Anime Perdute

Scritto da , il 2010-06-11, genere poesie

La vecchia mano ossuta e callosa prese l'obolo. Una moneta d'argento, un denario con al dritto la testa di Roma elmata e a rovescio i Diòscuri a cavallo. Erano secoli che l'antico nocchiero non ne vedeva una.
Un tempo ne circolavano tante di quelle monete, e poche erano le anime che potevano permettersele. In molte restarono ad errare tra le nebbie del fiume perchè non possedevano i mezzi per pagarsi il viaggio. Ma i tempi cambiano, lo sapeva benissimo il vecchio barcaiolo, persino laggiù in quel triste confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti attraversato dall'immenso fiume del dolore.
Infilò la moneta nella sua sacca quasi piena e mai stracolma appesa alla cintola, non domandò da deve provenisse, non lo faceva più ormai da parecchio tempo.
Un tempo la sua sacca conteneva soltanto monete di quel pregio, non accettava mai nient'altro che ne avesse un minor valore. Ricordò quant'era spietato e crudele verso quelle povere anime dannate che imploravano la sua pietà disperati e avviliti di non poter salire sulla sua barca, senza nemmeno sapere di quali orribili pene li aspettassero dall'altra parte del fiume. Ma i lunghi secoli di infiniti viaggi cambiarono anche il suo animo crudele, diventando da feroce bestia ad entità compassionevole e indulgente.
Le monete di valore divennero via via di qualità sempre più scadente, finchè non persero del tutto del significato che era stato loro assegnato. Strani oggetti curiosi e bizzarri davano peso alla sua sacca; una donna che in vita era stata una sarta pagò il suo viaggio con un ditale, un ago e un mezzo rotolo di spago. Un altro, forse un carpentiere, con un pugno di chiodi di cui alcuni arruginiti; chi lasciò la propria fede nuziale, chi persino una medaglietta di san Cristoforo, patrono dei pellegrini e dei viaggiatori, forse una beffa nei suoi confronti? Un altro tizio ancora si strappò via tutti i bottoni della camicia, e temendo che questi non bastassero volle levarsi pure l'indumento un pò lacero, ma il vecchio lo rassicurò dicendogli che i bottoni erano più che sufficienti per la traversata.

Lo straniero porse al traghettatore la sua moneta d'argento e si sedette un pò vacillante da una gamba sulla tavola trasversale della barca.
Fissò con interesse il vecchio mentre con lenti movimenti preparava la barca per il viaggio. Sciolse la cima dal pontile e inforcò la lunga pertica. Non c'era vento, non c'era bisogno di governare le vele; affondò l'asta di legno nelle acque scure e calme fino a toccarne il fondo e spinse con le braccia forti facendo muovere l'anticha imbarcazione.
Aveva soltanto un mantello annodato alla vita, la sua pelle era un pò scura come bruciata dal sole, un sole che mai penetrò in quell'immenso antro semioscuro. Solo alcuni raggi di luce trapassavano la sommità di quel cielo tenebroso. Forse era la luce del sole, forse quella del Paradiso, non aveva importanza.
Vecchio e canuto, come pure i suoi peli nel petto, aveva un'espressione dura e provata dai secoli, i suoi occhi che un tempo dovevano essere stati crudeli sembravano ora molto stanchi.
C'era un silenzio surreale in quel posto sinistro, un silenzio che mai lo straniero aveva immaginato potesse esistere, rotto solamente dal leggero sciabordio dell'acqua provocato dalla lunga pertica.
- Sei... Caronte? - domandò con voce incerta.
- Mi chiamano in tanti modi diversi -rispose il vecchio, - di cui questi è uno dei tanti. - La sua voce era roca ma dal tono rilassante, piacevole da ascoltare.
- Nel mondo dei vivi vieni descritto come un crudele demonio con gli occhi di fiamma. -
- Un tempo lo ero, i secoli cambiano molte cose, forse lo sarò ancora nell'avvenire. Anche il fiume cambia umore di continuo, da calmo può divenire impetuoso in un istante. Tutto può accadere nell'Eterno. -
Dev'essere faticoso attraversare all'infinito questo immenso fiume. -
- Lo è. -
- Paradiso o Inferno, la riva è incerta per ognuno di noi. -
- La nostra riva è una soltanto. Conosco solo quella, e la conosci pure tu. -
- Si, la conosco. -
- Quale orrendo crimine hai mai commesso per meritarti il Tormento Perenne? -
- L'amore - rispose lo straniero con occhi tristi.
- La gelosia, certo. E' cosa molto comune in molti animi. Hai tolto la vita alla tua donna o al suo amante? -
- No, niente del genere. Faccio questo viaggio perchè ho amato troppo. -
- Non si merita l'Inferno per aver amato troppo. L'amore non condanna. -
- Dipende da quanto esso sia grande. -
- Mi piacerebbe conoscere la storia di questo tuo grande amore. -
Lo straniero guardò in direzione opposta da quella in cui erano partiti cercando di intravederne in lontananza la riva antistante.
- Quanto è lontana la riva? -
- Il tragitto è lungo un'intera vita. Abbiamo tutto il tempo che serve. -
- Il tempo - sospirò massaggiandosi la gamba che sembrava dolorante. - Ti sfugge tra le dita come fosse sabbia senza nemmeno rendertene conto. E il mio amore è stato così breve...
- La conobbi in mezzo alla morte, quelle morte che poteva essere la mia. A dire la verità conobbi prima le sue mani; stringevano la ferita sulla mia coscia squarciata da una scheggia di granata. Tentavano disperatamente di fermare il sangue che scorreva a fiotti. Il dolore era orribile, il mio corpo era scosso dai tremiti, avevo molto freddo. Brividi gelidi che mi fecero conoscere la vera paura. E ne avevo davvero tanta. Volevo tornare a casa dalle mie sorelline e dalla mia dolce e cara madre. Mi trovavo molto lontano da loro, non volevo morire in un posto sconosciuto circondato da tanto dolore e da tanta sofferenza. Sapevo che in molti non tornavano a casa neanche da morti, io non volevo fare quella fine.
- Mi stavo lasciando trasportare da uno strano sonno che sembrava lenire la paura e il dolore alla gamba, ma la sua voce mi riportò indietro. Continuò a parlarmi finchè non mi svegliai del tutto. I miei occhi velati dalla sofferenza ripresero a vederci chiaro. Il suo viso sembrava quello di un angelo, i suoi occhi neri quelli di un cerbiatto appena nato. Fra i capelli aveva una fascetta bianca con una croce rossa dipinta. Altre mani si presero cura della mia gamba, la morfina attenuò il dolore e la prognosi non sembrò così infausta. "Non temere mio giovane soldato" mi disse con il suo bel sorriso e le mani imbrattate del mio sangue. "Non corri più nessun pericolo." "La paura stessa trema al solo contatto delle tue mani" pensai, o forse lo dissi ad alta voce, non ne ero sicuro, lei sembrò udire le mie parole e la sua bocca e i suoi occhi mi sorrisero ancora.
- Restai in convalescenza per qualche giorno in una delle numerose tende allestite per il ricovero dei feriti. Ero giovane e piuttosto forte, mi riebbi in fretta e non tardai a rimettermi in piedi con l'aiuto di un bastone. Avrei dovuto usarlo per il resto dei miei giorni, ma non mi importava, i miei pensieri tornavano sempre verso quegli occhi che mi sorrisero e quelle mani che mi salvarono la vita. Volevo rivederla.
- Ci trovavamo nei pressi di Minturno, nei boschi dei monti Aurunci. Io facevo parte della 5° divisione di fanteria della Gran Bretagna; avevamo il compito di far sloggiare la Wehrmacht dal paese una volta per tutte, anche se non sembrava un compito facile. Le forze armate tedesche erano piuttosto forti e le perdite su entrambi i fronti erano ingenti.
- Mia madre italiana e il mio defunto padre inglese ma anche lui delle sue stesse origini, mi permisero di essere poliglotta, ero molto ferrato in entrambe le lingue. Scorreva molta Italia nelle mie vene.
- Mi informai in giro sulla mia infermiera; seppi che era originaria di Roma, che si era offerta come volontaria al seguito delle truppe alleate, e cosa più interessante, non era sposata. La rividi una sera mentre facevo sgranchire la mia povera gamba indolenzita per il campo. Faceva molto freddo, aveva uno scialle sulle spalle, si diresse verso la grande tenda allestita come dormitorio delle infermiere e la seguii. Era piuttosto affollata da persone di entrambi i sessi che entravano e uscivano di continuo; da una radio proveniva una musica molto allegra, l'intero posto era allegro. La cercai e la vidi in fondo alla tenda in quella che doveva essere la sua branda, mi avvicinai verso di lei. Si levò lo scialle e il grembiule macchiato del sangue dei feriti e si sedette sul letto tenendosi la testa tra le mani, sembrava molto stanca. Restai a guardarla appoggiato al mio bastone per non so quanto tempo senza dire niente. Avevo intenzione di ringraziarla per quanto avesse fatto per me quel giorno che ormai non ritenevo più così orribile, ma stranamente non riuscii a trovare le parole. Dalla mia bocca non uscì nient'altro che gli sbuffi di vapore del mio respiro caldo. Fu lei a rompere quell'imbarazzante silenzio che ci separava, alzò la testa e i suoi occhi mi sorrisero ancora riconoscendomi. "Mio giovane soldato" disse. "Sapevo che un giorno ti avrei rivisto." Forse fu solo una mia impressione, oppure era la semplice voglia di desiderarlo, ma mi sembrò che i suoi occhi luccicassero a quelle parole. Si alzò dalla branda e si avvicinò a me. La sua mano si posò delicata sulla mia guancia; era calda e il mio corpo si riscaldò al suo contatto. "Ma non pensavo succedesse così in fretta" finì di dire lei. "Temevi che me ne sarei restato fermo su un letto sapendoti in giro a correre in mezzo ai pericoli da sola?" Non riuscii a credere a quello che le dissi, le parlai come se l'avessi conosciuta da sempre. Forse era così, forse in un altro posto o in un altro tempo lo era davvero. Il destino a volte si diverte a giocare con le vite delle persone, e con noi forse aveva già deciso di farci ritrovare un'altra volta. "La mia paura svanisce al suono della tua voce" disse. Mi cinse con le sue braccia appoggiando la sua testa sul mio petto, la strinsi forte anch'io. Fu uno strano incontro, uno strano abbraccio. Strano... e bello. -

La barca scivolava leggera nel fiume. Lo straniero sembrava rapito dal movimento di quelle acque torbide che scorrevano sotto il legno secolare spinto con forza dal vecchio nocchiero.
- Continuammo a vederci molto spesso, tutte le volte che potevamo farlo. Ogni volta era come se fosse la prima, momenti che non dimenticherò mai.
Una sera i miei commilitoni allestirono una tenda per fare una festa, il morale fra le truppe era molto basso e c'era bisogno di risollevarlo ravvivando un pò l'ambiente. C'era musica e molto alcol, ragazzi e ragazze che si scatenavano al ritmo sfrenato di quelle canzoni allegre. Io seduto in disparte su un tavolo ammiravo il mio angelo danzare felice con gli altri soldati, anche loro presi dalla sua bellezza. Qualcuno mise un disco lento e lei venne da me portandomi con la forza al centro della pista, ed anche se incapace di eseguire certi movimenti, mi abbandonai anch'io al dolce suono della voce della cantante. Eravamo stretti l'uno contro l'altra, i suoi capelli erano soffici, la sua pelle profumata, e il suo calore mi avvolgeva come una calda giornata d'estate. I nostri sguardi si incrociarono, le nostre labbra si toccarono e i nostri cuori si unirono. Ci baciammo danzando nelle nostre menti, il mondo intorno a noi divenne solo musica, e la musica divenne solo amore. La scheggia di una granata tedesca quel giorno squarciò la mia gamba, lei mi colpì dritta al cuore.
- Da soli nella tenda delle infermiere, alzammo come barricate delle lenzuola attorno alla sua branda, volevamo restare soli, volevamo estraniarci da tutto e da tutti. Seduto sul letto le slacciai i bottoni del suo grazioso abito da sera, lo feci scivolare sui suoi fianchi fino a terra e ammirai rapito la bellezza del suo corpo. Feci scendere lentamente le spalline del suo reggiseno, un piccolo neo sul suo seno destro spuntò fugacemente dall'indumento, lo baciai teneramente come baciai i suoi capezzoli che cominciarono ad inebriarmi. Le mie mani sentivano la pelle liscia delle sue spalle, dei fianchi, scesero giù sulle sue gambe e risalirono ancora verso i suoi glutei, si intrufolarono sotto il suo intimo cercando il frutto proibito, e la nostra musica ci guidò in quella che ritenni la notte più bella della mia vita.
- La mattina seguente alcune risatine e alcuni sguardi curiosi spuntati da dietro le lenzuola appese, ci svegliarono dal nostro sonno. Le altre ragazze erano appena rientrate dalla festa. Abbracciati l'un l'altra non facemmo caso a loro, non eravamo per niente imbarazzati, ma piuttosto felici. Le ragazze peraltro smorzata la loro curiosità, ci lasciarono in pace. Avevamo un pò di fame, ma nessuno dei due aveva voglia di alzarsi e lasciare il letto, o lasciare l'altro, così lei da una sua valigia tirò fuori una scatola di gallette un pò salate. Ne andava matta, anche per via della sorpresa che conteneva ogni scatola. Se poteva se le faceva spedire da sua madre direttamente da Roma. Ne sgranocchiai qualcuna, erano veramente squisite. Lei tirò fuori la sorpresa, era contenuta in una piccolissima bustina di plastica trasparente. Sarà stato quattro o cinque centimetri, tutto nero con enormi orecchie; era Mickey Mouse, coi suoi calzoncini rossi con due grandi bottoni bianchi. Topolino lo chiamò lei, ma le piaque di più Mickey Mouse. Lo conservò gelosamente come una bambina. La sua branda divenne il nostro rifugio, le sue compagne dopo qualche protesta mi accettarono di buon grado, e noi continuammo ad amarci.
- L'attacco a Minturno non tardò ad arrivare, tutta la 5° divisione si diresse verso il paese ormai diventato un vero inferno. Tutte le compagnie mediche volontarie e non, dovettero recarsi ad assistere i feriti nella battaglia. In pochissimi restarono nel campo, me compreso.
- Il tempo sembrava non trascorrere mai senza la mia amata, ed io impazzivo nella mia solitudine. I bombardamenti sul paese erano incessanti ed io non potei non pensare che lei fosse in pericolo in mezzo a quel tremendo caos. Attesi e pregai che tutto andasse per il meglio.
- Non fu così.
- La notizia mi arrivò tramite una sua amica. Una bomba centrò in pieno il campo medico nelle retrovie, in molti morirono e in molti restarono feriti, tra loro c'era il mio angelo. Il camion dei feriti gravi arrivò al mio campo in piena notte, corsi da lei per quanto la mia gamba inferma potesse permettermelo. La sua teste era fasciata con delle bende che si erano tinte del suo sangue, il medico disse che non c'erano speranze. La baciai col cuore straziato. Le sue mani un tempo fermarono il sangue della mia gamba salvandomi la vita, le mie in quel momento erano completamente inutili, come inutile mi sentii io stesso. Pregai Dio di salvarle la vita, lo pregai e lo pregai ancora fino allo stremo, ma non venni ascoltato. Lei continuava a morire ed io smisi di pregare. Rivolsi le mie suppliche al suo opposto. Bussai all'altra porta, capisci? Invocai colui che non deve essere nominato. -
Il traghettatore smise di remare. Scrutò con occhi severi ma al tempo stesso compassionevoli lo straniero provato dalla sua vita vissuta. - Non è stata una buona idea - gli disse.
- Nessuna idea è mai buona finchè non se ne conoscono le conseguenze una volta messa in pratica. Ma la mia sembrò esserla, perchè qualcuno rispose. LUI accettò la mia chiamata.
- Le Tenebre mi avvolsero in un istante, intorno a me non vidi altro che l'oscurità, esisteva solo il mio corpo come illuminato da luce propria. Sentii il respiro dell'Immondo, putrido e corrotto, il mio corpo parve schiacciato dalla presenza della Bestia.
- "CHIEDI" mi disse con la sua possente voce avariata dal male.
- Ed io chiesi. La vita di lei per la mia anima.
- Accettò e tornai alla luce. -

La barca riprese il suo slancio alla spinta della lunga pertica. IL fiume scorreva di nuovo sotto di loro.
- Ho dannato la mia anima per il suo amore, ma non è forse questo che facciamo sempre noi uomini?
- Lei si riprese, recuperò le sue forze in brevissimo tempo. "Un miracolo" pensarono gli altri, forse lo pensò pure lei, ma non ne ero sicuro. Forse sospettò qualcosa ma non aveva più importanza. Era tornata da me, solo questo contava.
- Guarì in pochi giorni. Io ebbi la possibilità di tornare a casa dalla mia famiglia, ma decisi di restare con lei. Scrissi di lei nelle lettere che inviai a casa, di come ci amavamo e di quanto sarebbe piacciuta anche a loro. Scrissi persino che facevamo sempre l'amore, ed io potei vedere l'espressione divertita delle mie sorelline insieme a quella di disappunto di mia madre. Dissi loro che un giorno le avrei portate in Italia per il nostro matrimonio, avevamo molti progetti in serbo per il futuro e tutte e due le nostre famiglie ne facevano parte.
- La 5° divisione conquistò i paesi di Minturno e Tufo, la Wehrmacht venne sconfitta dalle nostre forze, ma dietro a loro si lasciarono soltanto rovine e dolore, non fu un bello spettacolo. Il paese aveva bisogno di riprendersi e cominciare a ricostruire ciò che era andato distrutto.
- Per un periodo di tempo vivemmo a Roma dai suoi, non era una vita tutta rose e fiori, la guerra continuava ad esserci e tutti noi ne eravamo coinvolti, ma tutto passò in secondo piano alla notizia dell'arrivo di un altro membro nella nostra famiglia. Mi sentii al settimo cielo quando seppi che lei aspettava un bambino. -

Il vecchio nocchiero notò la lacrima solcare il viso dello straniero. Avvertì il dolore nel cuore del suo sfortunato passeggero.
- Ogni medaglia ha il suo rovescio. Niente vive senza il suo opposto. Alla notte segue sempre il giorno, al freddo il caldo, e alla felicità segue la disperazione. Ma se nella disperazione ti viene la "buona" idea di coinvolgerci pure il Diavolo, allora nulla può andare per il verso giusto.
- Le fu diagnosticato un cancro in uno stadio avanzato. Stava divorando inesorabilmente il suo corpo giovane e debole. In meno di due mesi finì nel letto di un ospedale e poi in quello di casa sua, venne considerata ormai una malata terminale. I suoi umori cambiavano continuamente, da persona calma e gentile di cui era, ad aggressiva e violenta; la sofferenza era sempre presente.
- Ed io non l'accettai.
- Tornai negli Inferi deciso a riaverla, ma ciò che fu stato fatto una volta non poteva ripetersi, non senza avere qualcosa da dare in cambio, ed io non potei lasciare in pegno ciò di cui già avevo rinunciato.
- Maledissi la Bestia.
- Non potei fare altro che guardarla spegnersi lentamente giorno dopo giorno ormai rassegnato.
- Il suo ultimo giorno di vita sembrò che stesse bene, era di buon umore ed aveva fame. Si dice che Dio conceda ai moribondi un ultimo istante di limpidezza per permettere ai propri cari di star loro vicini e poterli abbracciare per l'ultima volta.
- A me non l'avrebbe concesso.
- Le portai una scatola delle sue gallette preferite, ma la sua vita era arrivata ormai al limite. Aveva paura, le dissi che non doveva, che là dove sarebba andata era un posto bellissimo, ed io ci credevo veramente. Le dissi che un giorno ci saremmo rivisti come dopo il nostro primo incontro. Sperai non leggesse la menzogna stampata sul mio volto. "Come faremo a ritrovarci in mezzo a tutti quegli angeli?" mi chiese. Le mentii ancora. "Sarò io a trovarti."
- Un suo ultimo respiro e la sua anima lasciò il suo corpo in un fievole soffio. I suoi occhi guardavano ancora i miei. Morì insieme a nostro figlio amando un uomo che per ben due volte scese nelle Tenebre più oscure. Il mio cuore morì con loro.
- Avevo ancora la scatola delle gallette salate in mano, l'aprii per mostrarle la sorpresa. Era contenuta anch'essa come l'altra in una piccola bustina di plastica trasparente. La tirai fuori e la guardai con le lacrime agli occhi. Era una medaglietta di san Cristoforo col bambino Gesù sulle sue spalle, le sarebbe piaciuta un sacco. Gliela misi nella sua mano e la strinsi nelle mie. Il buon santo l'avrebbe accompagnata e protetta nel suo viaggio. Le diedi un bacio sulle labbra ancora calde e piansi come non avevo mai fatto in vita mia. -

La barca avanzava per forza d'inerzia. Il vecchio nocchiero non remava più. Guardò il triste passeggero solcare l'acqua con la mano sentendone la freschezza. La sua mano invece si posò sulla sacca appesa alla cintola semicoperta dal mantello annodato. Ricordò la mano di colei che gli porse la medaglietta di san Cristoforo. La bellezza della donna che un tempo guidò nell'oltretomba attirò il suo interesse tale da chiederle quale fu il suo orrendo misfatto per finire nella Città del Dolore. "Fu per mia scelta" rispose, e non disse più niente. Il traghettatore si domandò perchè mai una donna avesse rinunciato al Paradiso per sua libera scelta, allora non capì, ma ora gli fu chiaro.
C'era molto disordine nel mondo dei vivi, dominavano le guerre e i potenti schiacciavano i deboli, era così da sempre e così sarebbe stato nell'avvenire. Ma non tutto era caos, c'era qualcos'altro che faceva di quel posto un luogo in cui poter vivere felici, qualcosa che il vecchio non capiva per intero perchè mai aveva conosciuto, qualcosa per cui forse valeva veramente la pena dannare la propria anima per l'amore di una donna. Il destino forse aveva deciso ancora una volta di farli rincontrare.
"Il cuore conosce mille scorciatoie per raggiungere il suo scopo, amico mio" disse nella sua mente il vecchio rivolgendosi allo straniero. "Sarà lei che troverà te."
Chissà, magari persino all'Inferno sarebbero riusciti a trovare un piccolo angolo di Paradiso.
Tutto può accadere nell'Eterno.

Affondò la lunga pertica di legno nelle acque scure e profonde del fiume fino a toccarne il fondo, e spinse con le sue possenti braccia facendo proseguire l'antica imbarcazione.
La riva opposta era ancora lontana.

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