezze, ma ero su di giri. La feci sedere sui cuscini e mi alzai in piedi, le guidai la testa verso la mia cintura slacciata e sentii un po' di resistenza. Non se lo aspettava, ma cedette subito e mi ripuli' alla svelta da ogni goccia provocandomi un ultimo piacere sottile, quasi sensibile. Poi la baciai e pensai di sorriderle,scherzare magari, offrirle da bere. E pensai a come dopo un po' certe cose non bastino più. La salutai solo con una carezza e mi riallacciai i pantaloni. Presi una sigaretta, andai fuori e me l'accesi. No, non mi veniva neanche da sorridere.

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