La nipote morta

Scritto da , il 2015-09-30, genere pulp

È una sera di ottobre umida e piovosa. Sono solo in casa e sto aspettando mio fratello Lewis che mi ha telefonato dieci minuti fa.
Suonano alla porta. Mio fratello è arrivato. Indossa un impermeabile sgualcito e ha gli occhi rossi e la faccia stanca.
Egli è venuto a prendermi per vegliare la salma di sua figlia morta.
Usciamo fuori, montiamo in macchina e partiamo. Lui guida in silenzio sulle strade lucide di pioggia. Io penso a sua figlia Milena. Era una ragazza tredicenne tutta casa e chiesa, che studiava dalle suore. Poi si è malata e i pochi giorni è morta di cancro all’intestino.
Dopo alcuni Km finalmente arriviamo a una villetta di periferia. Qui mi consegna le chiavi e io scendo. Dice che verrà a prendermi domani mattina, poi riparte subito. Sua moglie si è sentita male e lui deve correre all’ospedale per assisterla. Sento lo stridio delle ruote sulla ghiaia, poi solo il rumore incessante della pioggia.
Allora apro la porta ed entro dentro. La casa è fredda e deserta. Raggiungo lo studio e salgo le scale. Al piano superiore cammino fino alla stanza da letto ed entro.
Eccola qui la morticina. La cassa aperta è color bianco con sei candele attorno. Davanti ci sono alcuni mazzi di fiori fra nastri e cellophane.
Mi siedo sul suo lettino virginale e mi guardo attorno. Alla finestra ci sono tendine di pizzo. Un orinale rosa si intravede in un angolo. Sugli scaffali ci sono libri di religione e bambole di stoffa. Alcune immagini di sante fra una coroncina del rosario.
Poi guardo mia nipote Milena. Che ragazza bella e dolce. Sembra un angelo con i capelli biondi sparsi sul cuscino bianco. Ricordo le feste quando andavo a trovarla e quando le ho fatto da padrino alla cresima.
Ricordo una volta che mi ha dato uno schiaffo perché, mentre la aiutavo a salire i gradini, le ho involontariamente sfiorato le tette. E ha minacciato di scriverlo nel suo diario. Così mi sono sgolato per farle capire che è stato un gesto non intenzionale. Alla fine mi ha detto:
“Scusa zio, ma sai, io devo proteggere la mia verginità.”
Smorfiosa!
E adesso eccola qui questa scimmietta. Indossa un vestito blu notte, con gonna pieghettata lunga fino quasi alle caviglie, le mani incrociate tengono una rosa posata sul petto. I capelli lunghi e lisci le ricadono attorno al visino cereo fra i veli. Sembra che dorma dentro alla cassa.
Mi avvicino e le accarezzo il viso. Che pelle liscia e morbida. Dopo un po’, poiché non c’è nessuno che mi vede, le accarezzo anche il seno. Cazzo. Che tettine grosse e morbide!
Ritorno a sedermi sul letto mentre continuo a guardarla. Vorrei recitare delle preghiere ma penso che non servano a niente. La pioggia continua a battere sui vetri. Guardo l’orologio; sono le 9 e trenta pm passate.
Faccio quattro passi nella stanza per sgranchirmi le gambe. Poi mi avvicino di nuovo alla cassa. Un po’ timoroso accarezzo le caviglie di mia nipote. Salgo con le mani e arrivo fino ai ginocchi… La mia mano trema ed è un po’ sudata. Salgo ancora lungo le gambe fin dove posso arrivare, poiché la gonna è stretta. Che cosce sode sento sotto alle calze.
Ritiro la mano e faccio un passo indietro. Il cuore mi batte per l’emozione e respiro più forte. Perbacco, era una bella figliola e avrebbe eccitato i maschi se non fosse morta. Adesso invece…
Mi avvicino per un’ultima esplorazione. Infilo il braccio sotto la gonna e salgo ancora di più. Sento i pizzi delle mutande, sento il rigonfiamento del pube… la fichetta…!
Ritiro il braccio e resto in piedi come istupidito. Penso che se le sbottono la gonna posso vedere meglio le gambe…
Sposto fiori e candelabri per fare posto attorno alla bara. Provo ad alzare la gonna ma è troppo stretta. Incomincio a sbottonare il vestito… Ci sono tanti bottoni piccoli di perla. Mentre procedo qualche bottone si stacca e sarò costretto a riattaccarlo dopo.
Con il vestito aperto davanti vedo la sottoveste e mi tocca sbottonare anche quella. Tiro giù le calze scure e posso ammirare le belle gambe con le cosce bianche e sode. Ha ancora il reggiseno ornato di pizzo e le mutandine bianche. Provo a scostarle un poco ma sono troppo strette e non riesco. Ma come l’hanno impacchettata questa bambina?
Abbasso le spalline e tiro giù il reggipetto… un lavoraccio… mi sembra di sbendare una mummia.
Le tette saltano fuori, elastiche e dure. Guarda cosa teneva nascosto qui sotto! Chi avrebbe immaginato queste fior di tette?
Tiro giù le mutandine lacerandole un po’ e…
Il pelo nero del pube appare. Cazzo, che folto. Qui ci vuole la tosatura prima di arrivare alla fica.
Le tocco subito la fica. È sempre un piacere toccare la fica, questa cosina umida, anche quando è morta. La soffrego, la palpo, la accarezzo in su e in giù, con la mano in su e in giù… Finalmente la vedo tutta nuda!
Arrivato a questo punto penso che potrei “provarla”. Ho letto che gli antichi egiziani montavano le giovinette morte prima di imbalsamarle.
Allora mi tolgo i pantaloni ma mi tengo la camicia. Vorrei mettermi nudo anch’io ma fa troppo freddo qui dentro. Col cazzo ritto salgo sopra il catafalco.
Provo ad aprirle le gambe; sono un po’ rigide e le pareti della cassa impediscono di allargarle. No. Non riuscirò mai a montarla qui dentro. Inoltre se sopravviene il rigor mortis mentre ho il cazzo infilato rischio di non riuscire più a cavarlo. Devo tirarla fuori.
Provo a sollevarla tirandola su per le braccia. Mannaggia che peso. Non eri certo una ragazza mingherlina. Su… Forza… Dai! L’ho sollevata a metà. Vedo la schiena e il culo grosso. Si vedono ancora i segni delle iniezioni. Che pezzo di fica che teneva nascosta questa santarellina!
La carico sulla mia spalla e piano piano la stendo sul tappeto. Là! Adesso è pronta.
Mi chino e incomincio a leccarle la fica. È terribilmente fredda. Per scaldarla un poco prendo una candela e la infilo dentro la fica. La candela si spegne. Sfrigolio di cera. Odore di peli bruciati.
Poi mi sdraio sopra, lo metto dentro e incomincio a pompare. Mi muovo lentamente, all’inizio, ma dopo ci provo gusto e monto come un forsennato. Non sento più freddo, sento ondate di caldo e il sudore che mi cola dalla faccia.
La frenesia e l’eccitazione aumentano. Ecco… Sto per arrivare… Non mi trattengo più… “Aaaaah”… grido mentre il paradiso si spalanca nella mia mente.
Ancora per un po’ ho i nervi tesi delle braccia e delle gambe. Sono tutto bagnato di sudore mentre mi alzo e le gocce cadono sul corpo bianco di Milena.
Auff. Che fatica. Però mica male la fichetta. Mi rilasso un po’ stando seduto lì vicino, ma la visione di quel corpo bianco e nudo mi mette addosso la voglia di montarla di nuovo.
In fondo un’occasione simile non capiterà più. Da viva era così timorata e smorfiosa, non si poteva palparla, non si poteva toccarla, non si poteva guardarla né parlare di cose sporche… “Puttana! Troia!,” le grido. “Ti ho rotto la fica e adesso ti inculo.”
La prendo per le spalle e la giro con la pancia sul tappeto. Bischeri, che culo! Alto, sodo, le chiappe sembrano appuntite verso l’alto. Che bel culo! Chissà come si divertiva tuo padre a schiaffeggiare queste belle chiappe.
Tocco il culo, lo palpo, lo sculaccio… Lo inumidisco bene con la lingua finché il cazzo mi diventa duro, pronto per una nuova fatica.
Basterebbe che le aprissi le cosce, invece no, deve entrare spingendo. È un piacere inculare una morta. Le donne vive si lamentano sempre con questa pratica. Questa qui invece tace e sta ferma anche se spingo come un ariete. Il buco è stretto, il cazzo mi fa male, ma non mollo finché sono dentro.
Un’altra selvaggia battaglia, nella quale perdo coscienza del tempo. Non avevo mai inculato così bene. Da vive le donne dicono «Ahi, fai piano, mi fai male… basta…» Con questa qui invece pompo come un satiro, sbuffo, bestemmio, grido, agitato e invasato…
Arriva la seconda sborrata e quando mi alzo mi sento uno straccio.
Guardo la camera che sembra un campo di battaglia. Candelieri rovesciati. Il tappeto si è sporcato di sborra, dovrò lavarlo. Un vaso di fiori si è rotto e ci sono vetri e acqua sul pavimento. Sembra un macello. Dovrò rivestirla, sollevare il corpo, rimetterlo dentro alla cassa e poi sistemare tutto.
Però la notte, il silenzio, la solitudine mi fanno nascere strani pensieri e paure. Questa qui aveva un cancro nella pancia. E se adesso lo avessi preso anch’io? Come si propaga, come è fatto il cancro? Nella vita non mi sono mai interessato a queste cose. Bene. È ora di farlo adesso.
Ancora mezzo nudo vado in cucina e prendo un coltello per squartare i polli, con lama da venti cm.
Le darò un’occhiata dentro prima di rivestirla. Se farò le cose bene, nessuno si accorgerà di niente.
Rigiro il corpo. Infilo la punta del coltello dentro alla fica e tiro il manico con tutte le forze.
Sento il fruscio della carne che si lacera e vedo uscire pus e sangue.
Cazzo. Non avevo mai visto cosa c’è sotto alla fica. È ora di imparare queste cose.
Un altro colpo per allungare il taglio. Non si vede bene, dentro e troppo buio. Allora su, taglio fino alle tette.
Cazzo che schifezza. Escono budella avvolte da una sostanza rosa-grigia. Forse è quello il cancro. Vediamolo meglio.
Metto le mani ai lati della ferita e tiro, e la apro bene, per vedere tutto, per vedere bene come è fatta una donna. Dalla ferita escono intestini che sembrano salami, sangue e un pus giallastro. Con tutte queste visioni mi sento male e mi metto a vomitare…
Adesso la stanza sembra una carneficina. Dovrò pulire tutto, ma mi sento debolissimo.
Guardo l’orologio: le due di notte. Prendo straccio e scopa dal ripostiglio. Ma dopo un po’ di lavoro mi rendo conto di quanto tempo è necessario. No. Non ce la farò.
Allora mi metto a pensare finché trovo la soluzione.
Prendo una bottiglia di alcol e la verso sul tappeto. Poi dò fuoco. Una fiammata azzurra corre sul letto e attacca il legno della cassa.
Bene. Fra un’ora tutto sarà ripulito e penseranno a un incendio. Scendo giù, esco, chiudo la porta e butto via le chiavi.
La casa sta bruciando ma io non sono ancora al sicuro.
In garage prendo una bici e pedalando forte nella notte piovosa arrivo a casa mia.
Qui senza perdere tempo riempio una valigia con alcuni vestiti, libri e altre cose. Prendo tutti i soldi che ho in casa, passaporto ed esco di corsa.
Butto la bici dentro un canale. Alla stazione prendo il primo treno per un paese vicino. Qui scendo e cambio treno. Poi cambio ancora.
All’alba arrivo all’aeroporto e prendo un biglietto per ***. Adesso è tutto finito.

*** *********

Sono passati alcuni anni. Mi sono ambientato qui, ho un nuovo lavoro, una nuova vita, una nuova amante.
Fa caldo qui.
Provo nostalgia per il mio paese nebbioso, per la mia lingua, per la mia vecchia vita. Ora non è più possibile.
La rinuncia a tutte le mie cose è stato il prezzo che ho dovuto pagare per quella notte d’amore.
Ogni cosa in questo mondo ha un prezzo. Anche il sesso. Tutte le cose si pagano prima, il sesso invece si paga dopo, con denaro, impegni, figli, malattie veneree, prigione o morte…
Io ho scelto di pagare con l’esilio, che è il prezzo più leggero, ma in ogni modo ho pagato.
Non vedrò più il mio paese, non posso più tornare.
Provo tanta nostalgia, è vero.
Chissà cosa avranno detto laggiù, chissà cosa avranno scritto i giornali, chissà
come mi avrà giudicato la gente.
Forse mi crederanno morto nell’incendio della casa.
Non lo so, e non voglio saperlo.

Aprile 1998 TRADUZIONE





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