Capitolo 14 matilde

di
genere
etero

Poco prima delle 21:00, sono pronti. Lucia uscì dal bagno stringendo la pochette nera come se fosse un’arma segreta. L’abito con lo spacco lungo ondeggiava appena ad ogni passo. Sandro la guardò in silenzio. Erano entrambi eleganti, composti, tirati a lucido come per un ricevimento. E in un certo senso, lo era.
Salirono in auto. Sandro si mise al volante e, mentre lei si sistemava accanto, le disse solo:
«Inserisci le coordinate su Google Map.»
Lucia digitò il codice ricevuto via mail. Il display indicò un percorso di circa 43 minuti. Sandro avviò il motore.
Furono 43 minuti di silenzio assoluto.
La strada scorreva nel buio, i fari tagliavano l’asfalto. Non una parola. Solo i loro respiri e, dietro, le maschere adagiate sul sedile posteriore come due comparse pronte a entrare in scena. Nessuno dei due sentiva il bisogno di parlare. I pensieri, le immagini, le attese bastavano a riempire l’abitacolo. Le mani di Sandro erano serrate sul volante. Lucia guardava fuori, lo sguardo perso nel nero della campagna.
Quando arrivarono, era quasi un sollievo. Il tempo sembrava essersi dilatato.
Un cancello di ferro battuto, illuminato da due lanterne. Nessun insegna, nessun nome.
Sandro imboccò il viale d’ingresso, seguendo il percorso di ghiaia tra gli alberi. C’erano molte auto parcheggiate ordinatamente lungo i lati. Trovò un posto libero e spense il motore. Rimasero per un attimo fermi, in silenzio, poi si girarono verso il sedile posteriore e presero le maschere.
Lucia sistemò la sua con lentezza: piume lunghe e colorate, il bordo dorato che le abbracciava il viso fino sopra le labbra. Sandro si mise la sua, bianca, dal disegno essenziale ed inquietante. Si guardarono. Due sconosciuti nello specchietto retrovisore.
Aprirono le portiere.
Il rumore della ghiaia sotto le scarpe fu l’unico suono mentre si avviavano lungo il viale. Lucia cercava di camminare sulle punte per non far affondare i tacchi sottili nella ghiaia, ma ogni passo era una piccola prova d’equilibrio.
La villa apparve davanti a loro all’improvviso, elegante e antica, le finestre illuminate. Una musica bassa, appena percepibile, arrivava da dietro i muri.
Davanti all’ingresso, due uomini in giacca scura e maschera li attendevano.
Lucia aprì la pochette, tirò fuori l’invito stampato su un cartoncino rigido, lo porse. Uno dei due buttafuori lesse il codice a voce alta:
«GL2323.»
L’altro controllò su una lista, poi annuì con un mezzo sorriso che rimase invisibile dietro la maschera.
«Prego, signora. Entrate pure. In fondo al corridoio, sulla sinistra.»
Lucia e Sandro si scambiarono un’occhiata veloce. Nessuno dei due parlò. Si limitarono a entrare.
La porta si richiuse alle loro spalle con un lieve scatto.
Seguirono il corridoio, i passi ovattati dal tappeto spesso che rivestiva il pavimento. L’eco della loro camminata si dissolse nell’aria calda e profumata che precedeva la sala principale. La musica, dapprima un sottofondo lontano, si fece via via più nitida. Un violino. Struggente, malinconico. Sandro lo riconobbe: l’Allegretto dalla Quinta sinfonia di Mahler. Un brano che sembrava sospeso tra desiderio e rimpianto, perfetto per quell’ingresso teatrale.
E poi, la sala.
Una luce dorata li avvolse appena varcata la soglia, e con essa il mormorio dei presenti. Un salone imponente, affrescato e illuminato da lampadari di cristallo. Ai lati, specchi antichi riflettevano i volti coperti e i gesti lenti degli ospiti. Una trentina di persone si muoveva con eleganza tra divanetti in velluto, colonne ornate e tavoli bassi con vassoi d’argento. Tutti in abiti scuri, impeccabili, mascherati. Le donne con tacchi alti e spacchi vertiginosi, gli uomini in smoking o giacche sartoriali. Un’atmosfera sospesa, come se il tempo avesse scelto di fermarsi proprio lì.
Appena entrarono, sentirono su di sé una pioggia di sguardi. Nessuno parlò, nessuno si avvicinò subito, ma fu chiaro che il loro arrivo non era passato inosservato. Fu la maschera a salvarli dall’imbarazzo. Quelle piume, quel bianco opaco, divennero in quell’istante il loro rifugio. Si mossero a piccoli passi verso un divanetto libero vicino a una finestra, cercando di sciogliere la tensione con gesti misurati.
Fu allora che la videro.
Una ragazza. Completamente nuda.
Portava solo un paio di décolleté altissimi, color crema. La pelle chiara, i seni pieni, il pube rasato, il corpo giovane e sicuro. Camminava con grazia, quasi con fierezza, come se la nudità fosse il suo abito più naturale. Sul volto, anche lei una maschera: piccola, dorata, fermata da un nastro di raso. Sorrideva appena.
Si fermò davanti a loro, silenziosa. Sul vassoio d’argento che portava con una sola mano c’erano sei coppe di cristallo, piene di champagne ghiacciato. Le bollicine risalivano lente, come piccoli desideri pronti a scoppiare.
Sandro, fingendo una sicurezza che non sentiva del tutto, ne prese due e ne porse una a Lucia, le dita che si sfiorarono in quel passaggio breve. Lei sorrise sotto la maschera, con gratitudine.
«Grazie,» mormorò, non si sa se alla ragazza nuda o a Sandro.
La donna si allontanò con passo leggero, raggiungendo altri ospiti. Rimase dietro di sé una scia di profumo e sconcerto.
Sandro si sedette accanto a Lucia. Alzò il bicchiere verso di lei.
«A noi,» disse.
Lucia lo guardò negli occhi, o meglio in quel che ne restava, coperti dalla maschera. Sollevò la coppa, e la fece tintinnare appena contro la sua.
«A quello che stiamo per scoprire.»
Poi bevvero.
E la festa era solo all’inizio.
La musica, sottile come un filo d’ambra, continuava a risuonare nell’aria, mescolandosi ai brusii ovattati, ai tintinnii discreti dei bicchieri, ai movimenti lenti degli ospiti. Sandro e Lucia si muovevano tra la gente come in un sogno rallentato, le mani sfiorandosi ogni tanto, le maschere a proteggerli e a renderli più audaci. Ogni gesto, ogni sguardo sembrava parte di una coreografia invisibile.

All’improvviso, la voce di un uomo ruppe quel clima sospeso.
Era alto, vestito di scuro.
Indossava una maschera color avorio, rigida, che gli copriva interamente il volto. La sua voce, ferma, si impose sul brusio del salone.
«Nella stanza accanto,» disse,
«sta per iniziare il primo spettacolo della serata. Un’offerta della nostra padrona. Chi desidera lasciarsi toccare dalla sua performance è invitato a seguirci.»
Un mormorio si diffuse, sottile come un fremito. Sandro sentì la stretta della mano di Lucia. Non disse nulla. Le fece solo un cenno con il capo e la tirò dolcemente verso la direzione indicata. Camminarono tra la gente che lentamente si metteva in movimento, scivolando verso quella porta che si apriva su un’altra dimensione.

Varcarono la soglia.
La sala era più raccolta, quasi un piccolo teatro privato. Al centro, un’ampia pedana ovale, ricoperta da un tappeto persiano, illuminata da lampade calde posizionate in alto, che proiettavano ombre morbide sui volti mascherati degli ospiti. Le sedie, dorate e foderate in velluto rosso sangue, erano disposte in cerchi concentrici intorno alla pedana. Sandro e Lucia riuscirono a trovare posto in seconda fila, abbastanza vicini da percepire ogni minimo dettaglio.
Quando anche l’ultima sedia fu occupata, le porte si richiusero con un lieve tonfo. Il silenzio calò come un sipario. Nessuno parlava. I respiri trattenuti, la tensione tangibile.
Poi, di nuovo, quella voce.
Lo stesso uomo di prima si era fatto avanti, ora ai margini della pedana. Fece un passo avanti, le braccia dietro la schiena.
«La nostra signora,» disse solennemente, «vi offrirà ora qualcosa di raro. Un momento di bellezza. Un frammento di dolore. La voce dell’anima che si spoglia. Ascolterete il Lamento di Arianna, di Claudio Monteverdi. E vi accorgerete che non c’è melodia che meglio possa aderire al suo corpo e alla sua voce. Come ci darà con le prime parole cantate… “Lasciatemi morir...” Scoprirete come a morir saremo noi.»
Poi si ritirò.
Lucia e Sandro si guardarono. Non c’era bisogno di parole. Nei loro occhi, lo stesso interrogativo, la stessa attesa. L’intuizione che quello che stavano per vivere non era solo uno spettacolo.
Le luci si abbassarono ancora. La pedana rimase illuminata da un unico fascio dorato.
Poi, il silenzio si sciolse.
Una voce — prima quasi un sussurro, poi via via più piena, dolente, limpida — cominciò a cantare. Non la videro subito. Era fuori scena. Ma la sua voce riempì la sala con un’intensità tale da far vibrare l’aria stessa. Il Lamento di Arianna si dispiegava nota dopo nota, come un tessuto antico che veniva spiegato lentamente davanti ai loro occhi.
Lasciatemi morire… lasciatemi morire…
cantava la voce, ed era come se ogni parola aprisse una ferita.
Poi lei apparve.
Nuda. Il corpo fasciato solo da una lunga mantella trasparente, nera come il velluto della notte. La maschera, argento vivo, le copriva il volto, ma le labbra — dipinte di rosso cupo — erano ben visibili. Camminava a piedi nudi, con passo lento, quasi danzato. Ogni movimento sembrava accordarsi al ritmo del lamento, come se la musica provenisse dal suo stesso corpo.
Salì sulla pedana, lasciando cadere il mantello. Nuda. La voce si fece più profonda. Ogni gesto era studiato, misurato, eppure nulla pareva artificiale. Sembrava che stesse davvero offrendo se stessa, con dolore e orgoglio, come un’Arianna abbandonata che decide di mostrarsi per ciò che è: desiderabile e sola.
Il canto continuava, accompagnata sa poche note di clavicembalo.
Il suo corpo si muoveva con grazia. Le braccia che si avvicinavano alla bocca stringendo il seno. Le cosce disegnate e lunghe.
Sandro si accorse che teneva le mani strette sulle ginocchia. Lucia aveva il fiato corto. Non si toccavano.
Il canto finì e la ‘signora’ fu presa in consegna da due ragazze anch’esse nude. La girarono verso di noi e prendendola per i polsi e per le ascelle la fecero curvare in modo che mostrasse il suo culo perfetto a tutti noi.
Un lungo silenzio.
Entrò di nuovo l’anfitrione con un frustino nella sua mano sinistra. Si pose accanto a lei e cominciò a infliggere colpi sulle quelle natiche esposte. Ad ogni colpo, la signora, si inarcava trattenuta dalle due ragazze. Uno, dieci, venti colpi. Le natiche ormai segnate furono accarezzate con il palmo della mano del suo fustigatore, che ad un certo punto sbatte le mani. In quel momento entrò un giovane ragazzo muscoloso, con il sesso in erezione. Le ragazze fecero mettere la ’signora’ di profilo. Lui le fu dietro in un attimo. Aiutandosi con le mani la sodomizzò cominciando un movimento sempre più violento. La ’signora, roteava la testa appoggiandosi sempre di più alle due ragazzine che la reggevano. Non so quanto durò. Eravamo tutti è due rapiti da quello spettacolo e trasalimmo quando, lei accorgendosi dell’imminente orgasmo del giovane, liberandosi delle due ragazze fece appena in tempo a inginocchiarsi davanti lui per assaporare il frutto del suo sacrificio rimanendo in ginocchio davanti a quell’arnese che piano piano perdeva vigore.
Lentamente, qualcuno cominciò ad applaudire. Un tributo a qualcosa che andava oltre la bravura.
Lucia si voltò verso Sandro. Gli occhi le brillavano dietro la maschera.
E lui capì.
Quella doveva essere Arianna. Ma in quel momento l’eccitazione stava vincendo rispetto allo stupore.
scritto il
2025-11-02
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