La percezione umana

Scritto da , il 2015-06-11, genere dominazione

Quella mattina mi svegliai abbastanza presto, il cinguettio degli uccelli animava l'aria, le tenebre si stavano dissolvendo nelle prime luci del giorno, l'intera casa fu ben presto riempita da oniriche sfumature rosate, sembrava tutto sospeso, anche i pensieri che avevano affollato la mia notte per incanto erano svaniti, mi voltai verso di lei che dormiva ancora, le lenzuola aggrovigliate al suo corpo lasciavano la schiena nuda che percorsi con lo sguardo, fino a quel tatuaggio incastonato fra le scapole, a sfiorare di poco la base del collo, curve e linee sottili richiamavano un fiore di loto stilizzato, non era molto grande, ma nemmeno invisibile.
E poi, la sua nuca, quella nuca che avrei riconosciuto ovunque e i capelli così corti e sbarazzini, la facevano sembrare ancor più piccola di quanto non fosse e poi,
poi, l'incavo tra il collo e la spalla, quel nervetto, che avrei mordicchiato e baciato ad oltranza , amavo, mentre cercava di sfuggirmi per via del solletico ed i brividi che le procucavo e, la sua risata in quei momenti era per me come toccare il cielo con un dito.

Respirai e mi sedetti, poggiai i piedi sul parquet, tesi le braccia in aria inarcando la schiena, le lasciai cadere portando una mano sulla poltroncina alla camicia che poco dopo indossai, mi alzai e mi diressi verso le scale, scesi un paio di gradini, accarezzai la ringhiera e mi voltai ancora a guardarla, notando che si stava svegliando
“Buongiorno splendore, vado a preparare il caffè, poi ci pensi tu a portarlo su?”
Si voltò e con gli occhi ancora semichiusi, sorrise
“Buongiorno...”
Portò la mano fra i capelli per giocare con qualche ciocca e lasciarla subito dopo cadere sul guanciale
“Si! 5 minuti e vengo...”
Risi fra me e me, con la certezza che sarebbe rimasta a letto ancora per un bel po'.
Arrivai in fondo alle scale, Il caldo parquet stava per lasciar spazio alla bianca e fredda pietra del resto della casa.

Era una bella casa a mio parere, del resto non poteva essere diversamente, avevo scelto con cura e studiato ogni particolare personalmente, pochi pezzi essenziali, lineari e moderni, si sposavano bene con il suo aspetto rustico e antico, un grande camino in pietra si lasciava notare per primo dall'ingresso principale, non vi erano muri, corridoi o divisioni nette tra un ambiente e l'altro, fatta ad eccezione dei due bagni, tre, contando anche la lavanderia su in terrazzo.

Nella ristrutturazione erano state recuperare le vecchie pietre delle mura e dei pavimenti per non snaturare l'anima di ciò che era un tempo; data l'altezza dell'immobile, credo un fienile o roba del genere, in realtà, poco mi interessai di quella faccenda, anche perchè, al momento dell'acquisto le pratiche per il cambio di destinazione d'uso erano già state fatte; qualche anno prima era solo un rudere a cui era crollato anche il tetto, ed ora grazie alla mia tenacia era diventato un posto accogliente e tranquillo.
Una chicca che mi concessi fu la vetrata sul letto, invece della classica finestra che affaccia sul verde io avevo una vetrata che dava al cielo, il meccanismo era abbastanza semplice, si poteva azionare la chiusura manualmente oppure a tempo, molte notti Giorgia ed io le abbiamo passate a guardare il manto stellato, o le tempeste accompagnate da lampi di luce e rombo di tuoni, e spesso creavamo noi vere e proprie tempeste di sensi fra quelle lenzuola.

Una volta preso il contatto col pavimento freddo e superato quel dispiacere, feci qualche passo per ritrovarmi in cucina, presi la caffettiera che aveva preparato la sera prima e la misi sul fornello, dall'ampia vetrata della porta si poteva scorgere il piccolo giardino contornato da alte siepi ed il vecchio abbeveratoio, convertito in una sorta di piscina dove rilassarsi durante le torride giornate estive, quando, le spiagge ci risultavano troppo lontane ed affollate.
Più in là, sulla sinistra un piccolo piazzale per le auto ed il cancello imponente, di ferro; anch'esso di recupero, incorniciato da due alti pilastri di pietra calcarea; poi una lunga strada sterrata che portava alla civiltà, nelle immediate vicinanze non vi erano altre abitazioni; e questa, è stata la mia fortuna in un certo senso, era in vendita da molto tempo quando la notai, nessuno era disposto a comprare un rudere sperduto nelle campagne più sperdute, nemmeno con quella vista, nessuno fu in grado di riuscire a vedere quello che poi sarebbe potuta diventare, non io.
Me ne innamorai dal primo istante.

E fu così anche quando conobbi Giorgia, fu una sorpresa innamorarmi di lei, fu naturale, fu inspiegabile, fu istantaneo e credo, lo stesso sia stato per lei. Ricordo ancora quella mattina di primavera, allora portava i capelli molto lunghi, raccolti da un elastico, ad eccezione di qualche ciocca ribelle che le sfiorava e contornava il viso, la prima cosa che notai fu il sorriso, così fresco, così pieno e vero, illuminò la mia giornata e continua a farlo anche oggi. Lasciò ben presto la casa in città che condivideva con altre studentesse per venire qui, per vivere insieme.

** **Presi le tazzine e mentre aspettavo il caffè che cominciava a gorgogliare, qualcosa sul camino catturó la mia attenzione, avrebbe potuto alleviare in qualche modo quella giornata, ma mi serviva il consenso e l'aiuto di Giorgia. Presi un pezzo di carta e le scrissi un messaggio, nel frattempo l'ambiente fu riempito da quell'aroma nervino ed inconfondibile, riempii le tazzine, per lei due cucchiaini di zucchero ed una brioche, per me niente zucchero e nemmeno brioche, lasciai il foglietto sotto il suo piattino, poi, con la mia tazzina fra le mani mi diressi alla porta.

Uscii a piedi nudi come era mio solito, socchiusi la porta e lentamente mi diressi su per le scale che conducevano al terrazzo, una volta lì azionai l'irrigatore per le piante e sprofondai subito dopo nei cuscini che rivestivano una delle ampie poltrone in rattan. Al di là delle siepi, più in basso si vedeva parte della città e in fondo, ma non troppo, il mare; dove, il cielo pareva annegarvi; a quell'ora, si sentiva l'odore della terra ancora umida, i gelsomini in fiore addolcivano l'aria; restai un pò a riempirmi di tutto questo.
Presi la tazzina che avevo lasciato sul tavolo e ne bevvi un piccolo sorso, aprii il cassetto dove tenevo le sigarette e ne presi una, l'accesi, tirai una boccata e chiusi gli occhi; quando, udii provenire dalla lavanderia il suono dello strascicare delle sue ciabatte, tenni ancora gli occhi chiusi, fin quando sentii il tintinnio della tazzina sul tavolo, lei era in piedi di fronte a me, aveva la testa piegata di lato, il suo volto accennava un sorriso, immobile ad aspettare una mia qualche reazione, sorrisi
“Di nuovo buon giorno pigrona, dormito bene?”
Voltandosi al mare
“Si, alla grande! E tu?”
Stiracchiandosi ed alllungando appena un piede, si rigirò con una lieve piroetta, i suoi occhi incontrarono i miei.
“Diciamo che ho dormito, non come avrei voluto, ma ho dormito, preso il caffè?”

Scrollai col pollice il filtro per lasciare cadere la cenere e presi un'altra boccata, si avvicinò alla poltrona e si lasciò cadere di fianco a me
“Ora lo facciamo insieme”
Allungò le braccia al tavolo e prese le tazzine, porgendomene una, fece un sorso e poggiò la nuca sul cuscino
“Buono...”
“...Inaspettato...” Aggiunse con gli occhi chiusi.
Restai in silenzio, in attesa, si voltò e sospirando
“Particolare... Strano...”

Cercai di venirle in soccorso
“Credi di non poterlo fare?”
Appoggiò la testa sulla mia spalla e mi prese la mano
“Beh, non abbiamo mai sperimentato una cosa del genere, diciamo... In pubblico...”
Aspettai, mentre lasciavo scivolare le mia dita fra le sue
“Forse, ho capito male Alex... vuoi fare questa cosa mentre saremo lì?”
“Mi aiuterebbe, sarebbe un modo per sdrammatizzare... Mi ecciterebbe molto”
Feci gli ultimi tiri e lasciai uscire lentamente il fumo, spensi il mozzicone nel vasetto a terra che fungeva da posacenere, aspettai ancora.

“Non ti nascondo che quando ho letto, mi sono eccitata molto all'idea, ma allo stesso modo, un po' turbata...”
Non volevo che facesse qualcosa solo per rendermi felice se anche lei non lo fosse stata; lasciai la sua mano, mi scostai e le sfiorai le guance mentre lasciavo scivolare una mano per alzarle il mento, mi tuffai nei suoi occhi verdi
“Se credi possa metterti a disagio, fai conto che quel biglietto non sia mai esistito”

La strinsi a me, poggiò una mano sul mio sterno e indietreggiò un poco, ben presto capii il motivo di quel gesto, ma per un attimo la mente si confuse. Con gli occhi a terra, prese ciò che non mi aspettavo più dalla tasca dei pantaloncini; fino a quel momento non ci avevo fatto caso per via di quell'orrenda maglia larga e lunga che era solita indossare quando ciondolava per casa in attesa del l'ispirazione per studiare, fare giardinaggio o altro; mi porse l'oggetto sghignazzando, senza riuscire a guardarmi, poi arrossì.
“Da questo, deduco che ha vinto la voglia di sperimentare...” Le dissi cercando un contatto visivo, le guance erano ancora rosse e lo sguardo chino sulle mie mani, sollevò appena le spalle ed accennò un sorriso
“Immagino di si?” Le domandai anche se avevo già capito la risposta, ma volevo sentirlo da lei, alla fine ci riuscì, sussurò come se avesse un groppo in gola
“Si”

Appoggiai la testa allo schienale e le passai il braccio intorno al collo, mi abbracciò. Mi spinsi in avanti per poggiare il butt plug sul tavolo, non era molto grande in dimensioni, il fatto che fosse in silicone lo rendeva più che adatto, ad adempiere al suo compito che sarebbe stato di qualche ora.
Poi Giorgia prese coraggio e disse qualcosa che mi avrebbe infiammato i sensi
“Il fatto che tu sappia che io ho... mentre saremo lì, mi eccita da morire”
A quelle parole già immaginavo la scena, mi voltai e lei si avvicinò, mi fiondai sulle sue labbra, cominciai a baciarla e stringerle le spalle, lei fece scorrere le mani sotto la mia camicia e cominciò a percorrere la schiena prima con i palmi, poi con le dita ed infine con le unghie, mentre continuavo a baciarla
“Ferma... Ferma, non voglio segni...” Rise e continuò senza darmi ascolto, passai una mano sul collo e premetti leggermente, mi scostai un poco e la guardai negli occhi
“Se ti dico di fermarti, devi farlo...” Gemette, scossi la testa e così notai la corda che serviva per chiudere gli ombrelloni, la presi
“Dato che, non ti piace ascoltarmi, ora faremo a modo mio”
rimase immobile e quando mi riavvicinai con la corda in mano mi suppliccò ridacchiando
“No... No ti prego, farò la buona”
“Pregarmi... Così... Poi... Non serve a nulla e lo sai bene, mi fai solo incazzare ancora di più” Le afferrai i polsi e li legai alla ringhiera
“Ti prego, ti prego” mi sedetti al suo fianco e la guardai minacciosamente
“Alex...” Rimasi in silenzio
“Alex...” La guardai, seduta in quella posizione, con le mani legate sopra la testa, la schiena si era leggermente inarcata, le gambe ed i piedi uniti, mi sarebbe piaciuto lasciarla ancora per un pò così, ma non avevamo molto tempo e questo mi eccitava e faceva infuriare allo stesso modo.
“Se non la smetti di pronunciare il mio nome vado a prendere la barra”
Insiprò e deglutì velocemente poi sbarrò gli occhi
“No, la barra...no...” Mi avvicinai e le infilai la lingua in bocca, fece lo stesso, la mia mano si fiondò nei pantaloncini fra le sue gambe, era umida, le morsi la lingua e gemette, nel frattempo le avevo infilato un dito con forza nella fica, sobbalzò, diedi un paio di colpi e mi fermai, portai la mano piena dei suoi umori alla sua bocca
“Lecca, non deve rimanervi traccia... Lecca” Eseguì l'ordine.
Pulii la saliva dalle dita su quell'obbrobrio che osava chiamare indumento
“Sai... Questa maglia, mi ha sempre fatto schifo” E prima che avesse il tempo di dire o pensare qualcosa, la strappai.


Mi risollevai a scrutarla; la fronte premeva sul braccio, il volto leggermente di lato e guardandomi sottecchi cercava di nascondere invano l'affanno; ispezionai i polsi, la sua pelle così delicata si segnava fin troppo facilmente, infatti, stavano cominciando a diventare violacei, le dita erano intrecciate nelle mani scurite; due guglie rosate facevano capolino dalla maglia squarciata, questo, mi fece ipotizzare che fosse pervasa dal piacere; il respiro sempre più corto, era segno evidente di un'attesa snervante; sfiorai la corda e scivolai con due dita sulle guance
“Che meraviglia sei... Credo dovrai indossare un paio di bracciali più tardi, quelli alti nel caso in cui rimanga qualche segno” le sussurrai amabilmente.
Sollevò lo sguardo nel mio
“Sono tua Alex, tua, per sempre”
“Anch'io”
Furono le uniche parole che riuscii a pronunciare in quel momento, così , mi inginocchiai, il suo sguardo si spostava freneticamente dai miei occhi alla bocca, la baciai ancora e strinsi fra le dita un capezzolo
“Prima o poi dovremo adornarli, magari con un piercing...”
Pizzicai forte, gemette sollevando appena un ginocchio, portai la bocca al suo orecchio
“Credi sia una buona idea?”
Mordicchiandole il lobo
“Si”
Lasciò uscire dalle labbra tremolanti di piacere.

Allentai la presa per scivolare sui fianchi ed accarezzare il ventre, spostai la testa sui seni che baciai e succhiai con foga, intanto, avevo afferrato i pantaloncini, mi venne in soccorso alzando lievemente il bacino, così, li feci scorrere fino alle caviglie, sollevò un piede per sfilarlo e con l'altro lo lanciò poco lontano.
I miei baci arrivarono senza troppa fretta fra le sue gambe
“Apri...apri”
accarezzai le gambe che risalii fino all'inguine, il respiro le si fece sempre più grave, le baciai e succhiai la clitoride, ansimò, due dita erano scomparse nella sua cavità e muovendomi lentamente il suo nettare cominciò a sgorgare, mi apprestai ad inserire un altro dito, ma, sobbalzò e quasi implorante
“No Alex, no... Ti prego”
“Non preoccuparti cara... Non ho intenzione... so che abbiamo poco tempo”
La rassicurai ritraendomi, continuai a leccarla fin quando inizió ad urlare di piacere ed in preda agli spasmi sempre più forti mi riempì di schizzi d'urina il collo e lo sterno, mi fermai; restai ad osservare le ultime convulsioni, a poco a poco scemò di ansare; ancora tesa, il volto paonazzo, gli occhi serrati e la bocca aperta; i polsi ormai lividi; passai la manica della camicia ad asciugare il collo, allungai un braccio e presi i pantaloncini che adagiai sul cuscino.
“Abbiamo quasi finito mia cara”
Sbarró gli occhi e gettó lo sguardo sul plug che stavo afferrando

“Se non sbaglio lo abbiamo già provato, per molte ore consecutive, vero Giorgia?”
Domandai
Annuì senza esitazioni
“Nessun fastidio? ...Ricordami”
Con lo sguardo ancora fisso sul plug
“No...nessuno” fu la sua risposta.

Mi sedetti a terra difronte alle gambe che aveva chiuso
“Allarga”
Lo passai sulla fica ancora umida e mentre cercavo d'affondarlo fece per ritrarsi, la bloccai afferrandola per un fianco ed alzai gli occhi
“Dobbiamo lubrificare, dai su... fai un bel respiro e trattieni....”
Si rilassò ed ubbidì
“Brava... ”
Bagnai le dita di saliva, accarezzai l'ano e con movimenti circolari gradualmente allentai la sua resistenza fino a farvi riuscire a passare il medio, continuavo a lubrificare, entravo ed uscivo fino a che l'avvertii disteso
“Credo possa andar bene”
Le sollevai le gambe ed estrassi delicatamente il plug dalla fica, vi lasciai scorrere della saliva direttamente dalla bocca, estrassi il dito
“Ora Giorgia, voglio che ti rilassi, farò piano, e tu devi stare tranquilla”
Annuì
Quando con delicatezza le ficcai il plug, trattenne il fiato, non ci volle molto, gemette appena un poco, ghignai
“Vuol dire che stiamo andando bene...”
Fece un leggero cenno di approvazione.
Ormai era visibile solo la base del plug, avevo terminato.
“Come va? È fastidioso?”
Le domandai, continuando a tenere lo sguardo fisso fra le sue gambe
“Non sembra”
Replicò mentre abbassava le gambe, mi sollevai a slegarle i polsi notando le leggere escoriazioni che la corda le aveva lasciato
“Credo debba mettere per forza quei maledetti bracciali, il segno è abbastanza evidente, non penso andrà via in un paio d'ore” Dissi con un velo di perplessità.

Le sfiorai il volto, mentre si carezzava i polsi e li osservava con molta attenzione, poi abbandonò le braccia lungo il corpo e con le mani strinse il cuscino, roteó appena il bacino, morse il labbro inferiore e sorrise
“Bene, ti piace” Affermai
“Ma quando saremo lì non ti sarà permesso prenderti certi lussi mia cara, un po' di contegno, dovrai essere il più normale e naturale possibile” Aggiunsi
“Certo che sarà così... Tu ed io, siamo due persone normali” Rispose sarcastica
“Dico sul serio”
Con l'atteggiamento più serio che potessi avere, ma a guardarla in quel modo e l'espressione che aveva assunto il suo volto, mi fece scoppiare in una risata quasi isterica che trovò compagnia nella sua.
Ci fermammo ancora un poco su quella poltrona a contemplare il panorama in silenzio, accesi un'altra sigaretta, passai un braccio attorno al suo collo e quando diedi le ultime boccate sentenziai
“Vai a prepararti io ti raggiungo, spengo l'irrigatore e vengo” Sfilai la camicia che poi adagiai sulle sue spalle, si alzò dopo aver indossato i pantaloncini e mentre si allontanava in silenzio le sussurrai

“Ti amo, non smettere mai di essere quella che sei”
Si voltò e col sorriso negl'occhi
“Ti amo”
Sorrisi e mi voltai al mare
“Metti il vestito blu, quello morbido con l'elastico in vita, aperto dietro, credo sia perfetto”
“E tu cosa indosserai?”
Mi voltai su di lei
“Credo quello grigio”
“Non credi sia troppo serio? Eccessivo?”
“Non sono sicura, vediamo prima te e poi penseremo a me”
Col sorriso migliore che riuscii a sfoderare in quel momento, poi la vidi scomparire sculettante in lavanderia; rimasi qualche istante ancora lì, sperando che quel principio di fastidio generale, si sarebbe dissolto di lì a poco, ma, prima o poi, in qualche modo; nella maniera migliore che mi fosse stata possibile avrei dovuto affrontare quella questione che ormai si protraeva da fin troppo tempo, ero ben consapevole, quella giornata di certo non si prestava, ma era un'occasione e forse l'unica.
Sbuffai, tentando di allentare la tensione che oramai sentivo salire più prepotente, chiusi il rubinetto e con le braccia ciondolanti mi introdussi in casa.

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