Un numero a caso

Scritto da , il 2012-10-18, genere gay

Frequentavo, negli anni sessanta, l'università a Milano, ero poco più che ventenne, avevo una villetta tutta mia (compratami dal nonno) e la mia vita scorreva normalmente tra un esame e l' altro.
Era un uggioso sabato pomeriggio, il mio umore era grigio come il tempo, ero disteso sul letto ed ascoltavo un po di musica alla radio, il trillo del telefono di destò dai miei pensieri, alzai la cornetta e una vocina disse: pronto; risposi: si chi sei, di rimando la vocina disse: scusi per il disturbo, sono Andrea, stiamo facendo un giochino con degli amici.
Inizialmente mi irritai per questa telefonata, come si permettevano degli stupidi ragazzini a scocciare la gente in casa propria, poi, ripensandoci stetti al gioco (anche perché ero realmente annoiato) volevo capire fin dove si sarebbero spinti.
Il gioco:
Era un semplice e innocente giochino nel quale si pagava un pegno; ogni componente del gioco diceva un numero a caso, quel numero dopo qualche tentativo diveniva un codice telefonico, se dall' altro lato del telefono rispondeva una donna si vinceva, se a rispondere era un uomo si perdeva, Andrea aveva perso.
Il pegno era (in quel caso) darmi un bacio (ovviamente previa accettazione da parte mia), stetti al gioco e gli diedi l' indirizzo, pensai che ciò mi poteva divertire, che avrebbe potuto raschiare via la noia di quel pomeriggio.
Erano da poco passate le 17 quando squillò il campanello del cancelletto, andai ad aprire e vidi cinque ragazzini (tre maschietti e due femminucce) ancora giovanissimi, aprii per farli entrare. Si presentarono educatamente, erano timidissimi, li feci accomodare nel salotto ed andai a preparare una cioccolata calda; li scorgevo dalla cucina, parlottavano a bassa voce, ma erano educati e composti.
Col vassoio colmo di cioccolata fumante e biscotti mi recai in salotto, mi sedetti in mezzo alle due ragazzine che si erano accomodate sul divano(a differenza dei maschietti che avevano occupato le poltrone) posai il vassoio e dissi: servitevi.
Andrea era il più intraprendente, versò la cioccolata nelle tazze, e porse a me la prima, gli altri si servirono alla spicciolata.
Venne il momento del pegno:
Andrea doveva darmi un bacio per aver perso, io allargai le braccia e gli dissi: cosa stai aspettando? Lo vidi titubante, divenne rosso come un peperone, incominciò a balbettare frasi che non avevano senso, poi, Giacomo(un altro del gruppetto) rischiarandosi la voce disse: scusi signore, il bacio non è sulla guancia, Andrea si vergogna di dirgli che il bacio deve darglielo proprio li(fece il gesto col dito indicando la patta dei pantaloni). Ci fu un attimo di silenzio, tutti si aspettavano una qualsivoglia reazione, io presi la parola e dissi: deve darlo a nudo oppure sui pantaloni, Adele(la ragazzina seduta accanto a me) rispose: a nudo(ed aggiunse), se lei è d' accordo.
Mi sbottonai i calzoni e misi a nudo "la bestia", seguì un ohhh di stupore, Jole(l' altra fanciulla) allungò una mano per toccarlo.
Al tocco della mano di Jole, il cazzo prese turgore, qualcuno disse: non avevo mai visto un cazzo così grande, è bellissimo (intanto Andrea si era alzato e veniva verso me). Andrea si inginocchiò tra le mie gambe, prese in mano (con entrambi le mani) il cazzo e lo baciò sulla punta, poi lo ribaciò, poi lo leccò, poi lo mise in bocca, qualcuno disse voglio farlo anch' io, in breve, tutti si fiondarono sul cazzo pretendendone una porzione.
Mi divertiva e mi eccitava quella situazione, mi avevano tolto i calzoni, anche loro si erano denudati(chi del tutto, chi parzialmente) e tutti lo leccavano, lo baciavano, lo segavano; chi mi leccava i piedi, chi le gambe e le palle, ero alla mercé di quei cinque scatenati.
Il gioco durò un bel po, fin quando il primo fiotto di sborra colpì la faccia di Andrea, tutti quanti vollero assaggiarla, chi direttamente alla fonte, chi dalla bocca o dalla faccia e dalle mani di qualcun' altro.
Il mio salotto sembrava una campo di battaglia, noi eravamo i superstiti di una guerra che era appena cominciata.
Jole(non considerandomi come proprietario del cazzo, ma solo come oggetto di piacere) propose di fare sesso uno per volta, Aldo disse che non era pensabile di poterlo fare, anche gli altri, scuotendo la testa, ammisero che aveva ragione, poi, quasi come se io fossi un interlocutore e non il direttamente interessato, mi chiesero come fare.
Si può fare, dissi, non abbiate timore per le dimensioni, io so come fare, venite domattina, trovate una scusa con i vostri genitori perché staremo insieme tutta la giornata.
Un hip hip urrà pose fine a quell' orgia tribale.
Prima di andare via Jole volle nuovamente prendere in bocca il mio cazzo, aveva una discreta esperienza in pompini, praticamente spompinava i suoi due(ma non solo loro) amichetti di continuo.
Andarono via che erano già le 19.30, non prima di esserci salutati facendo lingua in bocca con tutti.
Continua...

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