Tuaregh

Scritto da , il 2010-07-07, genere etero


Habbas era un giovane marocchino di 27 anni molto carino. Quando compì 18 anni decise di tentare la sorte, emigrando in Europa. Era stato prima 3 anni in Germania e poi altri 4 anni in Italia. Purtroppo, nonostante il suo impegno, le cose erano andate male per lui. In entrambi i paesi europei dove era stato aveva trovato tanto lavoro ma pochi soldi e molta solitudine. E fu soprattutto la solitudine che lo spinse a tornare in patria.
A Fez, la sua città natale, viveva arrangiandosi grazie al turismo. Molti occidentali vengono in questa parte del Marocco affascinati dalla cultura maghrebina, dalla inquietante bellezza del Sahara e dal caldo e violento ghibli. Habbas si proponeva come giuda ai turisti più sprovveduti. Era molto gioviale e simpatico, ed inoltre era un piccolo poliglotta. A scuola aveva imparato un po' di francese, e grazie alla sua esperienza europea era in grado di farsi capire sia dai turisti tedeschi che da quelli italiani. Quando le cose cominciarono ad andare benino aveva preso anche qualche lezione di inglese. Ovviamente, i maggiori guadagni venivano però dai commercianti e dai proprietari di locali e alberghi, i quali pagavano Habbas affinché facesse pubblicità alle loro attività presso i turisti.
Anche se al nostro giovane la vita sembrava ora sorridere un poco, purtroppo non aveva ancora abbastanza soldi per sposarsi e sentiva quindi la mancanza di una compagnia femminile, diciamo così. Le turiste occidentali single che lui accompagnava in giro per i vari souk e nelle stradine strette e tortuose della medina di Fez el-Bali non lo degnavano mai di alcuna attenzione. Avrebbe voluto tanto scoparsi una di quelle belle turiste dalla pelle così candida, ma purtroppo doveva accontentarsi di qualche puttana a buon mercato.
Finché il destino gli diede l'opportunità di realizzare le sue fantasie erotiche. Quel giorno Habbas stava pranzando con uno dei mercanti che gli elargivano buone mance per i turisti che lui portava loro per essere spennati.
"Come sono curiosi questi infedeli, mio caro Habbas!"
"Perché?"
"Ti ricordi quella coppia di turisti francesi che mi hai portato ieri? Be' oggi il marito è venuto da me e mi ha offerto ben 3.000 dirham se gli procuravo un costume da tuaregh. E lo sai perché lo voleva?"
"No!"
"Per soddisfare sua moglie. Ma ti rendi conto, quell'uomo per scopare con sua moglie deve vestirsi da tuaregh. Da non credere!"

Come il profeta anche Habbas ebbe un'improvvisa illuminazione, sebbene di tutt'altro genere. Molto spesso le turiste gli chiedevano di aiutarle ad incontrare questi leggendari signori del deserto, i Tuaregh. Ma lui era di origine contadina e quindi sapeva poco di questa fiera e indomita popolazione nomade. Perciò non aveva mai potuto accontentare le sue clienti, sino ad allora però.
"Signora Carla, sono sicuro. I Tuaregh vengono spesso in questa oasi per far abbeverare i loro dromedari, durante le lunghe attraversate nel deserto"
"Ma io non vedo nessuno qui!"
"Lei deve avere pazienza, prima o poi qualcuno di loro verrà. Venga qui domani mattina da sola e vedrà se non ho ragione."
Il giorno dopo la nostra intraprendente connazionale si avventurò nel deserto da sola. Habbas le aveva indicato molto bene la strada da fare e il posto non era molto lontano dalla città, per cui il rischio era minimo. Mentre guidava il fuoristrada che aveva noleggiato, la sua fantasia le faceva immaginare meravigliose scene erotiche. Carla da parecchio tempo sognava di avere un'avventura con uno di questi misteriosi e fieri berberi, esponenti di un'antica e sana virilità ormai irrimediabilmente persa dai maschi occidentali. D'altronde come si potrebbe essere insensibili al fascino dei cavalieri tuaregh, che sono definiti gli ultimi uomini liberi rimasti sulla terra. Belli, alti, di corporatura longilinea ed il volto perennemente coperto dal caratteristico velo blu che mette in risalto i loro piccoli ma magnetici occhi, con una piega sul bordo superiore esterno che li protegge dalla luce intensa. E dulcis in fundo non sono neppure maschilisti, giacché la donna gode degli stessi diritti del marito e viene conservata anche la tradizione del matriarcato (il figlio segue sempre il sangue della madre!).
Il sole era ormai alto in cielo, ed era da almeno due ore che Carla stava aspettando. Cominciava a darsi della cretina per aver dato retta ad Habbas. "Accidenti a te Carla, ma è possibile che a 42 anni sogni ancora come……anzi peggio di una sciocca ragazzina di 14 anni." La vacanza in Marocco le era costata assai, visto il suo misero stipendio. Per tutto l'inverno aveva risparmiato come una perfetta formichina. Il suo lavoro di segretaria presso lo studio di un avvocato alquanto spilorcio era molto duro. Durante le interminabili file che doveva fare nei vari uffici per conto dell'avvocato, il sogno di un appassionato e ardente incontro con uno dei figli del vento era l'unica cosa che riusciva ad evitarle una crisi isterica. La sua grande fantasia la aiutava sempre a sopportare i piccoli e i grandi dispiaceri della sua vita.
L'uomo a cavallo del dromedario sembrava molto provato, a malapena si reggeva in sella. Carla lo aveva visto avanzare molto lentamente. Arrivato vicino al pozzo, smontò dal dromedario. L'uomo sembrava uscito da uno di quei libri che avevano fatto tanto sognare la nostra turista. Aveva il volto coperto dallo cheche, il velo di cotone che usano gli uomini Tuaregh sposati. La takouba, la spada senza della quale un Tuaregh non viaggia mai, incuteva un po' di timore in Carla, anche se sapeva che oggigiorno ha solo una funzione decorativa. Nonostante lei non facesse altro che fissarlo, lui sembrava essere del tutto indifferente alle sue attenzioni ed era tutto intento a riempire d'acqua la calebasse, il recipiente che i Tuaregh ricavano dalle zucche svuotate e fatte seccare al sole. Carla avrebbe voluto parlargli ma la lingua era paralizzata dall'emozione, riusciva solo a seguire con gli occhi ogni suo movimento.
"Che Allah ti protegga, donna. Cosa ci fai tutta sola nel deserto?".
Per fortuna aveva parlato in francese.
"Volevo vedere il deserto, ma devo essermi persa. Ora non so più come devo fare per tornare a Fez. Potresti accompagnarmi?"
"Non posso accompagnarti"
"Ma perché?"
"Ho detto che non posso"
"Ma allora come farò a tornare indietro. Potrei anche morire"
"E va bene, più tardi ti accompagnerò fin dove posso. Ma ora devo riposare, sono molto stanco"
Ovviamente Carla aveva mentito, non si era affatto persa, quella bugia era stata l'unica cosa che le era venuta in mente per prolungare l'incontro col misterioso nomade. Era molto eccitata, a causa dell'avventura tanto sognata che finalmente si stava realizzando, ma al contempo era anche molto preoccupata perché non sapeva come comportarsi. Sentiva che doveva sfruttare l'occasione che il destino le aveva regalato, ma non aveva alcuna idea in proposito. Intanto l'uomo se ne stava seduto all'ombra di una sparuta palma, e sembrava totalmente assorto nei suoi pensieri, che dovevano essere molto tristi a giudicare dallo sguardo malinconico che sembrava avere. E come spinto da quei tristi pensieri, estrasse dalla sua casacca un gioiello d'argento cruciforme, un canto dolce e melodioso cominciò ad uscire dalla sua bocca. Carla, pur non comprendendo le parole, restò incantata dalla melodia così dolce e struggente. Ma improvvisamente il bel canto fu interrotto.
"Ti prego continua, era così bello. Posso chiederti cos'era?"
"Era il tindé con cui conquistai mia moglie nell'agal durante i festeggiamenti per l'Illoudjan"
"La melodia è molto bella, puoi dirmi le parole?"
"Lei è simile alle stelle nel cielo. Io prego Dio, il Signore che la modellò di sua propria mano, di iscrivermi tra le cose che le appartengono...Appena la vidi, sentii sorgere in me la sua luce di stella…."
L'uomo interruppe un'altra volta il suo canto. Aveva ancora quel suo sguardo molto malinconico. Sembrava che qualcosa lo rendesse muto. Il silenzio regnò per alcuni interminabili istanti. Carla si sentiva molto a disagio, e provò a fare una domanda banale, per riprendere la conversazione.
"E' davvero tanto bella tua moglie?"
"Sì"
"E dov'è ora?"
"E' morta tre anni fa, l'hanno uccisa i soldati"
Carla aveva solo cercato di rompere un po' il ghiaccio, ed invece si era cacciata in una situazione alquanto imbarazzante. In quell'uomo il dolore per la scomparsa della moglie sembrava tanto forte da non lasciare spazio per altri sentimenti o interessi. Ma questo gran dolore che opprimeva il suo animo lo rendeva così amabile e irresistibile che Carla quasi si vergognava per quel che provava. Lei avrebbe voluto abbracciarlo e riempirlo di baci, ma si sentiva una persona squallida a pensare a cose del genere mentre lui aveva ancora il cuore infranto a causa del lutto.
In fine quei bei occhi tristi ebbero la meglio su ogni scrupolo. Mentre si avvicinava a lui continuava a dirsi che era solo per provare a consolarlo che voleva stringergli le mani. E quando sentì il calore di quelle mani, non poté resistere al desiderio di essere accarezzata. Posò la mano di lui sul proprio viso. Anche se l'uomo era passivo quel contatto ebbe un dolce e sensualissimo effetto su di lei. Le emozioni che provava la travolsero e la spinsero ad osare. In quel momento sentiva che non aveva mai voluto qualcuno come quell'uomo che le stava davanti. Era la bellezza del dolore che portava nei suoi occhi, era quel terribile e pericoloso fascino che sanno suscitare alle volte le persone che sono state ferite dal destino. E poi la vanitosa soddisfazione di vincere l'angoscia dell'atro, anche se per pochi attimi.
Premendo quella mano contro il suo seno, si avvicinò ancora di più. Finalmente ricevette quell'abbraccio che desiderava tanto. Rotolarono sulla sabbia, intrecciando le mani per entrare in un'intimità fatta sola dalla complicità dei gesti e dall'intesa spontanea degli sguardi.
Lei avrebbe voluto assaporare le sue labbra, ma lui non volle levarsi il velo, che rimase l'unica vera barriera tra di loro.
Quando giunse il momento dell'addio, l'uomo prese di nuovo il gioiello d'argento sul quale qualche ora prima sembrava essersi commosso.
"Questa è la Croce di Agadez, ed è portatrice di fecondità e protezione per chi la indossa. Quando partii per combattere i soldati, Tahia me la prestò, affinché potessi tornare sano e salvo. Ora a me non serve più, prendila tu."
Commossa fin quasi alle lacrime, Carla accettò il dono. Accompagnadolo con gli occhi mentre scompariva all'orizzonte, non poté fare a meno di stringere forte la croce d'argento per confermare a se stessa che quel che le era capitato non era il frutto di una delle sue solite fantasie.
Il giorno dopo Habbas attraversò di corsa la città per raggiungere Avenue Des Al mohades Fez, dov'era l'albergo di Carla. Lei gli aveva detto che sarebbe partita proprio quel giorno e lui voleva salutarla. Purtroppo quando arrivò lei era già andata via. Ma aveva lasciato qualcosa per lui. Il portiere dell'albergo consegnò ad Habbas una lettera e un pacco.
"Caro Habbas,
forse dovrei essere arrabbiata con te per il tuo inganno, ma non ci riesco. D'altronde sei stato così bravo, che solo quando sono tornata in albergo ed ho cominciato a riflettere, con mente più serena, a ciò che era successo, ho capito tutto.
All'inizio non ti nascondo che avrei voluto picchiarti per come mi avevi ingannata. Ma poi, ripensando a come mi era parsa così meravigliosamente emozionante l'avventura che mi hai donato, ogni rancore è scomparso. In fondo tu hai realizzato in maniera perfetta un mio sogno e quindi credo che dovrei essertene grata. E poi penso che sia meglio che sia andata così, tanto si sa che la realtà ti delude sempre e le fantasie son sempre più belle.
Con affetto, Carla!
P.s. Il gioiello che mi hai regalato mi sembra vero. Credo che costi un bel po'. Poiché non voglio rovinarti ho deciso di restituirtelo, anche se sono stata tentata di tenermelo.

Dopo aver finito di leggere la lettera, Habbas imprecò e maledisse l'esoso mercante che all'ultimo momento aveva deciso, violando l'accordo verbale, di vendere, per più di 5000 dirham, il costume da tuaregh al marito della coppia francese. Quando la mattina del giorno prima era andato a ritirare il costume, uscì letteralmente fuori di sé appena il mercante gli disse che non aveva saputo dire di no all'offerta più alta del francese. Triste e sconsolato aveva vagato per la città tutto il giorno, rimpiangendo l'occasione persa a causa dell'avidità del mercante.

Null'altro ho più da narrare, ma mi sento in dovere di aggiungere un'ultima cosa riguardante il popolo del misterioso nomade incontrato da Carla.
Solo nella nostra immaginazione oramai i Tuaregh possono continuare a essere quei fieri nomadi del deserto soggetti solamente alle loro leggi. Per non perdere la loro identità di uomini liberi hanno combattuto strenuamente contro la colonizzazione francese e contro quasi tutti gli stati del Maghreb. Ma hanno perso. Costretti alla sedentarizzazione, e considerati ospiti indesiderati, molti di loro vivono in vere riserve dove dipendono dagli aiuti internazionali.

Ed ora è giunto il momento che io mi congedi.
Il Signore ha mandato tre mele dal cielo: una per chi ha raccontato, una per chi ha letto e la terza per i personaggi della storia che è stata qui narrata.

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