Il commesso del piacere

Scritto da , il 2010-05-19, genere gay

Sono Paolo, un commesso ventottenne che lavora presso una grande azienda di vestiti. Mi occupo del settore uomini e ogni giorno vedo passare molti uomini e tanti ragazzi belli, interessanti, sexy, e a volte anche bruttini”.
In questi anni di lavoro, mi sono reso conto che sono tanti gli uomini egocentrici i quali piace essere ammirati, ai quali non dispiace un complimento giusto, fatto nel momento giusto.
Ogni giorno in un negozio di vestiti succede di tutto e anche le richieste più particolari non fanno eccezione.
Ricordo un giorno di questo inverno, quando nel negozio entrò un uomo “particolare”.
Stavo sistemando dei vestiti che altri clienti avevano lasciato appesi nel camerino, quando davanti a me si presentò quest’ uomo dall’apparenza quarantenne. Mi colpì subito la sua stazza, di corporatura muscolosa e mediterranea,occhi scuri e capelli neri, rasati sui lati, vestiva con un pantalone di stoffa scuro e dalla camicia bianca che indossava spuntava una leggera peluria.
L’elegante pantalone stretto sui fianchi, disegnava un culo alto e ben fatto.
Mi venne incontro con fare discreto e con un certo imbarazzo mi chiese se era possibile indossare i capi di biancheria intima.
“Di solito non facciamo indossare questi capi, ma in particolari situazioni, mi prendevo la licenza di farli indossare, “sempre con l’accortezza di farlo con lo slip sotto”.
Lo lasciai fare, ricordandogli di non levare il proprio boxer.
Stavo raccogliendo dei maglioncini appesi nel camerino di lato al suo, quando il suono della sua cintura richiamò la mia attenzione.
Immaginai le sue mani grandi e venate, mentre slacciavano la fibbia e sbottonandone la patta lasciavano il posto al rigonfiamento del pacco.
Ciò mi causò un ‘erezione inopportuna, che si intravedeva dai pantaloni. Il mio cazzo pressava contro le mutande e il suo ingrossamento disegnò sui jeans un rilievo lungo e pulsante.
Ascoltai come l’uomo scendeva il pantalone, il rumore della stoffa contro le sue gambe, lo strofinio del cotone misurava nell’aria la sua gamba lunga e muscolosa. Ne sfilò prima un lato e poi l’altro. Dopo qualche secondo ascoltai il rumore dell’elastico delle mutande, pensai a cosa fosse dovuto quel rumore, magari guardandosi allo specchio, quell’uomo si era sistemato il cazzo per bene, prima di indossare la mutanda.
Mi portai una mano dentro il jeans per sistemarmi l’uccello che eccitandosi aveva scoperto la cappella che ora strofinava contro i miei peli quasi dandomi fastidio, dopodiché rinvenni dall’attimo di trans e continuai a raccogliere i capi che ancora erano appesi nel camerino, passarono solo pochi secondi quando uscì dal camerino e quasi mi venne un colpo quando la voce di quell’uomo attirò la mia attenzione.
Se ne stava affacciato “con la testa fuori dalla tendina del camerino” e con un sorriso che mascherava un certo disagio si rivolse a me, chiedendomi se era normale che lo slip vestisse così stretto, replicai che doveva considerare il fatto che stava indossando un altro slip sotto e che questo sicuramente falsava un po’ la vestibilità.
Neanche il tempo di finire di parlare che l’uomo uscì dal camerino e mi disse: “guardi un po’, mi dica lei”. L’immagine che mi si presentò davanti fu davvero eccitante. Ricordo che furono frazioni di secondo, prima che la mia attenzione si focalizzasse sullo slip, rimasi colpito dalle sue gambe muscolose e ricoperte da una leggera peluria scura che si perdeva ai lati dello slip che aveva misurato,continuava ad indossare la camicia che teneva all’altezza dell’ombelico da dove partiva un filo di peli che qualche centimetro più giù si trasformavano in quel sensuale cespuglio che rinchiudeva il suo uccello. I quadratini degli addominali erano ben visibili, e due leggere linee laterali disegnavano i suoi fianchi correndo giù, fino a congiungersi con la base del suo cazzo.
Le seguì arrivando così a concentrarmi sulla sua domanda.
Era vero, la mutanda era stretta e il problema era dovuto sia al capo che indossava sia alla dimensione del suo uccello che appariva prominente di fronte a me.
Deglutì con velocità, simulando una certa indifferenza, e quando mi resi conto che l’uccello si stava risvegliando, mi portai il maglioncino grigio “che avevo appena raccolto dal camerino”, davanti alla patta.
L’uomo si mise di profilo, per osservarsi meglio nello specchio principale, “situato frontalmente rispetto a tutti i camerini” e facendolo lasciò alla mia vista lo spazio che si era creato tra la mutanda e il suo uccello, “che pressandogli contro”, aveva creato una piccola spacca, dalla quale un pezzo di carne di cazzo, era messo in bella vista.
Accennai un leggero risolino e “indicandogli quel difetto”, l’uomo sorrise, portandosi la mano su quel “difetto” e afferrando la mutanda scoprì buona parte dei suoi coglioni sui quali si adagiava il suo cazzo che puntava verso destra.
“Effettivamente” mi disse “ non mi sembra appropriato”, “e no”, gli replicai, “pazienza” mi rispose, e rilasciando la mutanda che schioccò contro la pelle del suo bacino mi ringraziò rientrando nel camerino.
Non chiuse la tendina e lasciò alla mia vista lo spogliarello più sensuale al quale avevo assistito fino a quel momento, nel levarsi lo slip si piegò in avanti e le natiche del suo culo si indurirono, restituendomi l’immagine di un uomo quarantenne, muscoloso e possente messo a pecorina.
Prima di allontanarmi, mi fissai sul centro delle sue gambe, che erano occupate dal rigonfiamento dei suoi coglioni. L’uomo rimase almeno un minuto in camerino, dopodiché uscì e se ne andò.
Lo osservai sparire davanti a me, al ché mi recai nel suo camerino per raccogliere l’indumento che mi aveva intrattenuto per dieci minuti e con mio stupore, notai che sulle mutande, c’era un biglietto da visita, “Quell’uomo si chiamava Alfredo” e mi aveva appena lasciato un’ invito alla libidine.
Il cuore cominciò a pulsarmi e preso da una forte eccitazione andai in bagno portandomi dietro l’indumento.
Sbottonandomi velocemente il pantalone, ne feci uscire l’uccello che puntava prepotentemente verso l’alto, “era tanta l’eccitazione che Alfredo mi aveva provocato”, che cominciai a masturbarmi portando al naso la sua mutanda che rilasciò un’ intenso odore di cazzo.
Pensai alla parte di uccello che poco prima ero riuscito a intravedere quando Alfredo tirò le mutande, pensai alle piccole vene che risalivano sino alla cappella, pensai di prenderlo in bocca e di guardarmi allo specchio del camerino, “mentre mi trovavo inginocchiato davanti a lui che tirandomi per i capelli strisciava la sua asta contro il mio palato”.
Appoggiai la lingua sulla mutanda per raccogliere quell’effimero sapore di cazzo che lentamente svaniva, pensai al bigliettino che mi aveva lasciato e alle possibili giornate di sesso insieme a lui.
Fu così che venni copiosamente, schizzando il gabinetto davanti a me con gocce di sperma larghe e biancastre che continuai ad osservare finche il mio respiro divenne regolare e mi permise di continuare la mia giornata da commesso.

Oslo. © creative commons

osloracconti@libero.it

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