Ossessione (cap.1 di 2)

Scritto da , il 2012-03-28, genere tradimenti

Aspettavo da più di un’ora, ormai.
E loro non erano ancora rientrati a casa.

Avevo posteggiato l'auto ad un centinaio di metri dalla villetta a due piani, situata in quella strada tranquilla di uno dei quartieri più signorili ed esclusivi di Atene.
Mi ero appostato in una zona d'ombra, sotto un'enorme acacia, esattamente a metà della distanza fra due lampioni, in quel punto dove la luce di uno tende a lasciare il passo al buio, mentre di quella del secondo s’intravedono solamente i primi riflessi.
Seduto, immobile, le mani sul volante, lo sguardo fisso sulla casa che stavo sorvegliando, aspettavo con crescente impazienza, e fumando nervosamente una sigaretta dietro l’altra.

Quella notte, ne ero certo, avrei scritto la parola fine al mio incubo, al mio tormento, a quella mia ossessione che da un anno mi perseguitava senza tregua, che mi dilaniava l'anima con i suoi artigli acuminati, che mi aveva sopraffatto e gettato nella disperazione, stravolgendomi la mente e distruggendomi la vita.
Fra pochi minuti tutto sarebbe finito.
E sarebbe finito nell'unico modo possibile, perché quella era l'unica soluzione che avrebbe potuto lenire le mie ferite, restituendomi quella pace e quella tranquillità che mi erano state rubate: e tutto questa mia sofferenza sarebbe finalmente cessata, anche se non con un lieto fine, ma nel dramma e nel sangue.
Era la giusta conclusione per quella vicenda che mi stava lentamente uccidendo, minuto dopo minuto, ora dopo ora, giorno dopo giorno.

Quando l'amore diventa odio, quando la tenerezza e l'affetto si tramutano in ferocia, quando il ricordo di una donna ti perseguita di giorno come di notte, e ti distrugge l'anima e la mente... allora... quando tutto questo avviene, è la follia a prendere il sopravvento, oscurandoti la ragione, gettandoti in un vortice buio e profondo, dal quale, per uscirne, hai solamente una strada da percorrere: annientare la persona che hai amato, cancellando con lei la sua immagine, immagine che ti perseguita e ti riporta di continuo a quei tempi passati e felici, ma ormai irraggiungibili e persi per sempre.
E quando tutto questo avviene, quando ti vieni a trovare in una situazione del genere, arrivi a desiderare di uccidere, di distruggere la causa di tutto quel dolore, di eliminare quello che tu identifichi con il “male”.
E quella sera, finalmente, avrei ucciso tutti i miei fantasmi.
Mi sarei liberato di loro, una volta per tutte.

Marika era stata la mia donna per tre lunghi e meravigliosi anni.
Donna, compagna, amante, amica.
Era stata tutto per me.
Aveva rappresentato tutta la mia vita, il centro della mia esistenza.
Era stata l'ossigeno per i miei polmoni, la luce per i miei occhi, la musica per le mie orecchie.
Era diventata parte di me.
La parte più importante.
Quella a cui mai avrei potuto rinunciare.

L'avevo incontrata per caso, ad una festa organizzata da amici comuni, e sin dal primo momento avevo capito che lei doveva essere mia.
Dolce e meravigliosa, si era rivelata una donna incredibile, completamente diversa e infinitamente superiore alle ragazze che avevo frequentato fino a quei giorni.
Dopo quella prima sera in cui l’avevo conosciuta, c’eravamo rivisti.
Una, due, tre volte.
E poi sempre più spesso.
L'avevo cercata con assiduità, con la certezza che, se lei mi avesse corrisposto nei sentimenti che provavo, io l'avrei amata per l'eternità.
E finalmente, una sera, quasi un mese dopo il nostro primo incontro, quando ci baciammo, capii di aver afferrato un pezzo di paradiso.

La villetta continuava ad essere buia e solitaria.
Era quasi mezzanotte, mancavano pochi minuti, ma Marika e Nikos ancora non si vedevano.
Mi accesi l'ennesima sigaretta, continuando ad aspettare impazientemente, un turbine di pensieri e di ricordi che mi si agitavano nella mente.

Quel bacio fu l'inizio di tutto.
Mi buttai anima e corpo in quella relazione.
Ogni giorno che passava, Marika si rivelava ancora più bella, ancora più fantastica di quello che credevo potesse essere.
Mi innamorai così profondamente, che solo i momenti passati con lei mi sembravano vita.
Quella con la V maiuscola.
Vita.

Quando lei non era con me, il tempo trascorreva in modo esasperatamente lento nella sua attesa.
Il mio mondo sembrava fermarsi.
E solamente quando lei era accanto a me, quel mondo che si era bloccato, come fosse un fotogramma di uno splendido film, tornava a girare.
Il lavoro, gli amici, il divertimento.
Tutto continuava come sempre, ma tutto aveva meno importanza di prima, tutto appariva sfocato se raffrontato a lei, alla donna che amavo alla follia.
E, alla fine, quello che avevo sperato accadesse, si era realmente verificato.
Marika era arrivata ad amarmi, esattamente come io amavo lei, in un rapporto esclusivo e totalmente appagante per entrambi.

Misi la mano nella tasca della giacca e toccai la pistola ancora una volta.
Il contatto con il freddo metallo mi accese l’ennesimo lampo d'odio nella mente, un terribile bagliore simile ad un fulmine improvviso e accecante in una calda serata estiva.
A fatica m’imposi la calma.
Mi risultava sempre più difficile tenere a freno i miei istinti, la mia sete di vendetta.
Dovevo aspettare.
Dovevo attendere il momento giusto.
E, ormai, non mancava molto a quel momento.

Più arrivavamo a conoscerci, a scoprire con piacere i lati più nascosti dei nostri caratteri, più il nostro rapporto di coppia si andava consolidando.
I nostri desideri e le nostre speranze di un futuro insieme si realizzavano giorno dopo giorno, con la scoperta continua e maravigliosa che il nostro amore era sempre più totale, che quella fantastica relazione riempiva di gioia i nostri cuori.
Ci amavamo mentalmente e fisicamente, in un turbine di passione e sentimenti, che non lasciavano spazio a niente e a nessuno.
Le altre coppie, le coppie dei nostri amici, ci sembravano nulla, se confrontate a noi.
L'intensità della nostra unione ci faceva sentire su di un altro pianeta, così bello ed unico, così lontano da risultare irraggiungibile per tutti.

Tornai di colpo al presente, perché il momento che stavo attendendo con tanta ansia, e da tempo, era alla fine giunto.

L'auto arrivò lentamente e si posteggiò poco oltre il cancello che chiudeva il piccolo giardino della villetta.
Il motore smise di girare ed i fari, dopo un attimo, si spensero.
Nel silenzio assoluto della strada, il rumore delle portiere dell’auto che si aprivano mi sembrò risuonare come un macabro annuncio di morte.
E poi, finalmente, la vidi.
I miei occhi, all’improvviso inondati di lacrime, si posarono sulla donna che amavo più di ogni altra cosa al mondo.
Scese dall'auto, elegante e avvenente nel suo abito scuro, le gambe perfette e slanciate dagli alti tacchi dei sandali estivi, ancor più affascinante di come la ricordavo, così bella da mozzare il fiato, così meravigliosa da fermarti i battiti del cuore.
Forse l’odio mi aveva ottenebrato la mente e la capacità di giudizio, ma in quel momento Marika mi apparve in tutta la sua splendida e straordinaria femminilità.
Mi sanguinava l’anima nel rivederla, e nella mia mente si agitava una tempesta di sentimenti contrastanti: la amavo, disperatamente, con tutto me stesso, e la desideravo con così grande intensità da star fisicamente male, ma ormai la odiavo anche profondamente, visceralmente, irrazionalmente, per tutto quel dolore che mi aveva provocato e che mi aveva annichilito, rendendomi un uomo fragile e distrutto, preda di una pericolosa follia.
Accanto a lei, ora, c'era Nikos, il suo nuovo uomo.
Il suo nuovo compagno.
L’uomo che me l’aveva portata via, e che, con lei, aveva portato via la mia razionalità.

Spinsero il cancello e raggiunsero il piccolo portone d'ingresso, aprendolo ed entrando in casa, e sparendo quindi alla mia vista.
Rimasi fermo dove mi trovavo, seduto in auto, aspettando immobile nel buio.
La strada era tornata silenziosa e mi sembrava di percepire nettamente i battiti accelerati del mio cuore, che quasi si confondevano con il ticchettio del motore della loro auto che si stava lentamente raffreddando.
La mia attesa, però, non era ancora finita, e le immagini del passato tornarono a torturami implacabili.

Mi ritornò alla mente, per l'ennesima volta, quella maledetta vacanza a Kos.
Alle giornate passate al mare, alle serate in discoteca, alle notti d'amore che avevamo vissuto insieme.
Mi sembrava ancora di sentire sotto le mani la pelle di Marika, morbida e fresca, dolce e profumata.
Sentivo il contatto lieve delle mie labbra su di lei, ogni centimetro del suo corpo esplorato, lambito, adorato. E l'amore che lei mi trasmetteva, con i suoi baci, le sue carezze, le sue parole che mi riempivano di gioia.
E quando la penetravo, sempre con estrema dolcezza, prolungavo all'infinito quei momenti unici e meravigliosi.
I nostri corpi che si univano frementi, scivolando in un oceano di calda sensualità...

Rabbrividii a quei ricordi, tornando di colpo al presente.
Nella casa che tenevo ormai da più di due ore sotto controllo, le luci al piano terreno si erano spente.
Restava accesa solamente quella di una delle camere al primo piano.
Marika e il suo compagno si stavano evidentemente preparando per la notte.
E forse stavano per fare all'amore.
Marika, la mia Marika, il mio amore, ora tra le braccia di un altro.
Il solo pensiero mi faceva ribollire il sangue nelle vene.
Dovevo assolutamente porre fine al mio strazio.
Chiudere, in modo definitivo, quell’angoscioso capitolo della mia vita.

Ad un tratto vidi due fari avanzare lungo la strada.
Mi rintanai ancora di più nel buio, sdraiandomi quasi sul sedile accanto a quello del guidatore, e aspettando che l'auto passasse.

Durante quei giorni trascorsi a Kos ero ormai pronto a chiederle di sposarmi.
Non che in passato il discorso del matrimonio non lo avessimo già affrontato, ma in quei giorni di vacanza sulla splendida isola dell’Egeo, ero arrivato alla decisione di rompere definitivamente gli indugi e di mettere Marika nella situazione ideale per accettare la mia richiesta di averla in moglie.
A tal fine avevo comprato un anello da donarle, e con il quale accompagnare la mia richiesta di matrimonio; sapevo per certo che Marika avrebbe acconsentito con entusiasmo, perchè anche lei lo desiderava, felicissima di diventare la mia signora.
Ma prima che arrivasse il momento in cui mi decidessi a farle la mia proposta di matrimonio, nella nostra vita entrò Nikos.
Quello schifoso bastardo di Nikos.
Un ingegnere, anche lui di Atene, e in vacanza da solo nello stesso nostro albergo.
Avevo notato le occhiate di ammirazione che lui rivolgeva di continuo a Marika, e, inizialmente, fui quasi compiaciuto e lusingato da quelle attenzioni, sapendo bene come la mia donna fosse così affascinante da catturare molto spesso gli sguardi degli altri uomini.
Ma una sera, la sera in cui tutte le mie certezze si trasformarono in dubbi e paure, mi accorsi chiaramente di come Marika non restasse indifferente a quelle insistenti occhiate di ammirazione.
E quel momento segnò l'inizio della fine di tutto.

Non so come, non so perchè, e ancora oggi non riesco a trovare una valida giustificazione a quello che accadde, ma Marika rimase affascinata e intrigata da quell'uomo spuntato dal nulla.
Non ho mai capito veramente che cosa scattò in lei, ma ogni giorno che passava di quella terribile vacanza, la donna che io amavo era sempre più pensierosa e distaccata: in realtà si stava allontanando da me, attimo dopo attimo, in modo inesorabile e costante.
Sperai, o forse mi illusi solamente, che fosse soltanto un momento di difficoltà, un qualcosa di passeggero, una sbandata transitoria, e che lei tornasse in sè al ritorno da Kos.
Ma rientrati ad Atene, la situazione si fece, se possibile, ancora più difficile.
Incominciai a sentire in lei il fastidio crescente per le mie insistenti domande, per le mie accorate suppliche, per i miei sempre più disperati tentativi di tenerla con me.
Fino alla sera in cui lessi nei suoi occhi, ancora prima che me lo comunicasse, che la sua storia con me era davvero finita.

Fu molto dolce, molto delicata, lo ammetto.
Usò tutta la sua sensibilità nel tentativo di ferirmi il meno possibile.
Lo riconosco e le do atto di questo.
Marika era veramente dispiaciuta per me.
Sapeva che non mi meritavo quello che stava accadendo, che non era giusto che io mi ritrovassi a fare i conti con quello che lei mi stava facendo.
Sicuramente mi amava ancora, ma la sua mente ed il suo cuore andavano verso Nikos.
In modo irreparabile ed irreversibile.
Mi disse che era finita e che le nostre strade, quella sera, si sarebbero separate in modo definitivo.

Per me fu il crollo di tutto.
Ero stato sul punto di chiederle di sposarmi, di unire la sua vita alla mia, e lei mi diceva che se ne andava con un altro.
E, dopo quella sera, lei così fece, lasciandomi solo e disperato, innamorato e tradito, distrutto e rabbioso.
E nei mesi successivi...

Ora le finestre della villetta erano tutte buie, tranne un lieve bagliore che proveniva dalla camera al primo piano.
Sicuramente la debole luce di una lampada appoggiata su di un comodino.
Scesi dall'auto, accostando piano la portiera, e m’incamminai verso il cancello dal quale si accedeva al giardino della casa.
Qualche metro prima di arrivarci, mi guardai attorno, controllando che non ci fosse nessuno in giro; ma tutto era tranquillo, la strada e le altre case immerse nel sonno e nel silenzio.
Rapidamente scavalcai il basso muretto che recintava il giardino, e, di corsa, raggiunsi la porta d'ingresso.

... nei mesi successivi le avevo provate tutte.
Veramente tutte.
L'avevo cercata, l'avevo seguita, l'avevo tormentata con le mie insistenti richieste di tornare da me, di dimenticare la sbandata (perchè di una sbandata credevo si trattasse) che aveva preso per Nikos.
Mi ero arrabbiato e l'avevo supplicata, a volte urlavo con lei per la rabbia, a volte piangevo e la supplicavo, facendo carta straccia della mia dignità e del mio orgoglio.
Tutto inutilmente: con l'unico risultato che, alla fine, lei arrivò ad odiarmi per il modo in cui le stavo rovinando la vita, con tutte quelle telefonate che le facevo ad ogni ora del giorno e della notte.
Fino a quando, esasperata, mi urlò al telefono che ero un bastardo, uno stronzo, e che non voleva più avere nulla a che fare con la mia pazzia, con la follia che mi divorava, con l'ossessione dalla quale non riuscivo ad uscire.
Sentii la sua voce furibonda gridarmi che lei amava un altro, e che per me, nella sua vita, non c’era più posto.
Fu da quell’ultima telefonata che il mio amore assoluto per lei si tramutò in odio, un odio così profondo da accecarmi e da farmi perdere la ragione una volta per tutte.
Dopo quelle parole che lei mi aveva vomitato addosso, non la chiamai e non la cercai più.
Ma non mi ero ancora rassegnato all’idea di averla persa.
Concentrai, quindi, tutta la mia rabbia su Nikos, sull'uomo che me l'aveva portata via.

- continua -

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