Una brutta serata

Scritto da , il 2015-07-28, genere pulp

E’ un grigio domenica sera autunnale.
Leggera nebbia, un’umidità che ti entra nella ossa. La città sonnecchia, poca gente in giro, fantasmi chiusi in se stessi che con passo veloce cercano di raggiungere mete indefinite, mi dirigo verso un bar dove penso di trovare qualche anima persa. Giusto per scambiare due chiacchiere. Sono appena sceso dall’auto di Charlie.
Charlie è uno che mi scopa con una certa regolarità. Siamo stati chiusi in un motel tutto il pomeriggio. Oltre che ad amare alcuni giochi particolari e la lingerie nera è un duro, è veramente instancabile ed un po’ sadico, niente di pesante ma quando ha finito sono comunque distrutto, tra l’altro è sposato e le altre amanti sono tutte donne, mi dice che io sono l’eccezione che conferma la regola.
Charlie è uno che conta, uno dei boss della gang che detta legge nel quartiere.
Ha un debole per me, tiro fuori la sua parte omosessuale attiva che tiene nascosta da qualche parte, retaggio del culetto di un suo debole compagno di scuola che da bullo dominava, dopo averglielo dolorosamente rotto vi scaricava i suoi primi orgasmi. Mi dice che glielo ricordo anche se lui non portava biancheria intima femminile.
Gli piace raccontarmi questa storia, lo eccita ancora: di quando, già alto e grosso, delinquente in erba, sbatteva a sangue con il suo cazzone fuori misura questo coetaneo minuto, dai lineamenti delicati e dal carattere fragile (“Una vera femminuccia, come te”) facendogli male ogni volta, mentre questo strillava e piangeva costretto a piegarsi ed a prenderlo nel culo anche se non gli piaceva per niente. Preda sua o dei suoi accoliti per anni, o il culo o le botte. Botte che, sovente, arrivavano comunque, qualche schiaffo per ribadire chi comandava, per confermare l'ineluttabilità dei fatti.
Beh... in effetti io ero stato come questo sfigato, anch’io avevo avuto paura dei più grossi e mi ero fatto scopare da loro, facevo quello che volevano pur di non subire vessazioni. Appena si erano accorti che mi piaceva il cazzo, che ero una femmina, avevano preso possesso. A questo prezzo mi “proteggevano”, non mi menavano ma dovevo soddisfare ogni loro desiderio sessuale. In realtà vi è una differenza sostanziale, in realtà a me piaceva sottomettermi, farmi sfondare. Capitava che io passassi apposta dal luogo dove questi bulli stazionavano, in modo che mi facessero strisciare, spaccandomi il culo e riempiendomi la bocca finché ne avevano voglia.
Mi insultavano e mi inculavano. Ma ora non sono più così fragile, scelgo io con chi andare e mi so difendere benissimo.
Charlie è un maiale ed entrambi amiamo fare cose che generalmente poche donne vogliono mettere in pratica.
Ma quando mi travesto ed indosso quelle cose io SONO una donna.
Mi fa dei bei regali ed anche questo non guasta, magari dentro di se mi considera una zoccola sfondata ma non mi importa. Non sono certo una vera e propria prostituta ma i soldi sono importanti, quindi cerco di unire l’utile al dilettevole…
Il locale è quasi deserto, il barista che conosco e qualche cliente qua e là. Ordino un drink pensando che appena l’avrò bevuto me ne andrò.
L’atmosfera è strana, ovattata, mi accorgo che ci sono due tipi seduti ad un tavolo non molto lontano, parlottano fra loro. Una lingua straniera, sicuramente dell’est.
Lo so per certo, uno l’ho già visto.
Alcuni mesi prima, in piena estate, il mio vicino di casa ha fatto ristrutturare il suo appartamento, un pomeriggio uno dei muratori è venuto a suonare alla mia porta.
Ero solo in casa, nella mise troia in calore, a momenti arrivava una mia conquista, un anziano professore conosciuto all’università, dal cazzo d’acciaio e dal portafoglio facile a cui piaccio travesta da fighetta lollipop, nipotina porcellina. Per questo ero truccata da ragazzina viziosa, eyeliner viola, ombretto multicolore e rossetto ciliegia, un velo di fondotinta (per fortuna non ho mai avuto un filo di barba), indossavo una parrucca rosa con i codini, un paio di ciabattine tacco dieci, un minuscolo reggiseno di pizzo, tutto dello stesso colore della parrucca, un perizomino a pois rossi, una invisibile gonnellina svolazzante (una striscia che non copriva nulla) a quadrettini colorati, una lunga collana fatta con grossi cristalli multicolore. Le calze autoreggenti color porpora strette sulle cosce lunghe ed un chupa chups al lampone terminavano l’opera. Dimostravo quindici anni. Quando sono così scompare ogni traccia di mascolinità, da tempo ho tolto ogni pelo superfluo, definitivamente.
Dallo spioncino ho visto che è un uomo con la tuta da operaio ed apro, un tipo tarchiato con i capelli scuri, mi guardava con gli occhi sgranati e la bocca aperta, appena si è ripreso con un italiano stentato mi ha chiesto se poteva andare nel balcone per passare un cavo. Ovviamente l’ho fatto entrare, mentre facevo strada sentivo i suoi occhi puntati sul mio culo ventunenne praticamente nudo che, disegnato dal perizoma, incremato, rotondo e tonico, sui tacchi faceva la sua porca figura. Tra le natiche, evidenziato dal filo interdentale, brillava un piccolo plug argentato che avevo infilato nel buchetto, al professore ogni volta piace sfilarlo lentamente prima di penetrarmi col suo cazzone.
Il muratore passò il cavo e se ne andò subito dopo, ancora confuso, mormorando qualcosa nella sua lingua.
L’ho rivisto alcune volte sul pianerottolo, mi osservava con uno strano sorriso sulle labbra.
Mi pare proprio che sia lui, ne sono certo quando fa dei gesti concitati e volgari nella mia direzione rivolgendosi al suo compatriota.
Hanno un sguardo strano, allupato, che non mi piace ed un numero notevole di bicchieri vuoti sul loro tavolo. Decido che è meglio se taglio la corda, saluto il barista ed esco.
Mi accorgo che anche i due tipi stanno uscendo (li chiamerò Pinko e Panko), con un sospiro di sollievo vedo che vanno nella direzione opposta alla mia.
Errore, stanno semplicemente recuperando la loro auto.
Una Golf scura piuttosto datata si accosta e Pinko, il muratore che mi ha riconosciuto, mi chiede se voglio salire, si sporge dal lato del passeggero perché l’altro, curiosamente, è dietro.
“Dai, sali che ti do passaggio”. Rispondo educatamente: “TI RINGRAZIO PER LA GENTILEZZA MA VADO A PIE…” non riesco a finire la frase che mi sento afferrare per il giubbotto e poi per la cinghia dei pantaloni. Vengo trascinato sul sedile posteriore dal passeggero. La portiera si chiude e l’auto parte sgommando.
Sono incastrato fra le sue gambe, impreco, mentre Panko mi tiene la testa schiacciata sul sedile. E’ fortissimo, non posso muovermi di un millimetro.
Mentre mi passa l’altra mano sul culo coperto dai jeans attillati dice qualcosa a Pinko, che si mette a ridere e si rivolge a me: “Ah! Tu più bella con costumino da ragazzina”.
Li mando a quel paese ma non è una bella mossa, mi arriva una botta sulla schiena che avrebbe atterrato un mulo. Mi manca il respiro ed inizio a tossire. Mi sa che devo stare attento, assecondarli e poi si vedrà.
Sono incavolato nero, perché Panko ha tirato fuori un coltello a serramanico, il che mi impedisce di tentare una qualsiasi reazione, ma soprattutto perché mi ha costretto a sfilarmi i pantaloni, a suo dire questo mi impedirebbe la fuga.
Ho obbedito subito perché ha minacciato di tagliarli e costano veramente un sacco di soldi.
Commentano le mie mutandine brasiliane di pizzo nero, mi sono rimaste addosso dopo l’incontro pomeridiano con Charlie, inoltre quando posso porto sempre biancheria sexy, è nella mia natura.
Impreco ancora poi: “Accidenti! state facendo un casino, fermatevi da qualche parte, vi tiro un pompino e ce ne andiamo a casa. Facciamola finita con ste’ stronzate!”.
Pinko mi informa che ha in mente ben altro che un pompino, l’ho fatto arrapare fin da quel giorno che è venuto in casa, voleva propormi qualcosa ma io lo guardavo che sembrava mi facesse schifo ed ora me la farà pagare.
Non mi sembrava di averlo mai osservato in quel modo, glielo spiego ma non vuole sentire ragioni.
Ora sono preoccupato, non so assolutamente cosa intende con “farmela pagare”.
Panko, però, sembra sia quello che comanda, trova buona l’idea di mettermi il cazzo in bocca, lo tira fuori e comincio a succhiarlo, con la speranza di rabbonirlo.
Ha un sapore forte, il sapore della forza. Il sapore di tanti cazzi che ho succhiato, di quelli che amano vedermi in ginocchio davanti a loro ed in luoghi bui e sordidi mi sborrano in faccia o che a casa mia mi fanno camminare quattro zampe fino alla loro grossa proboscide.
Ma in quei casi l’ho scelto io, oggi no.
Comunque ci metto il massimo dell’impegno, un cazzo è un cazzo, me lo faccio scorrere fra le labbra con voluttà, anche se dentro di me immagino di straccarglielo con un morso e lasciarlo lì sanguinante.
Potrei farlo e poi dedicarmi all’autista proprio con il coltello che Panko ha appoggiato sul sedile.
Sarò checca fighetta che in palestra fa ginnastica con le ragazze ma sono anche agile e veloce e i due sono ubriachi ed impegnati a sfottermi… ci vorrebbe un attimo e non proverei alcun rimorso.
Sto ancora ragionando e succhiando che l’auto si ferma.
Siamo entrati in un piazzale davanti ad uno capannone di cemento. Sinistri rumori notturni ci accompagnano. Panko mi toglie il cazzo dalla bocca e mi tiene ancora più stretto mentre Pinko solleva la serranda che fa un rumore assordante.
Entriamo nel capannone, quasi totalmente vuoto. Ci dirigiamo però, in un’altra ala dove c’è un banco da lavoro ed un po’ di attrezzi appesi qua e là.
L’aria è fredda, una cupa atmosfera ed un senso di abbandono aleggiano in quel posto.
Anche quando Pinko mi strappa le mutande, appoggia un mano sulle natiche ed insinua un dito verso il mio morbido buco del culo il mio umore non migliora, anzi, mi dibatto, ma non perché non mi piaccia farmi inchiappettare ma per una questione di principio, le cose si chiedono educatamente.
Ovviamente non risolvo nulla, Panko (cazzo, quanto è forte!) mi spinge verso il bancone e mi blocca, tenendomi le braccia distese, perfettamente piegato a novanta gradi.
Sono nelle loro mani, semplicemente un oggetto dal quale trarre piacere, un corpo da usare.
Pinko mi penetra brutalmente. Con cattiveria me lo spinge dentro. Mi fa male e lancio un urlo di dolore.
“Tu sei una puttana, non devi gridare. Visto io entrare uomini in casa tua. Tu eri femmina nuda con cose dentro il culo che è liscio come donna.”
L’altro ride, mentre il suo amico grugnisce, poi: “Sai potremo romperti il culo per sempre, infilarci un ferro e un paio di tenaglie poi aprire. Ma non lo facciamo perché tu sei una troia, quando ti trucchi diventi bella figa. A noi piacciono più quelle come te che le femmine vere che sono stronze” Ansimando continua a sproloquiare: “…sarai la nostra fidanzata e ti farai bella per noi. Ti daremo ai nostri amici che ci daranno soldi…”
A questo punto protesto, dico che non sono una puttana professionista e che mi faccio sbattere da chi mi pare.
Uno schiaffo mi impedisce di continuare a parlare, poi Panko afferra un martello e minaccia di schiacciarmi le dita della mano con quello, io allora gli dico che è tutto okay, di calmarsi che farò tutto quello che vogliono. La paura aguzza l’ingegno. Il martello rimane lì davanti a me, sul bancone, minaccioso.
Pinko aumenta la frequenza dei colpi, poi lo tira fuori e schizza sulle chiappe. L’altro si incavola perché ora che tocca a lui si sporcherà.
Però anche lui me lo spinge dentro senza pietà, è più grosso ed ogni colpo di bacino mi arriva al cervello.
Ora ho le mani libere ma non posso fare nulla, sto lì piegato e mi faccio sfondare dal bestione. Lo schiaffo che mi ha mollato mi ha rintronato e devo cercare di riordinare le idee.
Pinko insiste sul fatto che devo andare con i suoi amici, che sono generosi.
Altrimenti mi squarta, mi mostra un estintore semi arrugginito minacciando di infilarmelo nel culo.
Gli viene in mente di andare a cercare qualcosa per legarmi e qualche “attrezzo” per divertirsi, che dopo mi farà strillare come una sirena e quando avrà finito striscerò ai suoi piedi come un verme.
Qui si mette male.
Ma in certi casi non bisogna commettere errori.
Panko mi gira sulla schiena, sbavante di voglia, poi mi penetra ancora e riprende a pompare, mentre lo fa mi guarda negli occhi, ha lo sguardo carico di odio.
Ho paura, nel mio caso la paura rende lucidi.
Sento qualcosa sotto la mano destra, è il martello che aveva usato per minacciarmi. Non ho alcun ripensamento, lo stringo e glielo calo sulla testa, con tutta la forza che ho. Un rumore sordo, un crack sinistro. Con un’espressione sorpresa si accascia, ce l’ho addosso completamente, schiacciato sul bancone.
Mi accorgo che respira debolmente, non l’ho ucciso ma il danno dovrebbe essere notevole.
Potrei dargli un’altra martellata e finirlo, ma non sono così scafato, non riesco a farlo.
Paradossalmente ha il cazzo ancora duro, anzi durissimo. Sono bloccato, infilzato come un pollo allo spiedo. Penso che ora arriva l’altro, ci trova così e mi uccide.
Con un’enorme sforzo e dopo vari tentativi riesco a spingerlo via.
Scivola per terra con un rantolo. Gli esce dalla bocca un filo di bava, forse la seconda martellata non sarebbe stata neppure necessaria.
Corro verso l’uscita, sono nudo dalla cintola in giù, mi ferisco i piedi ma non importa.
Sono fuori, mi fiondo dentro la vecchia Golf, sento Pinko che urla qualcosa, prima nella sua lingua poi: “Ora ti prendo e ammazzo!”.
Le chiavi dove sono le chiavi! Sono lì sul sedile.
Metto in modo, mentre sgommo via sento Pinko che riesce a colpire la macchina mentre urla, solo quello.
Cerco di pensare, se torno a casa a breve qualcuno mi verrà a cercare.
Dietro ci sono i miei jeans di marca e le scarpe dopo qualche chilometro mi fermo e li indosso, la sosta mi aiuta a ragionare.
Vado a casa di Lulù, un mio amichetto, zoccoletta passivissima, insieme frequentiamo certi giri e partecipiamo a “festini” particolari, orge, gang bang e via andare.
Fortunatamente è solo in casa, nessun stallone nelle vicinanze, strano per lui.
Mi fa entrare, mi chiede perché sono così sconvolto. Per sommi capi gli racconto i fatti.
E’ preoccupato, perché quella è gente strana, che non perdona.
Discutiamo sul da farsi, non ho idee, poi un flash. Telefono a Charlie, lui sbroglierà la matassa.
Squilla, non risponde. Al terzo tentativo: “Charlie, sono io…” e lui: “Ehi, fighetta, amore, ne vuoi ancora un po’? Se proprio insaziabile!”.
Gli spiffero tutto quanto, con un tono dimesso e spaventato.
“Cazzo, è un bel casino, con quelli non si ragiona. Ma non potevi dargli il culo e festa finita? Secondo me non c’era altro da fare”.
Rispondo che mi stavano inculando ma non gli sarebbe bastato, avevano in mente ben altro, mi avrebbero fatto male e volevano che dopo lavorassi per loro.
Mi dice di restare lì da Lulù, che avrebbe parlato con certi tizi per vedere cosa si può fare. Che questo sarebbe stato un grandissimo favore e che per ripagarlo avrei dovuto farlo divertire tanto tanto.
“Tutto quello che vuoi Charlie, sai che adoro il tuo pisellone”.
Trascorro la notte abbracciato a Lulù, inizialmente non riesco a chiudere occhio ma poi dormiamo fino a tardi.
Mi incontro con Charlie in un bar, un paio di giorni dopo, non ho ancora rimesso piede a casa. Ha parlato con un personaggio importante che sistemerà la cosa. Gli hanno detto che i due sono dei coglioni ma anche che non avevano mai fatto nulla di simile, dovevano essere ubriachi persi.
Panko l’hanno operato alla testa per toglierli l’ematoma. Ci vorrà un po’ di tempo, ma si riprenderà.
Francamente non me ne frega un cazzo.
Charlie ha ottenuto tutto questo grazie alla sua posizione ma dovrà, quando necessario, ricambiare il favore.
Io lo ringrazio e gli confermo che sarò la sua schiavetta da usare come meglio gli piace.
Con un sorrisetto sornione e diabolico mi assicura che si farà vivo presto.
Penso che non sarà poi così male doverlo “servire”.

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